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Maria Surace (IV Calabria): “Presidente Meloni, si può essere una politica valida anche non rifiutando il genere dell’articolo che le apprtiene”

“Quando mi soffermo sulla portata di questo fatto io mi ritrovo inevitabilmente a pensare alla responsabilità che ho nei confronti di tutte quelle donne che in questo momento affrontano difficoltà grandi e ingiuste per affermare il proprio talento”. Questo è uno dei punti cardine del primo discorso del Presidente Giorgia Meloni, uno degli archetipi concettuali – altrimenti detto femonazionalismo – della propaganda che le ha consentito di vincere democraticamente le elezioni. Per definire se stessi e ciò che si fa è sempre dalle parole che si parte, da un lessico specifico che consente di fare ordine ma, soprattutto, di imporre autorevolezza. E allora ecco che per definire la direzione del proprio operato politico, il Presidente Meloni parte da una comunicazione su carta stampata che chiarisce l’appellativo con cui ci si deve rivolgere a chi questa autorevolezza la incarna.

Vuole ribadire che appoggia le donne, e le donne che vengono discriminate, arrivando “sul pesante tetto di cristallo che sta sulle nostre teste”, per infrangerlo: le assi della scala attraverso la quale ci è arrivata è stata costruita proprio da altre donne che hanno fatto la storia, che si sono impigliate in dinamiche sociali e politiche per cambiarle in meglio. Il Presidente non ammette confusione tra sfera operativa ed etica e prescinde da qualsiasi implicazione lessicale partitica, come se farsi definire IL presidente e non LA presidente potesse conferirle maggiore autorevolezza: ma è davvero così? Le speculazioni in merito potrebbero essere numerose, e anche per questo inutili: buona parte di certo elettorato potrebbe gridare all’antifemminismo, ad un fanatismo di forma e mai di sostanza, come se preoccuparsi delle parole distraesse dai problemi reali di un Paese che arranca ormai da troppo tempo.
Gli antichi greci e latini avevano risolto il problema in maniera geniale: ciò che non aveva un genere ben definibile, né maschile né femminile, era di genere neutro, che utilizzavano per indicare gli oggetti inanimati; facevano necessariamente coincidere il genere biologico con il genere grammaticale, se il termine in questione, però, riguardava la persona umana. Nel momento in cui, dunque, ci si doveva rivolgere a una donna, indipendentemente dalla carica o dal ruolo che ricopriva, la lingua si adattava al contesto, con precisione lessicale: basilissa e non basileus, imperatrix e non imperator.
Sappiamo bene, e sarebbe opportuno ricordarcelo, che la libertà linguistica si traduce sempre in attenzione alla persona, in valorizzazione del ruolo e di chi lo incarna, senza omologazione. Ribadire il proprio genere femminile dovrebbe essere un vanto, perché anche una donna premier ha gli stessi meriti, lo stesso valore e la stessa dignità di un uomo premier. E’ questo che con il Presidente Meloni non condivido: si può essere una politica valida anche non rifiutando il genere dell’articolo che le appartiene, ma riappropriandosene, rivendicandolo, ribadendolo; LA Presidente sarebbe stato il primo, credibile, passo per cominciare davvero a infrangere il tetto di cristallo costruito da quelle stesse donne che il Presidente Meloni ha citato e ringraziato. Tutti ci auspichiamo che l’autorevolezza del Presidente Meloni si ribadisca nei fatti e non solo nelle parole, in decisioni politiche positive che abbiano un impatto costruttivo per gli italiani, e non importa se a operarle sia una signora Presidente, ça va sans dire”.
Lo afferma in una nota Maria Surace, responsabile giovani “Italia Viva Calabria”.
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