A palazzo San Giorgio di Reggio Calabria un evento senza precedenti. In occasione del 50° anniversario dal ritrovamento dei Bronzi di Riace, si conclude un percorso di ricerca che vuole essere un auspicio per l’inizio di un nuovo ciclo incentrato sulla riflessiva iperbole dell’arte contemporanea. La mostra, dal titolo “Rivivere l’arte ritrovata”, è stata organizzata dall’associazione “Arte in Movimento” e a prenderne parte vi è un gruppo libero di artisti che da più di 30 anni coopera e organizza progetti artistici nell’area del reggino. L’esposizione sarà visibile in via eccezionale dal 19 al 23 di dicembre. Scopo principe dell’evento è il porre l’accento sulla possibilità dell’arte quale strumento per fiancheggiare il quotidiano e non annichilirlo. Le opere esposte assorbono l’arte del passato, accumulo di scorie formali in uno spazio già molto intasato, nella speranza di esplicare la concettualizzazione della nostra contraddittoria epoca. Si intende perciò tracciare una linea che riesca ad ampliare l’orizzonte comportamentale del fruitore, per poi confluire in una felice totalità del caos dell’esistenza.
L’incipit della mostra è già intuibile dal titolo che lascia con disinvoltura intravedere l’area semantica operata dagli artisti presenti: la concezione di un’arte scongelata dal suo essere accademica, un’arte libera e capace di svincolarsi in un movimento costante di emozionale ricerca che tende sempre al passato per meglio capirne il futuro. Così come i Bronzi cinquant’anni fa furono ritrovati nelle acque del Mar Ionio, allo stesso modo gli artisti reggini carpiscono questi rimandi ellenici con la consapevolezza che la Calabria è figlia di una Magna Grecia che l’ha resa centrale nell’antropocentrico dibattito culturale dell’arte.
Gli artisti chiamati ad esporre al palazzo sono: Alfonso Naimo, Carolina Malacrinò, Daniele Chiovaro, Domenica Cosoleto, Elena Murdolo, Gianluca Violante, Giovanni Raso, Lidia Neri, Maria Scornaienchi, Nicola Oriente, Rosa Lia Amore, Simona Treccosti.
La mostra parte dall’opera magmatica di Alfonso Naimo dal titolo “Colori in movimento”. In essa il colore è in perpetuo divenire da destra verso sinistra e da sinistra verso destra; e poiché gli elementi si muovono non si sa dove essi finiscano. Lo stesso certo non si potrebbe dire dell’acrilico sul legno di Carolina Malacrinò con il suo “Monumento a Vittorio Emanuele III”. Con disillusione l’artista autocelebra la città di Reggio attraverso tutta la monumentalità del cenotafio e del suo riflesso nell’acqua del mare, inchiostrata dal cielo plumbeo e visionario sovrastante. Di cielo si narra anche nell’universo ancestrale di Daniele Chiovaro e della sua “Visione lunare”. Lo spazio che disegna non è più la terra vista come un contenitore delle cose, ma quello di un punto di vista differente in cui l’uomo sceglie di osservare il proprio pianeta dall’esterno e di scrutarlo attraverso una costellazione di materia rigettante di pulsioni viscerali. Si riscende poi nel mondo terrestre con vivida eloquenza mediante l’opera “Lungo il filo della notte” di Domenica Cosoleto. L’artista ci pone di fronte l’estroflessione del dramma degli incendi; ma se il rosso vulcanico circonda il viso centralizzato della donna, proprio da essa riemerge in superficie un fiore violaceo, che in tutta la sua complementare luminosità, si accinge a rassicurare speranza lungo il filo di una notte di cui si scorge l’alba. Il rosso è il protagonista anche di un’altra opera visibile nella mostra: “La principessa dal rosso velo” di Elena Murdolo. La fanciulla è seduta su di un nobilissimo trono, la fissità del suo viso è ostentata dalla ricchezza dei cammei indiani. Nel non rispetto delle proporzioni, nel vestito rosso che inonda lo spazio, vi è la contraddittoria espressione di un sentimento poetico profondo e perturbante. Il fuoco divora qualsiasi cosa, ma può talvolta essere adattato come elemento primario della materia; è questo il caso dell’incisione con il pirografo su tavola di Gianluca Violante nel dipinto “La culla celeste”. Un pargoletto dormiente giace all’interno di un soffice involucro di piume a forma di mandorla. Il turchese del cielo lo accarezza appena in un intreccio di evocativi rimandi simbolici. Ancora una volta il fuoco riappare, questa volta come danza tribale nella tela “Fuego” di Giovanni Raso.
Il pittore supervisiona il movimento spiraliforme di una donna colta di spalle e catturata in un eccentrico ritmo musicale. Proprio questo ritmo rifinisce il colore fluttuante di dinamica forza esplosiva, come polvere destinata a bruciare. Il percorso espositivo si immerge successivamente nell’oceanica opera intitolata “Coralli” di Lidia Neri. La forte suggestione che emana il quadro è evidente dalla contorta sagoma del corallo rosso carminio in primo piano. Esso risulta complementare alla salmastra acqua verdognola circostante. Il corallo viene scelto, campionato dall’artista ed elevato ad’opera d’arte, come rivincita della natura nei confronti dell’umanità. La mostra tende poi alla geometrica opera di Maria Scornaienchi con la sua “Fotografie”. La trama del dipinto si interroga sul rapporto tra il colore e la forma che qui diviene liquida, dislocata in una progressiva indagine alla ricerca di una nuova figurazione. Questa crisi dello spazio tradizionale è evidente inoltre in Nicola Oriente che, attraverso l’opera “Kabbalah”, affronta la glorificazione di un inedito sillogismo prospettico. I volumi piramidali sviluppano l’esoterico ebraismo rabbinico nel tentativo di raggiungere un equilibrio tra realizzazione spirituale e benessere. Un astrattismo figurativo è invece l’interesse esposto dalla pittrice Rosa Lia Amore con l’opera “La via del mare”. La plurime visione offerta è quella di un litorale in cui cerchi fluttuano immersi in una sinfonia di colori. Il tiepido pulviscolo della brezza di mare sembra scontrarsi con le onde fredde, le quali determinano una mescolanza di colori che portano ad un’ulteriore definizione del fare pittura. L’esposizione si conclude infine con la tela “Dimora eterna” di Simona Treccosti. Seppur lo scorcio è familiarmente comprensibile come spazio urbano, esso reclama una poetica suggestione di rimandi al proprio passato. Il dipinto incornicia un ricordo sbiadito dal forte impatto evocativo.
Nella mostra “Rivivere l’arte ritrovata” vi è la possibilità di visionare quattro opere inedite che pongono l’accento sulla riflessione dei Bronzi di Riace; una di queste verrà premiata quale vincitrice del concorso tematico. Si tratta di quadri che rielaborano lo statuario antico in una felice “primavera” di segni, elementi, colori e forme che si disseminano sullo spazio pittorico. I quadri incoraggiano lo spettatore a prefigurarsi nella mente domande metodologiche sul difficile concilio tra passato e contemporaneità, ed ecco filtrare linguaggi nuovi ma consapevoli della memoria.
In conclusione si può evincere come occorre che la gente coltivi la bellezza, che si senta orgoglioso di essere nato in questa terra; perché ripartire dai Bronzi di Riace vuol dire anche puntare sulla cultura, con la consapevolezza che un’educazione all’arte possa riqualificare un’umanità che ha disperso il passato.