È stato un dialogo ricco di spunti e riflessioni, quello che ieri sera ha intrattenuto un pubblico molto numeroso alla libreria Mondadori di corso Mazzini, a Cosenza. L’evento è stato il battesimo per la Decina 2025 della tredicesima edizione del Premio Sila. Marco Lodoli ha presentato il suo “Tanto poco”, a moderare l’incontro, la professoressa Alba Battista, che ha guidato il pubblico in un viaggio attraverso le pagine del libro, definito da Gemma Cestari, direttrice del Premio Sila, «un piccolo miracoloso romanzo che in poco più di 90 pagine racconta una vita, 40 anni di passione ossessiva». Lodoli ha svelato l’origine dell’opera, nata durante il lockdown: «Un giorno – ha raccontato lo scrittore e giornalista – nella scuola vuota, entrò la bidella Antonietta con un caffè. In quel momento ho pensato: “Antonietta mi ha amato tutta la vita”. È stato lo spunto».
Il romanzo narra l’amore silenzioso di una bidella senza nome per un professore «precipitato nel tempo, tra illusioni, cadute e ambizioni artistiche smarrite». Lodoli ha sottolineato come la storia giochi «sul contatto tra tempo ed eternità, tra il fallimento esistenziale obbligatorio e la ricerca ostinata di un assoluto», citando l’immagine finale ispirata al Cristo di Mantegna, «metafora di un’umanità sospesa tra macerie e purezza».
L’autore e l’opera al centro dell’attenzione
Marco Lodoli ha condiviso il suo approccio alla scrittura, definendola «un’esperienza da vivere una volta sola, come un viaggio a Parigi o Gerusalemme, fatto con concentrazione spasmodica». Riferendosi alla tradizione rinascimentale, ha aggiunto: «Bisogna arrivare a una semplicità come quella della Pietà di Michelangelo: dietro c’è studio, filosofia, ma tutto si traduce in una storia essenziale».
Alba Battista ha richiamato l’architettura poetica del libro, evidenziando l’esergo di Petrarca («Solo a fine lettura ci si rende conto quanto quei due versi sintetizzino l’intera storia») e il tema della «rinuncia come atto di generosità», paragonando la protagonista al Bartleby, lo scrivano di Herman Melville: «Una scelta di purezza che dice “preferirei di no” al mondo».
Un primo importante appuntamento per il Premio Sila ’49
Gemma Cestari ha ribadito il ruolo del Premio nel panorama culturale italiano: «La letteratura deve aprire uno spiraglio verso l’ignoto – ha sottolineato la direttrice del Sila – non limitarsi a raccontare disagi. “Tanto poco” ci ricorda che l’arte nasce mentre la guardi, non è un semplice racconto». La Decina 2025 ha appena iniziato il suo rendez-vous. E a breve saranno annunciati i prossimi incontri: «Questo libro, come gli altri finalisti – ha chiosato Cestari – ci sfida a pensare oltre le storie convenzionali».
Un momento di arricchimento culturale
Il pubblico ha partecipato con domande acute, tra cui una sul valore delle recensioni negative con cui ci si imbatte online. Lodoli ha risposto con molta ironia: «Ho visto una recensione a una stella che criticava proprio ciò che amo del libro. A volte, anche le critiche rivelano coincidenze fortunate… o vecchi rancori!», scherzando sulla possibile presenza di “autentici” burloni nascosti tra i commenti sul web.
La serata si è chiusa con un omaggio alla poesia: Lodoli ha letto alcuni versi di Beppe Salvia, «genio scomparso troppo presto», e un applauso ha accompagnato la firma delle copie, simbolo di un legame vivo tra autore e lettori.
Tre domande a Marco Lodoli
Abbiamo voluto approfondire ulteriormente alcuni dei temi del libro con l’autore…
Il romanzo esplora temi di amore non corrisposto e di silenziose devozioni. Come è stato per lei entrare nella mente di un personaggio che vive nell’ombra dei propri sentimenti, e cosa spera che i lettori portino con sé dopo aver letto “Tanto poco”?
Sì, c’è un’idea di purezza, probabilmente un’idea di innocenza che in fondo è quello che noi cerchiamo attraverso l’arte, attraverso la letteratura, attraverso le esperienze più belle che ci capitano nella vita. Tutto il resto è un po’ l’esistenza che ci sporca, ci confonde, ci rende, ci delude. Però l’arte serve anche a presentarci dei personaggi un po’ estremi. Prima era stato citato Bartleby lo scrivano. Probabilmente siamo da quelle parti, non necessariamente simpaticissimi, ma che chiedono alla vita qualche cosa di più, a volte anche qualcosa di impossibile.
Nel suo libro, la scrittura sembra muoversi tra il minimalismo e una profonda introspezione. Come riesce a bilanciare questi due aspetti per creare un racconto che sia al tempo stesso evocativo e accessibile?
Per questo, forse, la mia frequentazione della poesia. Insomma, fin da ragazzo e anche adesso, leggo molta poesia. Le parole devono essere pregnanti, devono avere dentro una luce, un suono, un mistero. Non devono essere parole descrittive, devono essere parole che ci portano verso un’esperienza. Ecco quindi un’altra cosa per cui servono poche descrizioni, poche spiegazioni. Tutto accade, accade mentre uno lo legge.
Lei è un autore che ha sempre mostrato una grande attenzione per le dinamiche sociali e culturali del nostro tempo. In che modo “Tanto poco” riflette o dialoga con la società contemporanea?
C’è un fondo cristiano nella mia educazione di base per cui sono sempre stato vicino a quel mondo degli ultimi, ma non soltanto in quel modo caritatevole ma come se lì, in questi personaggi, possa accadere qualche cosa che non accade in un mondo invece più strutturato più borghese, più efficiente, più performante. Sono anime perse, più vicine alla verità, la nostra verità, perché siamo poi tutti un po’ delle anime perse tramite questi personaggi. E forse, a volte, qualcuno può arrivare a delle piccole illuminazioni.