“Nel nome di Denis, il calciatore ucciso due volte”. La tragica storia di Denis Bergamini, il calciatore del Cosenza originario di Argenta, nel Ferrarese, morto nel 1989, quando aveva 27 anni, in circostanze mai chiarite a Roseto Capo Spulico, in Calabria, viene raccontata nel libro del giornalista della Gazzetta dello sport Francesco Ceniti.
Il volume, edito da RCS MediaGroup, è stato presentato nel corso di un incontro nel Comune di Catanzaro, presenti, insieme all’autore, i sindaci del capoluogo calabrese e di Cosenza, Nicola Fiorita e Franz Caruso, e due ex calciatori della squadra rossoblu, Gigi De Rosa, che di Bergamini fu compagno e amico, e Vincenzo Vivarini, che a Cosenza arrivò un anno dopo, entrambi oggi allenatori. Ma perché “Denis ucciso due volte”? Lo spiega Ceniti, riferendosi alla tormentata vicenda giudiziaria che ha fatto seguito alla morte del calciatore.
“Denis – dice Ceniti – è stato ucciso proprio due volte. La prima fisicamente e la seconda sotto l’aspetto morale riguardo la sua memoria. Hanno voluto distruggerlo facendo credere che si fosse tolto la vita”. La morte di Denis Bergamini fu archiviata, in un primo tempo, come suicidio dalla Procura della Repubblica di Castrovillari.
Si deve ad Eugenio Facciolla, che subentrò successivamente al vertice della Procura, ed all’ostinazione del padre, Domizio, nel frattempo deceduto, e della sorella del calciatore, Donata, se il caso, a distanza di oltre 30 anni, è stato riaperto e si è arrivati al processo che si sta svolgendo davanti la Corte d’assise di Cosenza, e che vede imputata di omicidio volontario Isabella Internò, oggi 53enne, che aveva avuto una relazione col calciatore ed era insieme a lui quando morì. I mandanti, invece, non ancora un nome.
All’epoca si raccontò che Denis si era ucciso gettandosi sotto un camion, ma dalle indagini è emerso che quella del suicidio sarebbe stata una messinscena e che in realtà il calciatore sarebbe stato soffocato ed il suo corpo adagiato sotto l’autocarro per fare credere che si fosse tolto la vita. “La verità sulla morte di Denis – ha detto Ceniti – si poteva accertare sicuramente nell’immediatezza dei fatti. Oggi, dopo tanti anni, è un po’ più difficile. Ma mai disperare”.
“Tutta la storia che è stata raccontata all’inizio sulla morte di Bergamini – ha proseguito Francesco Ceniti – non é credibile. Nella ricostruzione che è stata fatta ci sono buchi grandi come crateri e troppe cose che non tornano.
É stato importante, in questa vicenda, che in tanti non si siano girati dall’altra parte. Ed occorre sottolineare che la spinta mediatica determinante per la svolta sulle modalità della morte di Denis sia partita dalla curva dei tifosi del Cosenza”.
Franz Caruso, che si é occupato inizialmente come avvocato penalista della vicenda di Bergamini, dopo avere premesso di non volere entrare “nel merito della vicenda perché c’é un processo in corso”, ha ricordato il “clima di omertà, anche a livello d’informazione, che caratterizzò all’inizio la vicenda relativa alla morte di Denis Bergamini. Una vicenda che non é affatto lineare e presenta molti lati oscuri.
Solo i giudici potranno stabilire la verità, almeno quella processuale, su quanto è accaduto quel 18 novembre del 1989 a Rose Capo Spulico”. Nicola Fiorita, a proposito della vicenda Bergamini, ha parlato di “storia tragica che all’epoca ci sembrò inaccettabile e ci fece capire, malgrado la rivalità tra i tifosi del Catanzaro e quelli del Cosenza, che non esiste la logica del nemico perché prima di tutto vengono le persone”.
Commosso il ricordo di Denis Bergamini da parte di De Rosa e Vivarini. “Lo voglio rammentare – ha detto il primo – per quello che era: un ragazzo eccezionale e spensierato che amava la vita, oltre che un grande calciatore”, mentre Vivarini ha raccontato che quando arrivò a Cosenza, un anno dopo la morte di Bergamini, “c’era di Denis un ricordo ancora vivo, in un contesto di emozione e commozione.
La verità é che Denis era molto amato a Cosenza come persona e come calciatore”.