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Fatture false all’ombra della ‘ndrangheta in Emilia Romagna: 77 indagati e 27 sequestri

Per abbattere il carico fiscale si avvalevano di fatture false – per un ammontare complessivo di 13,4 milioni di euro e 3,7 milioni di evasione in danno dell’Erario – emesse da otto società cosiddette ‘cartiere’ riconducibili a soggetti ritenuti intranei o contigui alla ‘Ndrangheta emiliana.

Di questo sono accusate 77 persone tra imprenditori e titolari di aziende di svariati settori – dall’edilizia all’alimentare (in particolare ditte di carni) – per la maggior parte insospettabili e incensurate, finite nel registro degli indagati della pm Beatrice Ronchi della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna che coordina l’inchiesta condotta dalla squadra mobile della questura di Reggio Emilia e dalla guardia di finanza reggiana. Polizia di Stato e Fiamme Gialle hanno dato esecuzione a 27 misure cautelari reali con un sequestro per equivalente di 2,5 milioni di euro emesse dal gip del tribunale di Bologna, ma anche conti bloccati e perquisizioni.

Di queste, 15 sono state messe a segno a Reggio Emilia e provincia, dove ha base il locale sodalizio della criminalità organizzata, 4 a Modena e provincia, tre a Parma, due a Mantova e Ferrara, uno a Forlì, Lodi, Pisa, Perugia, Torino e Verona, città nelle quali operavano le aziende che traevano profitto dalle operazioni inesistenti.

È il seguito dell’operazione ‘Perseverance’ che nel 2021 aveva portato all’arrestato di otto persone e a 22 condanne di primo grado, in abbreviato; tra queste spiccavano i 18 anni inflitti a Giuseppe Sarcone Grande all’epoca considerato tra i vertici della cosca, 16 anni a Salvatore Muto, 15 anni a Domenico Cordua, 14 anni e 4 mesi a Giuseppe Friyio e 14 anni a Salvatore Procopio.

Se nella prima tranche gli inquirenti avevano stroncato chi emetteva le fatture false aggravate dal metodo mafioso (dalle intercettazioni emersero minacce e violenze come la pianificazione di “gambizzare o gettare acido”) arrivando ad ottenere anche la confisca delle ‘cartiere’, in questo secondo filone sono stati coloro che hanno beneficiato delle operazioni fiscali. Gli odierni indagati sono accusati di fatture false e altri reati di natura fiscale, ma non è stata contestata – almeno per il momento – l’aggravante mafiosa seppur l’inchiesta sia comunque condotta dalla Dda per il contesto criminale.

“Il messaggio che vogliamo lanciare è che nel breve periodo, a chi sceglie di fare affari con la ‘ndrangheta forse può convenire. Ma nel lungo periodo no”.

Lo ha detto il questore di Reggio Emilia, Giuseppe Ferrari durante la conferenza stampa di stamattina nella quale è stata illustrata l’operazione Perseverance che ha stroncato un giro di fatture false emesse da società cartiere afferenti alla criminalità organizzata.

“La mafia è abituata a fare rete, ma anche noi la facciamo grazie al proficuo rapporto instaurato con Dda e guardia di finanza. Con questa inchiesta abbiamo dimostrato che seguendo i soldi, arriviamo anche a chi, pur non facendo parte della criminalità organizzata, alimenta o trae profitto dai servizi illeciti”, ha concluso il questore. “L’inchiesta ci fa capire l’evoluto modello di business della ‘ndrangheta con veri e propri servizi finanziari illegali alle aziende, applicando solitamente uno sconto che in percentuale si aggira attorno all’Iva applicabile”, ha illustrato stamattina in conferenza stampa il colonnello della guardia di finanza di Reggio Emilia, Filippo Ivan Bixio. “L’indagine ci offre uno spaccato di come opera la ‘ndrangheta che è diventata una sorta di criminalità finanziaria specializzata, ma sempre parallelamente ad un contesto di armi e violenza”, ha aggiunto il dirigente della squadra Mobile della questura reggiana Guglielmo Battisti.

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