“Prendiamo atto che, a seguito di indagine della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, diversi appartenenti alla Polizia Penitenziaria, tra i quali il Comandante del reparto della Casa circondariale reggina “G. Panzeri”, sono stati destinatari di provvedimenti cautelari – arresti domiciliari e sospensione dal servizio in merito ai presunti pestaggi subito da alcuni detenuti della Casa circondariale. Invito tutti a non trarre affrettate conclusioni prima dei doverosi accertamenti giudiziari. La presunzione di innocenza è uno dei capisaldi della nostra Carta costituzionale e quindi evitiamo illazioni e gogne mediatiche”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. “Niente è più barbaro dei processi mediatici. Ricordo a me stesso che, in molti casi ed in diverse città, detenuti sono stati condannati per calunnia per le false accuse di presunti pestaggi subìti da alcuni poliziotti penitenziari durante la detenzione. Noi confidiamo nella Magistratura perché la Polizia penitenziaria, a Reggio Calabria come in ogni altro carcere italiano, non ha nulla da nascondere. L’impegno del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE, è sempre stato ed è quello di rendere il carcere una “casa di vetro”, cioè un luogo trasparente dove la società civile può e deve vederci “chiaro”, perché nulla abbiamo da nascondere ed anzi questo permetterà di far apprezzare il prezioso e fondamentale – ma ancora sconosciuto – lavoro svolto quotidianamente – con professionalità, abnegazione e umanità – dalle donne e dagli uomini della Polizia Penitenziaria”.
“Certo fa riflettere”, aggiunge, “che in poche settimane, in tre differenti istituti, appartenenti al Corpo vengono indagati, arrestati, sospesi dal servizio per presunti reati di tortura. Io credo, e in questo senso mi appello al Presidente del Consiglio di Ministri Giorgia Meloni, al Ministro della Giustizia Carlo Nordio ed al Parlamento tutto, affinchè si preveda la sottoscrizione di un “Protocollo operativo” nel quale indicare tassativamente le modalità d’intervento con le quali la Polizia Penitenziaria deve far fronte ai diversi eventi critici che ripetutamente si verificano nelle carceri del Paese. I poliziotti penitenziari hanno diritto di conoscere come operare in caso siano posti in essere, da parte della popolazione detenuta, episodi di “barricamento”, di rivolte, di violenza, di minacce, di resistenza, di oltraggio, di danneggiamento, di incendio doloso, di evasione, di auto/etero·lesionismo, e di tutti quei giornalieri eventi, che oggi, più di prima, non si sa come affrontare”.
Il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria cerca di interpretare e, conseguentemente, dare voce ai timori, del tutto fondati, dei nostri colleghi che, quotidianamente, si trovano a dover affrontare situazioni che, oltre a esporli al rischio di aggressioni fisiche e verbali, evidentemente, li espone al pericolo di “facili” condanne, con tutte le nefaste conseguenze del caso.
Per il SAPPE, infine, “sembra che sia innescato un pericoloso processo di “scarico delle responsabilità” sull’ultimo e più debole anello della lunga catena della macchina amministrativa: ovvero la Polizia Penitenziaria. E a nulla vale la conclamata carenza di personale del Corpo (attualmente la Polizia Penitenziaria conta 4.000 uomini in meno), la mancanza di personale socio-sanitario, la totale assenza di sistemi tecnologici idonei, il sovraffollamento carcerario, la carenza di risorse economiche per le attività rieducative dei ristretti, l’inadeguatezza delle strutture carcerarie, le discutibili scelte gestionali operate dagli Organi di Vertice amministrativo e tanto altro. Per casi di evasione, ad esempio, chi è che ha “pagato” è la sola Polizia Penitenziaria. Il magistrato di turno condanna l’agente per colpa del custode, ma non rileva che in un carcere con 1.600 detenuti vi sono in servizio 18 agenti, che il circuito di “antiscavalcamento” è malfunzionante e che l’agente più giovane in servizio ha superato di gran lunga i 50 anni”.
“Per questo”, conclude Capece, “crediamo che Governo, Ministero della Giustizia e l’Amministrazione Penitenziaria debbano impegnarsi, insieme alla Polizia Penitenziaria, la reciproca responsabilità di decidere quali modalità d’intervento adottare in ogni singola situazione, disciplinando, dunque, caso per caso. Al verificarsi di un evento critico specifico, la Polizia Penitenziaria, deve poter seguire una prestabilita procedura e, di detta procedura, ne deve rispondere anche l’Amministrazione Penitenziaria”.