Le investigazioni durante l’inchiesta Calatruria, spiega il procuratore aggiunto Tescaroli, hanno consentito di far emergere “una propaggine ‘ndranghetista in fase di consolidamento, con individuazione della presenza sul territorio di esponenti di tale struttura mafiosa, proiettata a generare un regime di monopolio illecito nel trasporto degli inerti nella zona del Valdamo aretino, nonche’ di ricostruire l’impiego del metodo mafioso nella commissione di un’estorsione ai danni di un imprenditore di origine calabrese e in plurimi reati di illecita concorrenza con minaccia e violenza, finalizzati a estromettere e/o assoggettare alle proprie strategie commerciali gli altri imprenditori locali. In tale contesto e’ stata delineata anche un’ipotesi di corruzione”.
Nell’ambito di questo procedimento nell’aprile del 2021 sono state emesse cinque misure cautelari custodiali (quattro in carcere e una agli arresti domiciliari). L’impostazione accusatoria sara’ oggetto di vaglio nelle successive fasi processuali. Il secondo avviso di conclusione delle indagini per l’inchiesta Keu nei confronti dei 26 indagati e di 6 persone giuridiche riguarda “i delitti di associazione a delinquere finalizzata alle attivita’ organizzate per il traffico illecito di rifiuti e l’inquinamento ambientale, di corruzione anche in materia elettorale e di indebita erogazione di fondi pubblici ai danni della pubblica amministrazione, di falso e di impedimento del controllo da parte degli organi amministrativi e giudiziari”. La Procura distrettuale antimafia ha mosso, inoltre, “la contestazione in ordine alla responsabilita’ degli enti per illecito amministrativo da reato commesso dai propri rappresentanti, direttori e preposti”. Una parte significativa delle investigazioni ha riguardato la gestione dei rifiuti, specificamente dei reflui e dei fanghi industriali, prodotti nel distretto conciario ubicato tra le province di Pisa e di Firenze.
La Procura ipotizza l’esistenza di un sistema che vede coinvolti l’Associazione Conciatori e i singoli consorzi, “consapevoli, nell’ambito del rispettivo ruolo, dal conferitore allo smaltitore dei rifiuti prodotti, di far parte di un circuito collaudato e strutturato, tanto che i soggetti di vertice di quello che appare essere un ‘sistema’ figurano anche nelle compagini societarie o amministrative delle societa’ coinvolte”. “Il comparto industriale della concia delle pelli – spiega il procuratore aggiunto Tescaroli – rappresenta un settore di particolare impatto ambientale la cui gestione illecita provoca conseguenze in termini di contaminazione dei siti e dei corpi ricettori nei quali vengono recapitati gli scarichi e dei suoli nei quali vengono riutilizzati i rifiuti, fittiziamente recuperati o sottoposti a procedure di gestione insufficienti. Gli esiti investigativi inducono a ritenere che il meccanismo costruito che avrebbe dovuto assicurare un riciclo praticamente totale dei rifiuti prodotti dal comparto, con un conferimento in discarica sostanzialmente residuale, di fatto non raggiunge il risultato di ottenere un ciclo che recupera i rifiuti efficacemente e lecitamente”.
“Alla stregua dell’ipotesi investigativa, il peso economico del comparto associativo menzionato ha consentito ai suoi referenti di avere contatti diretti che vanno oltre i normali rapporti istituzionali con esponenti politici e amministrativi di piu’ Enti Pubblici territoriali, che a vario titolo hanno agevolato in modo sostanziale il sistema”, osserva sempre il procuratore Tescaroli. Nel corso del mese di aprile 2021 erano state eseguite sei misure di custodia cautelare (una in carcere e cinque agli arresti domiciliari) e sette misure cautelari di interdizione dall’attivita’ imprenditoriale (eseguite simultaneamente con quelle di cui al primo procedimento), due sequestri preventivi di impianti di gestione di rifiuti e un provvedimento di sequestro per equivalente per oltre 20 milioni di euro, che sono stati confermati in sede di gravame. I successivi accertamenti hanno consentito di far emergere, a livello di ipotesi da verificare nel corso del prosieguo del procedimento penale, “ulteriori illeciti commessi da nuovi indagati, collegati ad altre due aziende della provincia di Arezzo, attive nella gestione dei rifiuti provenienti dalle lavorazioni auro-argentifere, le quali, analogamente a quanto emerso per l’illecita gestione del rifiuto Keu, proveniente dal comparto conciario pisano, hanno fatto confluire ingenti quantitativi di scorie pericolose, prodotte a conclusione del proprio ciclo produttivo, presso l’impianto di Bucine (Arezzo), ove erano miscelate proprio al suddetto Keu per poi essere interrate o destinate a siti esterni con modalita’ non consentite”.
L’indagine del comparto conciario e del comparto orafo, spiega la Procura distrettuale antimafia, “sono risultate connesse in quanto entrambi i flussi dei rifiuti contaminati avevano una medesima destinazione verso lo stesso impianto di produzione di materiali inerti venduti poi come materie prime”.
L’indagine, infatti, ha consentito di “disvelare, secondo la prospettazione accusatoria, una prassi abusiva particolarmente pericolosa e dannosa per l’ambiente, ovverosia quella di declassificare i rifiuti pericolosi e le ceneri dei fanghi di depurazione contaminati, facendoli figurare come se fossero rifiuti recuperabili nella lavorazione di materiali inerti per l’edilizia, cosi’ da consentire un occultamento dei rifiuti piu’ inquinanti provenienti dal comparto conciario (ceneri contaminate da elevatissime concentrazioni di cromo) e dal comparto orafo (fanghi cancerogeni ed ecotossici contaminati da arsenico, boro, selenio) e causare anche gravi eventi di inquinamento ambientale, essendo quei rifiuti ceduti a terzi ignari e utilizzati come materie prime in terreni agricoli, in fondazioni per attivita’ edilizie residenziali, in ripristini ambientali, in opere infrastrutturali, quali strade e aeroporti”. Secondo il procuratore aggiunto Luca Tescaroli, “la gravita’ dei fatti contestati emerge anche da preoccupanti risultati delle analisi delle acque di falda che risultano essere state a contatto con tali rifiuti. Naturalmente, l’ipotesi d’accusa dovra’ essere vagliata nel prosieguo del procedimento penale”. Correlativamente, nel gennaio 2022, il Tribunale di Firenze ha emesso un sequestro di prevenzione di beni per un valore di oltre cinque milioni di euro, su richiesta della Dda fiorentina, nei confronti di uno degli imprenditori di origini calabresi legato alla cosca ‘ndranghetista Gallace di Guardavalle, nell’ambito di un correlato procedimento di prevenzione. “Il relativo procedimento e’ in corso di celebrazione e il Tribunale si sta adoperando, nel quadro di una sinergia istituzionale che coinvolge quest’ufficio, piu’ prefetture del distretto e organi territoriali, per mettere in sicurezza i depositi oggetto di sequestro”, precisa il procuratore aggiungo Luca Tescaroli. La Direzione Distrettuale Antimafia fiorentina ha coordinato e svolto le indagini con l’ausilio della Dna e il supporto investigativo di piu’ articolazioni dei Carabinieri di Firenze: Nipaaf del Gruppo Carabinieri Forestali, Comando per la Tutela Ambientale e la Transizione Ecologica (Noe), Ros sezione anticrimine, Sezione di Polizia Giudiziaria presso la Procura di Firenze.(A