“Studiavo Medicina alla Sapienza di Roma e corteggiavo una ragazza, Rosaria Giacalone, mia collega, originaria di Mazara del Vallo, che poi sarebbe diventata mia moglie, quando mi giunse una telefonata di mio padre da Gioia Tauro che una persona voleva parlarmi con urgenza”. Marcello Fondacaro ricorda così, incalzato dal Procuratore aggiunto della Dda, Giuseppe Lombardo, un episodio di natura personale che divenne oggetto di un ‘chiarimento’ dato lo spessore criminale dei protagonisti. “Giunto a Gioia Tauro – ricorda il collaboratore – vennero a prendermi a casa Alagna e Atterritano, che conoscevo come vicini ai Piromalli. In macchina, mi condussero a Cittanova, in un’abitazione nei pressi della villa comunale, dove trovai ad attendermi Nino Gangemi, al tempo latitante, e sempre vicino ai Piromalli”. “Marcello che mi combini, mi disse”? Mi hanno chiamato fratelli da Roma e dalla Sicilia per avere tue notizie”.
Da Mazara del Vallo, lo zio di Rosaria Giacalone, Mariano Asaro, aveva infatti chiesto ‘informazioni’ sulle reali intenzioni sentimentali di Fondacaro nei confronti della nipote al boss di Cetraro, Franco Mutò, che girò la ‘questione’ ai Piromalli.
“A Nino Gangemi – ha detto Fondacaro – risposi che mi frequentavo con la mia futura moglie e avrei presto deciso cosa fare. Seppi poi che Nino Gangemi era affiliato alla Ndrangheta con il grado di ‘santista’ e iniziato alla massoneria, era in rapporti con il defunto Gran maestro Ettore Loizzo, di Cosenza, e si impegnava a far entrare nella massoneria anche ndranghetisti di Rosarno, come i Pesce, Bellocco, Pisano”. Fondacaro, ancora, ha riferito, per averlo appreso in un periodo di detenzione a San Gimignano con l’avv. Domenico Grande Aracri, degli interessi che i Grande Aracri “avevano intessuto con i Mancuso, gli imprenditori Stillitani, di Vibo Valentia, e del suo interfacciarsi con l’avv. Pittelli, politico e massone di riferimento tra Catanzaro, Lamezia Terme e Vibo, per definire una serie di investimenti nel settore turistico-alberghiero con i fondi europei”.
Il collaboratore, che aveva realizzato un laboratorio analisi cliniche anche a Mazara del Vallo insieme alla moglie Rosaria Giacalone, ha detto di avere eseguito un prelievo di sangue a domicilio ad un paziente, poco prima del 1990, del quale, solo dopo seppe che si trattava del capo di cosa nostra Totò Riina. L’intervento del collaboratore fu sollecitato da Gaetano Riina, fratello minore del boss, il quale riferì a Fondacaro di “avere amici a Gioia Tauro, don Peppino, don Mommo”, i fratelli Piromalli.
Marcello Fondacaro, sollecitato dal Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, ha anche riferito di avere preso parte all’Hotel Nazionale, dinanzi a Montecitorio, ad una riunione con politici calabresi del Psi – il sen. Zito e Gentile – alla presenza dello psichiatra Alberto Santoro, suo amico e massone, in cui era stata comunicata la decisione di Craxi di puntare alla candidatura di Silvio Berlusconi nelle liste del Psi, candidatura gradita alla loggia massonica di ispirazione piduista di Gioia Tauro. Il collaboratore ha anche detto che l’ex parlamentare di Forza Italia, Amedeo Matacena, deceduto a Dubai lo scorso mese di settembre, chiese l’appoggio della masso-mafia di Gioia Tauro, affermando di essere “l’uomo di Berlusconi in Calabria” e mettendo a disposizione per la sua elezione due miliardi di lire in contanti. Marcello Fondacaro, infine, ha affermato che sul finire degli anni ’80, le mafie pensarono di abbandonare la Dc per appoggiare il Psi, partito più impegnato “ad alleviare le sofferenze dei detenuti”.(AGI)