La Corte d’Appello di Reggio Calabria si è ritirata in camera di consiglio e tra qualche ora la presidente Lucia Monica Monaco e i giudici a latere Antonino Laganà e Concettina Garreffa emetteranno la sentenza del processo “Miramare” che vede imputato il sindaco sospeso di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà, di 39 anni, del Partito democratico, per il quale la Procura ha chiesto un anno e 4 mesi di reclusione per abuso d’ufficio. Nelle scorse settimane i pm Walter Ignazitto e Nicola De Caria, applicati alla Procura generale per questo processo, avevano chiesto la conferma della sentenza di primo grado in seguito alla quale il sindaco Falcomatà, nel novembre 2021, è stato sospeso in applicazione della legge Severino. Anche per gli altri imputati era stata chiesta la conferma della condanna ad un anno di reclusione per abuso d’ufficio. Si tratta degli assessori che componevano la sua Giunta (2014-2020) e che, come Falcomatà sono stati sospesi per 18 mesi. Sono Saverio Anghelone, Armando Neri, Rosanna Maria Nardi, Giuseppe Marino, Giovanni Muraca, Agata Quattrone e Antonino Zimbalatti.
L’accusa contestata a Falcomatà riguarda i presunti illeciti, risalenti al 2015, nella procedura di affidamento dell’immobile di proprietà del Comune che un tempo ospitava l’albergo “Miramare” all’associazione “Il sottoscala”, riconducibile all’imprenditore Paolo Zagarella, condannato in primo grado a un anno di reclusione così come il segretario comunale dell’epoca Giovanna Antonia Acquaviva, e l’ex dirigente del settore “Servizi alle imprese e sviluppo economico” del Comune Maria Luisa Spanò.
L’affidamento dell’immobile, secondo l’accusa, avrebbe rappresentato una contropartita per la concessione da parte di Zagarella a titolo gratuito a Falcomatà di alcuni locali per ospitare la sua segreteria elettorale nel corso della campagna elettorale per le amministrative del 2014. Nelle settimane scorse ci sono state le arringhe della difesa. Prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio, l’ultimo intervento è stato dell’avvocato Giandomenico Caiazza, difensore di Falcomatà e presidente dell’Unione camere penali italiane, che ha chiesto l’assoluzione per il suo assistito con la formula “perché il fatto non sussiste”.