“A distanza di un anno, ci ritroviamo a parlare della stessa cosa. Reggio Calabria è, ancora una volta, ultima nella classifica de Il Sole 24 Ore sulla qualità della vita. Una notizia che, purtroppo, non sorprende più. Fin dalla nascita di questa classifica, circa 30 anni fa, Reggio si ritrova tra gli ultimi, una condizione che non è cambiata, se non per piccoli oscillamenti.
Ogni volta che emergono questi dati, la reazione è sempre la stessa: un coro di critiche alla politica locale, un’accusa all’amministrazione in corso e la promessa di risollevare la città, un “quando arriveremo noi, tutto cambierà”. Poi, non appena la scena politica cambia, l’altro lato del coro, che si difende e dice “noi siamo bravi, ma ci dipingono male”, riempie le pagine dei giornali con le solite lodi al proprio operato.
Questo è il problema. La stessa retorica che da decenni accompagna ogni notizia su Reggio Calabria. La classe dirigente, che sia di destra o di sinistra, continua a vivere e reagire alla realtà come se fosse un’incombenza a cui far fronte, senza mai davvero porsi la domanda cruciale: perché ci troviamo sempre qui? È il sistema stesso, che è capace di rigenerarsi e mantenersi intatto con qualunque colore politico, che va messo in discussione.
Non possiamo più accontentarci della “ricetta” del rinnovamento sterile della classe dirigente, quella che ci propongono da decenni e che, al massimo, cambia qualche volto, ma mai la sostanza. In realtà, le proposte di rinnovamento che si susseguono in continuazione non sono altro che forme di estrema conservazione. Esse non mettono mai in discussione il cuore del problema: una rottura culturale con un tessuto sociale che, da sempre, è rimasto conservatore ed elitario. Un sistema che si è radicato nel tempo e che, attraverso il continuo rinnovarsi della politica, ha preservato la sua struttura, senza mai sfidare davvero le dinamiche di potere che ne impediscono il cambiamento.
La vera sfida non è continuare a cambiare chi amministra, ma rompere con un sistema che continua a perpetuarsi in maniera indifferente ai governi che si succedono. La sfida è quella di un cambio culturale profondo che nasca dalla consapevolezza che, senza una rottura radicale, senza un approccio dirompente, nulla cambierà mai.
La critica che va mossa a questa amministrazione non riguarda tanto l’evidente mancanza di una visione e di programmazione, quanto il fatto che il modello che continua a governare la città, con tutte le sue inefficienze e le sue disuguaglianze, è sempre lo stesso. Il problema è che questa classe dirigente, come quelle precedenti, non sta affrontando davvero il nodo centrale: la disfunzione del sistema, che non riguarda un singolo amministratore, ma la struttura stessa che produce e riproduce diseguaglianze.
Se continuiamo a limitarci a reagire alla notizia, senza andare oltre e cominciare a studiare i dati, senza chiederci perché siamo ancora bloccati in questa condizione, non faremo altro che perpetuare un sistema che si nutre di retorica, di accuse reciproche, e di un politicismo che ha perso ogni connotato di vera partecipazione popolare.
La vera rottura deve essere culturale, deve emergere da una nuova classe dirigente che non sia semplicemente nuova per età o volto, ma che sia dirompente nelle appartenenze, libera dalle conventicole e dalle correnti, libera nelle idee, nelle soluzioni, nel coraggio di affrontare le disuguaglianze con azioni concrete. Non si tratta di un mero “rinnovamento”, alibi perché tutto resti com’è, ma di una vera e propria discontinuità che cominci dal modo di concepire la politica, il governo della città e la gestione dei suoi beni comuni.
Ecco perché non possiamo più permetterci di rispondere alla realtà con la solita frase fatta: “ma quali ultimi, al Nord non sanno neanche cos’è la qualità della vita!” O con la nostalgia di un passato idealizzato che non ci ha mai visto realmente protagonisti. Se vogliamo veramente cambiare le sorti di questa città, dobbiamo guardare in faccia i dati che ci dicono che la situazione è grave: c’è una desertificazione giovanile, un’emigrazione sanitaria che non si arresta, una disgregazione del tessuto sociale e culturale che ha bisogno di essere risanata.
In altre parole: Se siamo ultimi oggi, ieri non ridevamo. È arrivato il momento di rompere con il passato, di smettere di oscillare tra le critiche a chi ha governato ieri e le lodi a chi governa oggi. È il momento di fare un salto di qualità. E per farlo, l’azione politica deve essere finalmente di rottura, non di continuità”.
E’ quanto si legge in un comunicato stampa de “La Strada”.
