“Quella odierna è un’operazione di particolare rilievo. L’attività di indagine è partita nel 2020 e si è sviluppata nel 2021, subito dopo la scarcerazione di Piromalli. Si tratta di un’indagine in continuità con altre già portate avanti dalla Dda di Reggio Calabria, che ci hanno consentito di documentare la rivitalizzazione della cosca dopo la scarcerazione del suo capo carismatico”. Così, il procuratore capo della Procura antimafia reggina, Giuseppe Borrelli, durante la conferenza stampa indetta per illustrare i dettagli dell’operazione ‘Res Tauro’.
Nel corso del blitz, questa mattina, i carabinieri del Ros hanno eseguito, tra Benevento, Lecce, Milano, Nuoro, Palermo, Reggio Calabria, Santa Maria Capua Vetere e Ventimiglia, 26 arresti nei confronti di altrettanti indagati, dei quali 6 già detenuti per altra causa, ritenuti affiliati alla cosca di ‘Ndrangheta Piromalli di Reggio Calabria. Al vertice del sodalizio ‘ndranghetistico, Pino Piromalli il quale, ha spiegato il procuratore, “una volta tornato in libertà, ha riscritto le regole del sodalizio sul territorio, che riteneva alterate”.
“Abbiamo ricostruito la struttura di comando – ha detto Borrelli ai giornalisti -, al cui vertice si colloca Pino Piromalli coadiuvato dai suoi due fratelli, Gioacchino e Antonio, cui è contestata la direzione strategico-operativa della cosca e delle attività delittuose”.
“Quello che le indagini ci consegnano e’ un boss tutt’altro che rassegnato nell’esercitare ancora il suo ruolo di capo”.
“Piromalli, anche dal carcere, dopo l’arresto del 1999, – ha detto – continuava a impartire direttive ai membri della cosca piu’ vicini a lui, come i nipoti Girolamo e Gioacchino, soprattutto dopo lo scontro con i cugini Mole'”. A preoccupare Piromalli, era soprattutto intervenuto l’omicidio del cugino Rocco Mole’, il 1 febbraio del 2008, eliminato a Gioia Tauro con quattro colpi di pistola, un caso ancora in cerca di verita’, nonostante le dichiarazioni di alcuni pentiti sui presunti componenti del commando che aveva eseguito la sentenza di morte.
“Pino Piromalli – ha proseguito Borrelli – predicava l’armonizzazione tra le varie componenti della ‘ndrine gioiesi, intervenendo per sanare dissidi e ricomporre contrasti di interesse sul controllo del territorio, ricostruendo il livello di comando della cosca, esercitando un potere assoluto sul territorio con forme di violenza privata e minaccia armata, condizionando le aste giudiziarie per riottenere i beni confiscati (per un valore di sette mln di euro ndr), le attivita’ degli esercizi commerciali, come nel caso di un imprenditore che, sebbene pagasse la tangente, agli occhi del boss Piromalli non appariva abbastanza ‘rispettoso’ e per questo pesantemente redarguito da alcuni elementi della cosca”.