Nel silenzio assordante che accompagna le peggiori forme di violenza, si nasconde una realtà che spezza vite, annienta anime e distrugge la dignità: il revenge porn . Dietro questa espressione, che sembra asettica nella sua freddezza anglofona, si cela una tragedia che ha radici profonde nella nostra cultura. Si tratta della diffusione non consensuale di immagini o video intimi, una pratica che tradisce la fiducia e si trasforma in un’arma capace di devastare, quasi sempre, le donne.
Questa forma di violenza non lascia lividi visibili, ma imprime ferite profonde nell’anima. È insidiosa, amplificata dalla rapidità e dall’anonimato della rete, ed è per questo ancora più difficile da combattere. Non è solo vendetta, ma affermazione di un potere malsano, un modo per ridurre l’altra persona a un oggetto da umiliare, giudicare, annientare.
Dietro ogni immagine diffusa senza consenso c’è una storia di fiducia tradita. C’è una donna che ha vissuto l’intimità come spazio sicuro, per poi vederla trasformarsi in una prigione di vergogna e dolore. Le conseguenze sono devastanti: vite professionali e personali distrutte, isolamento sociale, ansie paralizzanti. E nei casi più estremi, il peso insostenibile della vergogna e del giudizio può portare al suicidio.
In Italia, il revenge porn è stato riconosciuto come reato grazie all’introduzione dell’articolo 612-ter del Codice Penale, un passo importante che però non basta. La vera battaglia è culturale, ed è una battaglia che riguarda gli uomini, perché i carnefici, nella maggior parte dei casi, siamo noi uomini.
Dobbiamo educare noi stessi e le generazioni future. Educare i nostri figli, affinché crescano con il rispetto profondo per l’intimità e il consenso altrui. Educare gli uomini tutti, i compagni, i fidanzatini e soprattutto gli “ex” perché comprendano che l’amore non ha nulla a che fare con il controllo, la vendetta o la prevaricazione. Dobbiamo spezzare la catena di una cultura che, troppo spesso, giustifica o minimizza queste violenze, trasformandole in spettacolo o banalizzandole come “errori di gioventù”.
Non possiamo limitarci a colpevolizzare la rete o le piattaforme digitali, sebbene queste debbano assumere un ruolo attivo nella prevenzione e nella rimozione di contenuti illeciti. La responsabilità è collettiva e personale: il cambiamento inizia nelle famiglie, nelle scuole, nei luoghi di lavoro. Inizia con l’impegno di ciascuno di noi a non ignorare, a non tollerare, a non restare in silenzio.
Il Revenge Porn è il simbolo di un fallimento sociale. Non è solo una violazione del corpo, ma un’offesa alla dignità umana, una dimostrazione di come il potere possa essere esercitato nel modo più vile. Eppure, c’è spazio per sperare, se iniziamo a guardare questa tragedia con la giusta prospettiva: non come un problema delle donne, ma come una responsabilità degli uomini e dell’intera società.
Oggi, nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, rendiamo omaggio a chi ha subito questa ingiustizia. Non come numeri, ma come persone. Celebriamo il coraggio di chi ha trovato la forza di denunciare, di resistere, di combattere. E impegniamoci, una volta per tutte, a costruire un mondo in cui nessuna donna deve più temere di vedere la propria intimità trasformata in un’arma contro di lei.
Perché la dignità, il rispetto e il consenso non sono solo valori. Sono ciò che ci rende umani.