È stata un’esperienza letteraria appassionante, quella di ieri sera a Palazzo Arnone. Con il pubblico delle grandissime occasioni che ha entusiasmato anche il protagonista dell’evento, il geniale scrittore inglese Jonathan Coe, ospite della Fondazione Premio Sila, per presentare il suo ultimo romanzo, “La prova della mia innocenza”. “Mi piace molto venire in Italia – ha esclamato Coe – perché gli italiani sono sempre così accoglienti, appassionati e riescono a cogliere i diversi aspetti della mia scrittura, il lato umoristico, ma anche la narrazione più profonda”.
Ad accogliere Jonathan Coe, il presidente della Fondazione Premio Sila, l’avvocato Enzo Paolini che lo ha ringraziato per la sua presenza nel capoluogo bruzio, unica tappa del Centro-Sud e tra le quattro italiane.
Tanti rifiuti a inizio carriera
Agente letterario, Marco Vigevani ha dialogato insieme a Coe del libro ma anche degli inizi della sua carriera, non proprio esaltanti. “Ho iniziato a scrivere dall’età di sei sette anni – ha raccontato lo scrittore – e a undici ecco il mio primo libro di 150 pagine. E da allora non mi sono mai fermato. Il mio primo romanzo è stato pubblicato dopo una serie di sconfitte. Avevo 15 anni. Prima, avevo scritto dei libri tremendi. La prima pubblicazione vera e propria, importante, a 25 anni, ma avevo già subito circa dieci anni di rifiuti, di storie, racconti, romanzi che resteranno per sempre sepolti nella mia casa. Non li vedrà nessuno”.
Il rapporto con le nuove generazioni
In “La prova della mia innocenza”, Jonathan Coe esplora le dinamiche della famiglia, quelle tra genitori e figli. E in questo caso, l’elemento autobiografico ha forti e caratterizzanti connotati. “In questo mio ultimo libro – ha osservato – volevo soffermarmi e mostrare la netta separazione tra la mia generazione, la generazione dei sessantenni e i nostri figli. Tutti ricordiamo quali fossero i nostri pensieri e le nostre emozioni rispetto ai nostri genitori. Non ci capiscono, ci dicono cosa dobbiamo fare. Noi invece non saremo così, saremo diversi. Ma io ho delle figlie ventenni e nonostante questo vedo che c’è comunque una differenza, perché in ogni caso dobbiamo anche parlare di disciplina. Sebbene ci proponevamo di non essere come i nostri genitori, in alcuni momenti finiamo per ricadere nel loro stesso calco. E questo gap generazionale è diventato ancora più profondo, ancora più doloroso dal 2016, dopo il referendum sulla Brexit, perché c’erano delle prospettive talmente diverse che hanno portato a risultati molto lontani da quelle che erano le aspettative dei giovani. In pratica i sessantenni o la generazione persino più anziane volevano abbandonare l’Europa, mentre ventenni e trentenni erano pronti a rimanere. Erano proprio loro a proporre l’idea di restare. Di conseguenza, il risultato del referendum è stato un rospo enorme da ingoiare per le nuove generazioni che si son visti davanti 40-50 anni di vita lontani dal loro progetto, dalle loro idee”.
La scappatoia Friends
Nel libro, una delle protagoniste si rifugia in una serie tv, “Friends”, che non appartiene alla sua epoca e Jonathan Coe interpreta questo atteggiamento come un piccolo ponte che vuole unire le due generazioni di genitori e figli. “Prima di iniziare questa conversazione avete ascoltato la musica di Friends di sottofondo in maniera quasi ossessiva – ha esclamato Jonathan Coe – perché penso che Friends si colleghi alla politica. I figli di oggi vivono in un mondo caratterizzato da incertezza, da pericolo, da problemi importanti che ci sovrastano, come il cambiamento climatico o le elezioni politiche. Queste nuove generazioni sono più ansiose e spesso cercano rifugio in qualcosa che li fa sentire più protetti. In fondo, Friends appartiene a un momento storico che era prima dei social media, prima dei telefonini, strumenti che generano ansie in queste generazioni”.
Dibattito civile e politica
Oltre a stabilizzare il focus sulla famiglia, i romanzi di Jonathan Coe sono eminentemente politici perché non si sottraggono mai al dibattito civile e alla politica, al racconto di mutamenti politici, sociali. “La politica fa parte della nostra vita, dobbiamo pensarci per forza – ha affermato Jonathan Coe –. Per noi è interessante, ma a volte diventa disfunzionale. Ed è esattamente questo che abbiamo visto nella società britannica soprattutto degli ultimi dieci anni. Molti pensano che io faccia parte di circoli politici o che abbia dei rapporti con membri del Parlamento. Ci tengo a specificare che non solo non è assolutamente così, questa cosa mi inorridirebbe. Il mio interesse come scrittore sono i piccoli drammi della nostra vita la vita di famiglia, il lavoro, l’amicizia. Questi sono i temi reali che per me sono interessanti. Ma tutti questi eventi della nostra vita non accadono in un vuoto pneumatico. Sono assolutamente radicate nella società che viviamo e che sono influenzati dalle decisioni prese da persone che sono distanti da noi migliaia di chilometri, persone che non ci conoscono e che noi non conosciamo. E ho capito che come scrittore non potevo creare una netta separazione tra la vita quotidiana e poi il contesto politico. Il mio nuovo romanzo parte proprio da una conferenza politica dell’estrema destra nella quale un giornalista spettatore di questi eventi viene ucciso. Molti pensano che questo assassinio sia un assassinio politico e di fatto la politica aleggia sullo sfondo. Ma la parte emotiva di questa narrazione è proprio il discorso della figlia del giornalista ucciso che elenca le qualità di questo padre che lei amava, incluso condividere la visione di Friends”.