Rara e subdola: si presenta con febbre, stanchezza, debolezza, dolori alle ossa, perdita di peso, sudorazione notturna, prurito, che non hanno un’apparente giustificazione. È la mielofibrosi, un tumore particolarmente aggressivo del sangue che in Calabria colpisce 20 pazienti e a Cosenza circa 7, a fronte di un’incidenza in Italia di circa 350 nuove diagnosi all’anno. Ad oggi il trapianto di midollo osseo allogenico è l’unica procedura che può portare alla guarigione, ma è indicata solo nel 10-15% dei pazienti ed è comunque un’opzione ad alto rischio. Ma c’è una buona notizia: in alcuni centri specializzati italiani, tra cui quello dell’Annunziata di Cosenza, nel unità operativa complessa di ematologia diretta dal prof. Massimo Gentile, è invece già disponibile una nuova cura, il momelotinib, che è un’alternativa valida quando non si può fare il trapianto ed è in grado di migliorare anche i due sintomi piu invalidanti: la splenomegalia (ingrossamento della milza) e l’anemia. Il farmaco è già autorizzato dall’Unione Europea, è in attesa di approvazione da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).
“Da alcuni mesi stiamo usando questo nuovo farmaco messo a disposizione gratuitamente dall’azienda produttrice in attesa dell’autorizzazione italiana alla commercializzazione – spiega il prof. Gentile –. Una soluzione provvisoria ma fondamentale, visto che i trattamenti attualmente disponibili hanno un’efficacia limitata e, in molti casi, la mielofibrosi continua ad avere un impatto devastante sulla qualità della vita, specialmente a causa della necessità di frequenti trasfusioni di sangue e per gli effetti dell’ingrossamento della milza”.
La mielofibrosi appartiene al gruppo delle malattie mieloproliferative croniche, che comprendono anche la policitemia vera e la trombocitemia essenziale. Nella mielofibrosi si verifica una graduale comparsa di tessuto fibroso, che modifica definitivamente la struttura del midollo osseo, non consentendone più il corretto funzionamento emopoietico, ossia la normale produzione delle cellule del sangue. Questo è causa di anemia e molti pazienti diventano “trasfusioni-dipendenti”.
“Oltre all’anemia, tra i problemi principali del paziente con mielofibrosi c’è la splenomegalia, l’ingrossamento della milza, che è responsabile di una serie di disturbi, soprattutto gastrointestinali – aggiunge il prof. Gentile -. La milza ingrossata, infatti, comprime gli organi vicini, in particolare stomaco e intestino. Il paziente avverte difficoltà nella digestione, sensazioni di pesantezza allo stomaco, fastidio a livello dell’addome e sazietà anche dopo aver mangiato poco. In alcuni casi, la milza è così ingrossata da occupare gran parte dell’addome, fino a comprimere i polmoni, causando tosse secca e dolore alla spalla sinistra, e i reni, con difficoltà a urinare”.
Nei casi più avanzati la malattia può rendere molto difficili attività normali, come camminare, salire le scale, ordinare la casa, fare la doccia e cucinare. Nel 20% dei casi i pazienti hanno necessità di trasfusioni e si devono recare all’ospedale inizialmente una volta al mese, fino ad arrivare anche a 2 volte a settimana, perché nel tempo c’è un minimo di refrattarietà alle trasfusioni e, soprattutto, la malattia progredisce. A livello clinico le trasfusioni possono causare un accumulo di ferro nel cuore, nei reni, nel fegato.
“I farmaci a disposizione, i Jak inibitori, riducono la splenomegalia e migliorano i sintomi sistemici, ma possono anche peggiorare l’anemia – sottolinea Gentile -. Il momelotinib, che appartiene sempre alla classe dei Jak inibitori, ma con un meccanismo d’azione diverso, è stato approvato in Europa per il paziente con mielofibrosi anemico. Questa molecola ha dimostrato di migliorare non solo la splenomegalia, ma anche l’anemia. Il nuovo farmaco, oltre a inibire Jak1 e Jak2, notoriamente coinvolti nella malattia, punta anche a un altro target, Acvr1. In questo modo aumenta i livelli di emoglobina, migliorando quindi anche i sintomi costituzionali, splenomegalia e citopenie”.
In attesa che l’AIFA dia la sua approvazione ufficiale, il momelotinib è codificato come “Aid” (Patient assistance programm) e quindi è a disposizione “per uso compassionevole” dei pazienti con mielofibrosi e dei clinici che ne fanno richiesta. “Attualmente nella nostra Regione sono stati trattati con momelotinib 6 pazienti sugli oltre 230 totali in Italia – conclude il prof. Gentile -. L’approvazione del farmaco da parte dell’AIFA aumenterebbe le chance di accesso al trattamento, riducendone i tempi di attesa”.