di Roberta Mazzuca – “E ti vengo a cercare. Voli imprevedibli ed ascese velocissime di Franco Battiato”. Questo il titolo dello spettacolo nonché dell’omonimo libro di Andrea Scanzi che, all’interno della suggestiva cornice del Castello Svevo di Cosenza, ha messo in scena un interessante e, a tratti, emozionante viaggio nella vita e nel pensiero del grande maestro della musica italiana Franco Battiato. Un viaggio che parte da lontano, dall’incontro con Giorgio Gaber, primo a intuire le potenzialità del cantautore, fino al momento della sua scomparsa.
Un lungo percorso che ha attraversato, con grande sensibilità ma anche profonda ironia, l’immensa carriera di Battiato, con una particolare attenzione al periodo d’oro che va da “L’era del cinghiale bianco” a “Gommalacca”, tra divertenti aneddoti, foto e video a contrappuntare il racconto, e l’ascolto di alcuni dei brani più significativi, cantati e suonati da Gianluca Di Febo, leader dei Terza Corsia e dei Floyd On The Wing. Scanzi racconta così, tra musica, parole, e immagini, tutte le fasi che hanno attraversato la vita e la carriera del cantautore italiano, descrivendo il suo eclettismo, la sua vocazione rivoluzionaria e la dialettica tra alto e basso, tra fuori e dentro, determinante per comprendere a fondo la sua poetica.
Francesco Battiato, in arte Franco su suggerimento di Giorgio Gaber, è stato un vero e proprio “rivoluzionario in servizio permanente”. Ha attraversato periodi molto diversi, cercando sempre nuove strade per comunicare la sua musica: di protesta, pop, krautrock, sperimentale, rock, d’autore, classica, sinfonica. Scanzi le racconta tutte: dalla complessità di “L’Egitto prima delle sabbie” alla solennità di “Come un cammello in una grondaia”, dall’avanguardia di “Pollution” fino alla straordinaria fase di spiritualità che va da “Fisiognomica” a “Caffè de la Paix”, senza dimenticare le canzoni di enorme successo come “Centro di gravità permanente” e “Bandiera bianca”, la dolente “Povera patria”, la struggente “La cura”, la prodigiosa “Prospettiva Nevski” o la stessa “E ti vengo a cercare”.
Parla, ad esempio, degli anni a cavallo tra i ‘60 e i ‘70, della profonda depressione in cui cadde Battiato, e di come la meditazione, la spiritualità, la ricerca di qualcosa che vada oltre il proprio corpo fu ciò che lo salvò: “Era un bulimico della spiritualità, e aveva un enorme talento: trasformare la complessità in qualcosa di perfino commerciale” – afferma Scanzi dal palco.
Analizza, poi, i vari periodi di transizione, la collaborazione con Giusto Pio, che diventerà suo alter ego musicale, per arrivare a quella che definisce la trilogia perfetta di Battiato: “L’era del cinghiale bianco”, “Patriots”, e “La voce del padrone”. Tratta il tema dei testi, con i quali “Battiato si divertiva a infastidire la borghesia”, ma che avevano un preciso senso: “In Centro di gravità permanente scrive: “Gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia dei Ming”. Ecco, verrebbe da dire, cosa hai fumato? Sembra criptico e insondabile, invece sta semplicemente parlando di una storia vera, il riferimento alla figura storica di Matteo Ricci, gesuita euclideo, che entrò a corte degli imperatori cinesi”. Ancora, racconta di quando, dopo il raggiungimento dell’apice, Battiato entra nella trilogia di transizione: il cantautore siciliano fluttua, non trova il suo “centro di gravità permanente”, abbraccia ciò che lui stesso ha definito “l’ozio greco”. Scanzi cita, poi, il concerto di Battiato al Vaticano, voluto da Giovanni Paolo II; quello di “Giubbe Rosse”, primo album live, e il concerto di Baghdad nel 1992: “Anche all’epoca c’era, come adesso, chi diceva “ma perché proprio ora? Non sarà mica filo-Saddam? Ma Battiato rispondeva “Vado proprio adesso perché le vittime della guerra sono i bambini, i civili, e io vado a portar loro un po’ di denaro, un po’ di affetto, un po’ di musica”.
Insomma, un racconto lungo e intenso quello di Scanzi che, con accuratezza e passione, ripercorre la carriera di Battiato seguendo ogni snodo, picco e azzardo del genio ironico e poliedrico della musica italiana. Un racconto che ha attraversato, ancora, la collaborazione con Manlio Sgalambro, arrivando all’ultimo Battiato, caratterizzato anche da una cifra politica, schifato dal berlusconismo, con canzoni esplicite e dritte, come “Inneres Auge” che, racconta il giornalista, “nasce da una corrispondenza con Marco Travaglio. Io me lo immagino Battiato che gli dice “Voglio scrivere una canzone su Berlusconi”, e Travaglio che risponde “Si, bello, picchia forte”. O, ancora, il mondo delle cover, con l’album “Fleurs”.
Uno dei momenti più commoventi e toccanti, oltre che rivelatori del genio e della grandiosità di un artista come Battiato, quello in cui Scanzi parla del disco “Come un cammello in una grondaia”: “Un Battiato che ti prende l’anima, te la sconquassa, te la distrugge”. Uno dei brani contenuti in questo album è “Povera patria”: “Povera patria parla di Borsellino, Falcone e Tangentopoli, certo, vero in parte. Ma quando viene scritta? Nel 1991. E quando avvengono le stragi di Capaci e Via d’Amelio? Un anno dopo, nel 1992. E allora com’è possibile che Battiato veda già tutto questo? Perché i veri artisti sono questo, sono ipersenzienti. Questo brano è, per me, un grido di dolore sul presente da colui che aveva visto il futuro e poi era venuto a raccontarcelo”.
E, mentre le note del brano accompagnano queste parole, emerge tutto il rispetto e l’amore di Andrea Scanzi per un uomo che ha rappresentato una vera e propria rivoluzione nel panorama musicale italiano, lasciando a noi insegnamenti di vita che rimangono eterni: “E ti vengo a cercare è una maniera garbata per raccontare, e ringraziare, un gigante che ci ha insegnato com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”. Così Scanzi descrive lo spettacolo, messo in scena ieri sera in una terra che, forse più di altre, cerca ancora di trovare quell’alba dentro l’imbrunire cantata da Battiato, in una rivoluzione che, come il maestro insegna, non è mai troppo tardi realizzare.