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“Nel labirinto emotivo e spirituale di un’umanità reclusa tra quattro mura”

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Nel labirinto emotivo e spirituale di un’umanità reclusa tra quattro mura, emerge con ferocia, quasi a voler celatamente indicare una via di fuga, la riconsiderazione della malattia e del portato di sofferenza che contempla. Trascendendo ogni scenario più o meno realistico della fase post pandemia, è nel presente che risulta doveroso affrontare il significato della malattia, per riuscire a superare l’effetto paralizzante che essa comporta, a tutti i livelli cognitivi.

Naturalmente (ma non dovrebbe essere così naturale) la condizione di positività al virus è percepita ed esperita in maniera diversa a seconda dell’ambiente culturale ed anche cerebrale di ogni infetto. Si assiste a passeggiate beffarde, nella totale violazione delle norme, di coloro che certificano il falso, costringendo a un altro destino il vicino malcapitato, così come ad un senso di quasi vergogna da parte di chi vive la malattia direttamente o indirettamente, sentendosi il “prescelto” da una sorte matrigna, che solo dopo ricatti e minacce di morte, abbandona il suo corpo, per non sopportare l’umiliazione della sconfitta. Ma in questa favola la matrigna ha combattuto ad armi impari ed è stata sconfitta.

L’umanità attuale più occidentalizzata, più tecnologicizzata, più farmacologicizzata, più socialnetworkizzata, ha ottimizzato il soddisfacimento delle proprie necessità adattando il tempo a richieste continue, che hanno contribuito ad allontanare il singolo dalla conoscenza a trecentosessanta gradi del proprio sé, inteso come interrelazione e complessità di facoltà mentali e spirituali. Nel momento in cui arriva la malattia, singola o collettiva, ecco che tali legami, peraltro conosciuti da pochi, si lacerano poiché il processo di cura richiede un tempo lento, lentissimo, che rimescola i tre piani costitutivi dell’individuo, fisico, mentale e spirituale.

E proprio tale tempo rallentato deve essere considerato un’opportunità di conoscenza che la vita dispensa all’essere-uomo, ponendolo temporaneamente su un palcoscenico per recitare una commedia che, come nel migliore dei casi, si conclude con lacrime di gioia.

di Daniela Parisi

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