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Questioni lunari e questioni terrestri

di Mariagrazia Costantino* – Parafrasando il titolo del libro di quel genio che era Roberto “Freak” Antoni, non c’è gusto in Calabria ad essere intelligenti.
L’estate arriva implacabile ogni anno, e con lei le zanzare, gli scarafaggi e la puzza di spazzatura in decomposizione (e di sudore, di quelli che evidentemente sono idrofobi). L’estate evoca il ricordo delle conversazioni serali con birra in mano. Quelle piacevoli e quelle meno piacevoli, che per fortuna, man mano che si avanza d’età, diminuiscono, perché quando si è giovani si ha più tempo e pazienza, anzi si ha il lusso di perdere tempo a dialogare con chi ha la capacità analitica di un Jack Russell (cito questa razza perché ha un’energia caotica e ingestibile). Che poi dialogo non è mai, perché queste persone – tantissime, un esercito – vogliono solo un pubblico muto su cui riversare il parto delle loro menti paranoiche, e se incontrano qualcuno che contesta le loro idee bislacche, la loro missione diventa “asfaltarlo” in tutti i modi leciti. Ormai è un gioco al rialzo a chi la spara più grossa. Fateci caso, se ricordate a quelle persone che avevano detto qualcosa che si è dimostrato falso (per non dire altro), loro vi guarderanno con lo sguardo bovino di chi non ha idea di cosa stiate dicendo, perché sono già andati oltre. Sono passati alla cospirazione successiva. A costoro non interessa mai il merito della questione e le ricadute sociali che un fatto può avere: loro sono alla spasmodica ricerca di attenzioni, e le teorie improbabili che abbracciano di volta in volta servono a quello, a dire al mondo che esistono, come i bambini che cercano di attirare l’attenzione degli adulti facendo le cose più improbabili e disgustose.
La tragedia è che questi bambini sono adulti, votano e vanno in giro per il mondo (o a Reggio Calabria) a fare danni.
Qualche anno fa, nell’era pre-Covid, andava di moda prendersela con l’Europa e con l’Euro, perché per colpa loro era aumentato il costo dei giocattoli. Una volta chiesi a uno di questi piccoli cavalieri senza macchia, come sarebbe sopravvissuta l’Italia nel caso di un’emergenza sanitaria, senza Euro e senza Europa. Poi è arrivato il Covid-19, l’Italia sembrava il set di un film di guerra con gli alieni, e se ne siamo usciti, in un modo o nell’altro, è stato proprio grazie all’Europa, che ha comprato i vaccini e ci ha mandato i soldi del PNRR. Farlo presente a chi sparava a zero sull’Europa è inutile e controproducente: queste persone e le loro idee esistono solo in un mondo di astrazione velleitaria, perché solo in quello possono trovare una validazione. Messi di fronte alla realtà dei fatti, si sciolgono come ghiaccioli al sole.
I miei preferiti sono quelli che dicono che non siamo mai stati sulla Luna, perché le foto sono troppo nitide (presupponendo di conoscere esattamente il livello della tecnologia fotografica allora in dotazione alla NASA) o perché gli astronauti non compiono regolarmente missioni sul nostro satellite naturale: si sa che andare sulla Luna è facile come passare al supermercato sotto casa.
Ma loro sono troppo svegli. A loro non gliela si fa. Questi rivoluzionari in bermuda sono gli stessi che cedono ai ricatti peggiori, e fanno i compromessi più ridicoli, pur di garantirsi tutta la tranquillità e le comodità di un’esistenza piccolo-borghese. E si dovranno pur inventare qualcosa per mantenere l’illusione di condurre una vita spericolatissima; per ricreare un simulacro di ribellismo innocuo e a portata di mano.

Ma è veramente innocuo questo meccanismo? Non sarà forse che a furia di inseguire – o peggio ancora inventarci – nemici immaginari, abbiamo perso di vista quelli veri, quello intorno a noi?
Socrate diceva “Conosci te stesso”; l’altra metà di questo monito potrebbe essere “Conosci i tuoi nemici”, perché se non lo fai, non potrai difenderti. E di fatti siamo arrivati al punto in cui non vedendo i veri nemici, non possiamo neanche difenderci da loro. Di cosa parlo? Parlo dei mafiosi, veri o presunti tali – “fake it till you make it” dicono gli americani – che vessano quotidianamente con i loro piccoli e grandi atti di prepotenza (saltare le file, chiedere favori sotto o sopra banco, truccare appalti, assunzioni, cadaveri), ma soprattutto di quelli che per decenni hanno avvelenato il territorio calabrese, seppellendo e affondando rifiuti tossici, scorie radioattive, sostanze che tornano a noi e ci fanno ammalare e morire. Lo so, questo pezzo ha preso all’improvviso una piega molto cupa, ma è proprio questa piega – che rimane latente sotto le frasi fatte, i discorsi di circostanza e i sorrisi di convenienza – a segnare l’esistenza delle persone.
Il vero danno delle cospirazioni è che fanno diventare tutto potenziale materiale da cospirazione. Persino quello che cospirazione non è, ma che a molti fa gioco bollare come tale. D’altra parte oggi la Luna sembra molto più vicina e a portata di mano di certe verità che troppi vogliono tenere interrate, lontano da sguardi indiscreti. Nella provincia di Reggio Calabria, il talento nell’insabbiare, nascondere e seppellire, ha raggiunto livelli olimpionici. Prova ne sia che di questi fatti si parla solo fuori: dalla città e, con qualche sparuta eccezione, dalla regione nella sua interezza.

Di cosa, fra le tante, non si parla? Ad esempio delle indagini riguardanti le ecomafie, gli interramenti di scorie radioattive e rifiuti pericolosi, la Rigel e altre “navi a perdere” nel mare Jonio: la “terra dei fuochi” calabrese. Indagini naufragate come certe navi, perché mentre tutto a fondo, non si va a fondo di niente.
L’operazione più promettente, volta a trovare le prove e i colpevoli dei reati – tra i vari – di disastro ambientale, corruzione e truffa ai danni dello Stato, si chiuse in modo brusco, con la morte avvenuta nel 1995, in “circostanze misteriose”, del Capitano Natale De Grazia, prima che si potesse giungere a prove schiaccianti e istruire quindi processi e condanne. Il Capitano, quasi certamente avvelenato (come NON dimostra l’assenza di esami tossicologici), stava per arrivare alle coordinate esatte dei punti in cui le navi dei veleni sarebbero state – di fatto furono – affondate, nello sconfinato e profondo tratto di mare che va da Capo Spartivento a Crotone, ma che si ritiene estendersi fino alla Puglia.
Noi non vediamo quello che inquina, ma ne viviamo gli effetti: l’incidenza fuori dal normale di leucemie fulminanti tra chi è entrato in contatto con quelle sostanze, di certi tumori e delle malattie della tiroide. Un altro effetto altrettanto evidente, ma più difficile da ricostruire, è la totale mancanza di cultura ambientale del “cittadino” medio calabrese, che vede la tassa rifiuti come una seccatura da aggirare, e non batte ciglio non solo davanti ai cumuli maleodoranti di rifiuti che assediano le strade, ma ancora più colpevolmente davanti ai frequenti roghi in cui si brucia di tutto – amianto compreso – come sanno bene i residenti di Arghillà, che si sono uniti per formare un comitato (unico fragile baluardo di civiltà in una terra di nessuno) e denunciare quella che è ormai diventata un’oscenità quotidiana.
“Io so” diceva Pasolini nella famosa lettera al Corriere della Sera dell’8 novembre 1974. Cosa sapeva Pasolini? Sapeva i mandanti delle stragi nere e le altrettanto nere trame dietro il “Golpe borghese” e la morte di Enrico Mattei, personaggio scomodo almeno quanto Pasolini. E noi cosa sappiamo? Sappiamo che la Calabria, con la provincia di Reggio in testa, è stata usata come discarica di rifiuti altamente tossici provenienti da tutta Europa, per volere e opera di criminali che non si sono fatti (e continuano a non farsi) scrupolo di avvelenare, tra gli altri, anche i propri “cari”, i membri di quella famiglia che pure dovrebbe essere così centrale nella logica tribale di questi territori. Qui però siamo ben oltre la tribù: qui tocchiamo la sfera dell’“indegnità”, come dice uno dei Morabito di Africo, il cui boss Giuseppe (reo confesso) è considerato primo responsabile di alcuni dei disastri ecologici in esame. Nella logica ’ndranghetista, l’indegnità è peggio dell’infamia: perché indegno è colui che non merita di essere considerato “umano.” Ma nemmeno animale se per questo. Se credessi all’Inferno, direi è l’unico luogo dove questi elementi, più nocivi di quello che hanno seppellito, non sarebbero fuori posto. Peccato che l’inferno vero, dove vive anche la gente innocente, lo abbiano creato loro in Calabria.
Nel lungo e già datato speciale delle Iene dedicato a questa inchiesta, una delle conclusioni cui sono arrivati gli intervistati da Giulio Golia (tra cui il Maresciallo Moschitta, che accompagnava De Grazia la notte in cui morì), è che se le indagini venissero riprese e si riuscisse a dimostrare quello che finora è ben più di un sospetto, per la ’ndrangheta sarebbe la fine, perché la gente non perdona chi avvelena lei e i propri figli.

Io non ne sono così sicura. Forse poteva essere vero dieci, venti anni fa. Oggi la gente non ragiona più, la gente “è ragionata” dagli smartphone, dalle scadenze, dalle incombenze inutili: matrimoni sfarzosi, gender reveal, cene di gala e altre pagliacciate che ci allontanano inesorabilmente da noi stessi e dalla verità. Si guarda il dito perché la Luna è sempre più lontana. Proprio come una nave che cola a picco.

*Sinologa e docente universitaria. Ha un Master e Dottorato in Cinema e scrive di Global Media e Geopolitica

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