“Era il 7 febbraio scorso quando ho scritto questa lettera di commiato. Non l’ho mai pubblicata e diffusa per tante ragioni, ma per una in particolare: pensavo in cuor mio di non sradicare del tutto, nella mia comunità già avvilita per questa infamia immeritata, quella speranza necessaria, preziosa e sempre indispensabile per andare avanti, nonostante tutto e tutti.
Lo faccio oggi, alla luce di quanto purtroppo temuto ed accaduto, anche e soprattutto per condividere a mente fredda non solo sentimenti e analisi, ma quell’esigenza improcrastinabile, che la scandalosa vicenda di Tropea rende adesso un punto di non ritorno per la Politica e le Istituzioni nazionali, di modifica di una legge (quella sullo scioglimento dei comuni per presunte infiltrazioni mafiose) che rappresenta un’aperta violazione di tutti i principi costituzionali e giuridici della nostra Repubblica Democratica”. Così il sindaco di Tropea, Giovanni Macrì, ritorna sullo scioglimento del Consiglio comunale di Tropea per infiltrazioni mafiose.
Mie care Principesse, miei cari Principi,
a breve potrebbe concludersi la mia esperienza da Sindaco del posto più bello del mondo.
Ho dato il massimo e non ho nessun rimpianto anche perché i risultati raggiunti, frutto dell’impegno e della condivisione di ogni azione con la parte sana e matura della nostra comunità, mi hanno ampiamente gratificato di tutto quello che penso di aver dato.
Non è stato un sacrificio perché l’onore di guidare la mia città verso la riconquista del ruolo e dello spazio che le competeva nel mondo, ha prevalso sulla fatica, sul sudore versato e sulle umiliazioni che ho dovuto patire lungo questo difficile percorso, l’ultima delle quali potrebbe essere quella finale.
Una legge vergognosa, fascista, reminiscenza della Santa Inquisizione e del maccartismo più sfrenato, verosimilmente getterà alle ortiche l’impegno di cinque anni, un lavoro la cui bontà ha trovato riscontro in risultati oggettivamente visibili edampiamente certificati anche a livello internazionale.
Fatti e non mera fuffa, che solo chi è in male fede e molto mediocre ovvero affetto da seri disturbi del comportamento non riuscirà mai a vedere e giammai a comprendere.
Una legge in bianco che delega alla sensibilità o per meglio dire all’insensibilità, del burocrate di turno il potere incontrollato di gestire le sorti di una comunità senza doverne pagare poi il prezzo.
È necessario che il legislatore, soprattutto i parlamentari del Sud, intervengano sollecitamente per correggere questo ulteriore gap che i Sindaci del Sud Italia e le loro comunità pagano senza alcuna ragione e senza alcun controllo.
Non si tratta di eliminare una legge, ma semplicemente di correggerne le evidenti criticità ispirandosi alla logica, ai più elementari principi dello stato di diritto ed alla Costituzione della Repubblica.
Basterebbero poche righe a risolvere le gravi illegittimità della norma.
Questo vuole essere il mio contributo che cercherò di sottoporre a chi ha il potere di intervento.
Questi, in estrema sintesi, i correttivi che, a mio sommesso avviso, potrebbero contribuire a rendere una legge miope e di matrice squisitamente inquisitoria, che alla fine fa solo gli interessi della criminalità organizzata a scapito di quelli della parte sana della comunità, accettabile e giusta.
Non si tratta di proposte insensate o, addirittura, eversive e in odore di mafia, ma logiche e oltremodo legittime. Si ha forse paura di sottoporre un’analisi fatta da funzionari dello Stato al vaglio di un organismo tecnicamente superiore, terzo, e competente come l’autorità giudiziaria?
E, poi, che qualcuno me lo spiegasse, come è possibile che la relazione prefettizia, nella redazione integrale, non viene, per principio e con motivazioni censurate senza soluzione di continuità dalla giustizia amministrativa, tempestivamente consegnata alla controparte in modo da far perdere ulteriore tempo nella proposizione e definizione del ricorso?
Cosa si nasconde dietro questa prassi censurata sistematicamente come illegittima?
Forse la vergogna per quello che contiene?
La mia è una semplice proposta per cercare di riaprire un dibattito che, sistematicamente, chissà perché, si conclude senza mai dare alcuna parvenza di risposta.
Non ci resta quindi che arrenderci ad un esito che l’esperienza ci dice avere una conclusione scontata.
Ovviamente non mi arrenderò e difenderò il mio onore e la mia comunità fin tanto che ne avrò la forza ed il diritto per lo consentirà.
Nel frattempo, perché tempo ne passerà per aver un giudizio anche in virtù di quella prassi illegittima nel non consegnare le carte che ho sopra denunciato, è necessario che ognuno di noi si prenda cura della città, del nostro posto, a cominciare dal proprio uscio.
Non ci sarà più il sindaco a raccogliere i mozziconi o a sistemare un albero piuttosto che una buca o, addirittura, la siepe di un privato, a controllare un cantiere, a preparare la strada per conquistare un riconoscimento, a rompere le scatole perchè le cose si muovano, quindi sarà fondamentale che ognuno di noi faccia quanto meno la propria parte per non vanificare nel giro di qualche mese i risultati conseguiti anche a livello culturale e di comune sentire.
Qualcuno si sentirà libero di fare i propri comodi, altri cercheranno – come purtroppo spesso accaduto – di ottenere ciò che gli è stato legittimamente negato per ragioni di interesse generale e di diritto.
Qualcuno, mentalmente disturbato, penserà di avere chissà quale spazio e qualcun altro ancora, che grida alla legalità, salvo poi richiederne la pratica solo per gli altri, cercherà di infiltrarsi giocando la carta del mio carattere apparentemente arrogante e della vanità del proprio interlocutore.
Spero di essere smentito dai fatti, ma se così non dovesse essere assicuro il mio massimo impegno, sino all’esaurimento di tutti gli strumenti che mi dà il diritto, nella cura e nella tutela, sia pure in modo differente, del posto che amo.
Tropea, 7 febbraio 2024
Giovanni Macrì