“La storia di mano di gomma”, scritta dal giornalista Antonio Anastasi per i tipi di Luigi Pellegrini, continua a suscitare interesse. Lo conferma la seconda edizione del volume, appena pubblicata, che risulta arricchita di nuovi elementi sulla figura del mammasantissima di Cutro Nicolino Grande Aracri e, in particolare, sulle sue notevoli conoscenze del trading clandestino on line.
Viene così premiata dai lettori la capacità dell’autore di sapersi muovere tra i meandri di una storia criminale, mai raccontata prima, che dalla Calabria ha fatto radici nel nord Italia, soprattutto in Emilia (ma anche in Veneto, nella Bassa lombarda, in Liguria, in Toscana, in Valle d’Aosta, Romania e Bulgaria). Una “finestra sul mondo oscuro e pericoloso della mafia calabrese”, scrive nella prefazione al libro Antonio Nicaso, “in cui le alleanze e le rivalità, le tradizioni e le leggi non scritte si intrecciano in un labirinto inestricabile di violenza e potere”.
Una realtà all’interno della quale prende corpo e manifesta tutta la sua capacità “rivoluzionaria” il disegno ambizioso di Nicolino Grande Aracri di costituire una nuova “provincia” criminale, autonoma e paritetica rispetto a quella secolare di Polsi. E, dunque, l’abilità del boss cutrese di fare sistema, mettendo a frutto doti e qualità grazie alle quali nel tempo è riuscito a trasformare il suo quartier generale, in contrada Scarazze, in un micidiale punto di progettazione, controllo e azione criminale, capace di eliminare qualunque resistenza. Di abbattere muri e confini. E di proiettare lo sguardo verso “mete” mai prima da alcuno prese in considerazione, sovvertendo “il modus operandi di una ‘ndrangheta che si limita a vessare l’imprenditore conterraneo che non denuncia le estorsioni subite per paura di ritorsioni nei confronti dei familiari rimasti a Cutro”. Un dominio assoluto in conseguenza del quale “perfino i più grossi industriali emiliani, nonostante solide relazioni con coop rosse e istituzioni locali, andavano a braccetto con gli imprenditori di riferimento di un’organizzazione criminale che continua a disporre di enormi capitali che fanno gola anche al nord”. Un sodalizio che Nicolino Grande Aracri ha plasmato a propria immagine e somiglianza. Fino alla decisione, una volta condannato senza avere alcuna possibilità di riacquistare la libertà, di collaborare – o di far credere che avesse scelto di farlo – con i magistrati, che però scoprono le sue vere intenzioni. Dichiarazioni “generiche, illogiche e fantasiose”, concludono i pm antimafia. Che bocciano “mano di gomma”. E il suo tentativo di avvantaggiarsi – favorendo così anche la protezione dei suoi familiari – di una scelta rivelatasi fatale. Nonostante la sua non comune intelligenza. E i trascorsi, di “pari tra i pari” nella più pericolosa organizzazione criminale del mondo.