di Paolo Ficara – Bando, ancora no. Sbando, probabilmente sì. L’affitto straordinario del centro sportivo Sant’Agata a La Fenice Amaranto, scaduto di fatto ieri lunedì 18 dicembre, sta vivendo ulteriori 48 ore di proroga della proroga. Giovedì mattina – forse – verrà risolto il dubbio se queste 48 ore saranno state di riflessione. O viceversa, se saranno tornate utili solo per evacuare. Nella seconda ipotesi, l’augurio è che i beni materiali di proprietà della Reggina 1914 rimangano dove si trovano.
Nell’un caso e nell’altro, sarebbe non utile ma fondamentale una pubblica esternazione da parte, in questo caso, della Città Metropolitana. Ed al momento, solo sul caso specifico del Sant’Agata. Per un semplice motivo. Per i primi 6-8 mesi dell’anno solare, sono stati scartavetrati i neuroni ai tifosi con i concetti di trasparenza e legalità. Bisognerebbe cogliere la palla al balzo per emanare il primo vero comunicato trasparente del 2023, a fine dicembre e quindi appena in tempo.
Un comunicato utile ad informare la tifoseria circa la presenza di eventuali problemi economici, per la permanenza della Fenice Amaranto all’interno del centro sportivo di via delle Industrie. Se 5.000 euro mensili devono essere versate alle calende greche, per una struttura con campo d’allenamento, uffici, foresteria e mensa, va messa al corrente quella fetta di tifoseria ancora illusa circa la possibilità che La Fenice Amaranto possa acquistare il marchio Reggina. Dato che a questo punto, sarebbe palese la totale assenza di risorse destinabili a questo tipo di operazioni.
La finalità è quella di offrire uno strumento di conoscenza. Noi abbiamo intervistato Antonio Girella e Fabrizio Lucchesi proprio per questo motivo: proporre una lucida versione su fatti presunti o millantati, che la tifoseria non può e non deve assorbire senza contraddittorio. Se la Città Metropolitana non esce allo scoperto con i motivi che oggi portano a questa criticità sulla gestione del Sant’Agata, da domani si potrebbe scatenare la già rodata macchina del vittimismo: diranno che avrete preferito tenerlo chiuso piuttosto che lasciarli dentro, mettendo a repentaglio qualche posto di lavoro.
Ribadiamo per l’ennesima volta, a scanso di ulteriori equivoci che poi provocano urla ed aumenti di pressione in conferenza stampa. Del percorso de La Fenice Amaranto, ci interessa poco e non lo stiamo seguendo. Che la squadra vada ad allenarsi a Croce Valanidi piuttosto che dentro il bagagliaio della Tucson, non ci cambia niente. Ci stiamo seguendo la Domotek dall’inizio, e sta stravincendo la Serie B di volley. Ultimamente abbiamo preso a recarci al PalaCalafiore anche per il basket, e adesso la Viola è prima solitaria in classifica. Per scelta non siamo andati al “Granillo”: ci siamo persi una vittoria contro il Licata e una contro il Locri. Restare a casa a stapparci una gassosa di domenica alle tre del pomeriggio, ci ha procurato maggiori emozioni.
Calcisticamente abbiamo sempre seguito e sempre seguiremo le sorti della Reggina. Una Reggina che dovrà tornare nel 2024/25. Anzi, non una. La Reggina. Giova infatti specificare come anche senza acquistare il marchio, il club attualmente iscritto in Figc come La Fenice Amaranto potrà tranquillamente inserire la parola “Reggina” come aggettivo, nella denominazione. A Terni c’è la Ternana in Serie B e c’è la Polisportiva Ternana in seconda categoria. Ad Afragola hanno creato l’Afragolese e la Nuova Real Afragolese. Quindi nessuno impedirebbe di chiamarsi Polisportiva Reggina, Fenice Reggina, Urbs Reggina. Anche in presenza di una regolare quanto fantascientifica iscrizione della Reggina 1914 a qualsiasi campionato.
Questi aspetti bisogna iniziare a comprenderli e a farli comprendere. Aggirare gli ostacoli burocratici è semplice. Per ciò a cui è stato dato calcisticamente vita a settembre, forniamo un esempio magari non troppo calzante. È come se qualcuno di noi andasse negli Stati Uniti, aprisse un fast food, ci mettesse una bella M di colore giallo nell’insegna e vendesse panini vuoti. Magari spacciandosi per “Mc Donald’s”, quando invece al registro imprese si è iscritto col nome di “Manchicani”, giusto a richiamarne la propria origine. Approfittando di una fase di defaillance dell’originale.
Dobbiamo spiegare alla gente che di Mc Donald’s ne esiste uno. E che il companatico è imprescindibile. Un concetto da spiegare urgentemente a chi fa paragoni col 1986. Vero è che la Reggina Calcio non acquistò il marchio della A.S. Reggina, ma ereditò la matricola 41740 a testimoniare il passaggio di consegne di storia ed identità. Oltre a mantenere l’organico nonché la categoria appena conquistata sul campo, ossia la vecchia Serie C1. Come si fa ad essere così biecamente prevenuti da non sottolinearlo?
Il 2024 è alle porte. Attendiamo questo bando per il centro sportivo, per capire se parteciperà la società Mediterranea – unica fattasi concretamente avanti alla manifestazione d’interesse – o se ci saranno altri competitor. Se non si presenterà nessuno, ci faremo il segno della croce e dovremo comprendere che sul calcio a Reggio va abbassata la saracinesca.
È troppo pretendere un imprenditore che rilevi il marchio Reggina, si accolli il Sant’Agata – a cifre calmierate in base alla categoria – ed allestisca una squadra competitiva? Se la risposta è no, serve una consapevolezza. La Reggina, se prende parte al campionato di Serie C, deve vincere o come minimo lottare per vincere. Se prende parte al campionato di Serie D, deve stravincere.
Per vincere la Serie D servono due milioni, quota minima. Perché non siamo alla Playstation, dove è sufficiente stare attenti a non strapagare i calciatori. Ci sono costi legati a strutture, personale, vitto, spostamenti, pernottamenti. Eccetera, eccetera. Se esiste un tifoso ricco, ma tifoso sfegatato, qualora avesse 20 milioni di patrimonio personale dovrebbe togliere il 10% di questa cifra alla propria famiglia. Con la prospettiva poi, qualora vincesse un campionato di Serie D, solo di dover cedere la squadra al miglior offerente. A meno che, nel frattempo, non abbia venduto un paio di giocatori alla Fiorentina o alla Lazio. Per affrontare una C a vincere, pur considerando il botteghino, 5 milioni di passivo non te li caccia nessuno. Nella migliore delle ipotesi. Forse è meglio partire da basi – e patrimoni – di ben diversa solidità.
Di conseguenza, inutile sprecare energie, pensieri e tempo appresso a chi non può permettersi neanche di pagare mensilmente cash un Sant’Agata a costo dimezzato. È un dente che cadrà da solo. Però va detto alla tifoseria, altrimenti passiamo sempre noi per cattivi. Poi a fine stagione scopriremo quant’è bello fare calcio in Serie D, dove puoi permetterti il lusso di non versare i contributi senza prendere penalizzazioni. Salvo poi dover rimediare tutto d’un colpo, per iscriverti al campionato successivo.
Saladini almeno sorrideva.