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La scrittura come risposta alla paura della solitudine: la resilienza secondo lo scrittore Olimpio Talarico nell’incontro con gli ospiti di Villa Emilia

Ѐ un filo rosso quello che lega gli incontri con la letteratura contemporanea calabrese che passa dal concetto di resilienza e arriva al confronto con gli ospiti di “Villa Emilia”, struttura del Centro Calabrese di Solidarietà che opera con lo scopo di assicurare trattamenti residenziali mirati al recupero personale, per offrire una riflessione intensa su quelli che possono essere gli strumenti per “reagire” e attuare la resilienza, attraverso una forza misteriosa e potente che ognuno di noi porta dentro.

Dopo Domenico Dara, tocca allo scrittore Olimpio Talarico – i cui romanzi hanno il grande merito di aver fatto conoscere la Calabria letteraria in Italia – rispondere all’appello del dottor Francesco Veraldi, psichiatra che da anni opera come volontario al Centro, promotore degli incontri letterari.

Dal valore salvifico della scrittura, strumento potente che aiuta a fare i conti con le mancanze che condizionano la nostra vita, alla scrittura come risposta alla paura della solitudine: “Io scrivo per questo”, afferma Talarico. “Scrivere mi aiuta a tirare fuori la forza che ciascuno di noi porta dentro, la resilienza.  Ѐ la mia capacità di reagire e trovare un luogo dove ritrovarmi, altrimenti la solitudine di uccide”. La scrittura come risposta alla paura – della morte nel caso di Dara della solitudine per Talarico – comunque uno strumento per comunicare e dare voce, una spinta alla reazione.

Gli ospiti di “Villa Emilia” ascoltano incantati il susseguirsi dei racconti che prendono forma nel borgo di Caccuri, in provincia di Crotone: è qui che Olimpio è vissuto e cresciuto, è qui che ha ideato e fatto nascere uno dei premi letterari più prestigiosi d’Italia che ogni anno richiama decine di autori conosciuti e autorevoli.

Talarico racconta dei suoi romanzi: “Il due di bastoni” selezionato tra i 19 finalisti del “Premio Tropea” e finalista del premio Kriterion città di Avellino e “L’assenza che volevo”, oltre alla raccolta di racconti “Racconti fra Nord e Sud” Rubbettino editore; con “Amori regalati” ha vinto la XXIV edizione del Premio letterario Città di Cava de’ Tirreni (2017) e il Premio Carver 2017; e ancora “Cosa rimane dei nostri amori” Ma si concentra sull’ultima fatica che gli sta dando molte soddisfazioni.

Ambientato nel 1955, siamo sempre a Caccuri, Leonardo, quarantasei anni, vive con sua figlia Caro­lina, sua madre Rachele e Luisito. Carolina, ormai cresciuta, chiede al padre la verità su quello che successe alla sua fa­miglia e soprattutto a sua mamma Elda anni prima. Dopo molte esitazioni, Leonardo decide di raccontare tutto. Scorrono come in un film le vicende, in pieno Ventennio, di un attivista comunista e di una famiglia rivale di fer­venti fascisti.  Un omicidio. Una condanna da scontare al carcere di San­to Stefano. Un presunto suicidio. E un amore che nasce fra due giovani delle famiglie nemiche, avviato anch’esso verso un tragico destino.

Parlare del suo ultimo romanzo è una occasione per raccontare il legame con Caccuri, rafforzato dopo la reazione all’immobilismo tipico di certi anni che precedono la maturità, emotiva e professionale, e che da una panchina nel cuore del borgo – dove sono nate tante storie – lo hanno portato lontano da Caccuri. “L’assenza di questo luogo, posto della mia infanzia, è stato determinante: l’assenza di quel posto mi ha fatto andare avanti”, spiega con quel suo sorriso luminoso e accogliente.

 Talarico vive lontano dalla Calabria, a Bergamo dove insegna materie letterarie ma “da lontano tutti gli amori si arricchiscono, continuano a vivere. Quando scrivo sento il bisogno di ritrovarmi nei luoghi che mi appartengono, quelli a me più familiari. È questo un modo per far rivivere le anime delle persone che ci hanno lasciato”. La nostalgia delle persone che abitano i luoghi, e le persone che non ci sono più, insomma, risultano determinanti per le creazioni delle storie che nascono e crescono “nella testa” e che si muovono anche sulla scia della nostalgia. “Quando cerco conforto anche dalla nostalgia – spiega Olimpio – l’unica cosa certa è la natura. Davanti all’infinito della natura, cerco il sistema di venire fuori dal dolore sapendo cogliere i segnali che la natura ci offre per trovare una via d’uscita. C’è una via d’uscita per tutti”.

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