di Valeria Guarniera - L'ennesima, triste, dimostrazione di uno Stato che è distratto, che non si prende cura dei suoi figli, che troppo spesso tace, evitando di prendere posizione. E che a volte parla. E parla. E parla ancora: solidarietà a chi subisce. Vicinanza alle vittime che hanno il coraggio di denunciare. Cittadinanza attiva. Nessuno è solo. Parole. Solo parole che, purtroppo, vengono (anche abbastanza facilmente) troppo spesso smentite dai fatti. Un'incongruenza che è evidente, quasi palpabile, e che la trasmissione Presa Diretta, in onda si raitre solo qualche giorno fa, ha sbattuto in faccia agli italiani: testimoni abbandonati. Imprenditori in ginocchio. Famiglie distrutte.
Denunciare conviene? E' chiaro che la risposta – al di là delle provocazioni e della desolante fotografia mandata in onda sulle reti nazionali (ma noi, qui, lo sapevamo già!) – vuole, e anzi deve essere positiva. Ma è altrettanto chiaro che, chi denuncia, non può essere abbandonato: "Non siamo qui solo per fare denuncia. Vogliamo chiedere un sostegno nei confronti di tutti gli imprenditori coraggiosi che decidono di denunciare e il più delle volte vengono lasciati soli, soprattutto dalle Istituzioni". A dirlo il professore Tonino Perna, Assessore alla Cultura del Comune di Messina, in occasione della conferenza stampa convocata questa mattina presso il Teatro Siracusa di Reggio Calabria. Un incontro per dimostrare solidarietà a chi subisce, ma, ancor più importante, per provare a passare dalle parole ai fatti, attraverso azioni concrete: un tavolo tecnico istituito presso la Prefettura di Reggio Calabria per tutelare le aziende e gli imprenditori vittime di usura e racket. E' ciò che propone la Rete d'imprese Calabria Solidale, insieme ad Alba, Reggio Non Tace, Libera, Mana Chuma Teatro e alla Fondazione Horcynus Orca di Reggio Calabria, in seguito al vile atto intimidatorio che ha colpito, nella notte tra il 15 e il 16 gennaio scorso, l'imprenditore Michele Luccisano che ha avuto il coraggio di denunciare i suoi usurai, facendoli condannare al terzo grado di giudizio.
Un imprenditore come tanti. Si, perché la storia di Michele Luccisano, titolare dell'azienda Verdiana di Cittanova, purtroppo, è la storia di tanti che, spesso, non hanno neanche la forza di denunciare. Lui invece, ha deciso di farlo. "Dal 2010 in poi – ha raccontato nel corso della conferenza stampa – sono stato impegnato nei processi che si sono conclusi velocemente rispetto ai tempi soliti della giustizia italiana. Nel dicembre 2013, infatti, sono arrivate le sentenze della Cassazione". Sentenze che però, evidentemente, non sono servite a porre fine ad una situazione che ha del paradossale ma che non hanno impedito all'imprenditore – nonostante l'ennesimo furto – di rendersi protagonista di quella società civile che resiste. Luccisano infatti, come tanti altri nella sua situazione - ha voluto impegnarsi in prima persona nel contrasto alla 'ndrangheta e al racket con lo sportello antiusura di Microdanisma, che fornisce alle vittime un valido strumento di aiuto, e con Calabria Solidale, un marchio che identifica prodotti calabresi di piccole imprese e cooperative locali che rispettano i principi di Legalità, Solidarietà, Trasparenza: "Si tratta di un nuovo modo di fare impresa e di stare insieme – ha spiegato – che in Calabria rappresenta una realtà unica nel suo genere. Solidale è un modo per tutti noi di aiutarci a vicenda". Luccisano (come tanti altri nella sua stessa situazione) và avanti, parla ai ragazzi, spiegando loro che le cose vanno guardate dalla prospettiva giusta, che qualcosa si può fare, e che bisogna pretendere di poter decidere di continuare a vivere nella propria terra: "Occorre mettere a servizio degli altri le proprie esperienze – dice – perché possano servire a qualcun altro. La mia azienda ha sempre tirato su la serranda, anche nei momenti più difficili. Possono rubarci tutto, ma non la dignità: quella ci appartiene e la esponiamo in qualunque modo e forma". Ma Luccisano si sente solo. Di una solitudine che è pesante, perché viene da chi – lasciandolo solo – ha deciso di non rispettare un patto: "Le Istituzioni le sento lontane. Ringrazio la Procura di Palmi. Gli altri, non li conosco"
L'anello debole della catena. C'è una realtà in movimento, fatta di una nuova coscienza civica che – in costante evoluzione – sta creando una contaminazione positiva: associazioni, movimenti che piantano dei semi, perché il terreno è ancora fertile e può dare buoni frutti. C'è "consumo critico" che – lentamente – sta prendendo piede, e che – sempre di più – si identifica con una cittadinanza che vuole dire da che parte stare, in cui nessuna scelta è casuale. E c'è il coraggio degli imprenditori che – nonostante le difficoltà e le paure – decidono di denunciare. E' una catena, fatta di tanti anelli, uniti tra di loro, sorretti gli uni dagli altri. E poi c'è lo Stato: "L'anello debole è quello delle Istituzioni". A dirlo don Pino Demasi, referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro: "Le aziende che hanno denunciato fanno fatica ad andare avanti. Non basta tutelare le singole persone. Occorre tutelare le imprese. Solidarietà significa corresponsabilità: è giunta l'ora che ognuno si prenda le proprie responsabilità"
Qui succede sempre, è normale. E' una vera denuncia quella che viene dalla voce – e dall'esperienza – di padre Giovanni Ladiana, Reggio Non Tace: "La vicenda di Cocò ha sconvolto tutti – ha ribadito – di fronte ad un omicidio del genere è giusto indignarsi. Ma occorre farlo anche di fronte a questi atti intimidatori. Le azioni sono tutte gravi, allo stesso livello. Non dobbiamo considerare eventi come questo legati solo all'economia. Un atto intimidatorio è grave come un assassinio. Occorre indignarsi e smetterla di far passare certi eventi in secondo piano, dicendo che tanto qui è normale, funziona così. in questo modo – ha sottolineato con convinzione – rischiamo di diventare complici"