di Claudio Cordova - "Sono nato giovane d'onore cosi come mio padre e forse anche mio nonno, sono stato addestrato da piccolissimo: ricordo per una slogatura al pollice destro di aver sparato già a 10 anni". Comincia così il racconto di Luigi Bonaventura, per anni reggente della cosca crotonese dei Vrenna-Bonaventura e poi passato dalla parte della giustizia, iniziando a collaborare con gli inquirenti: "Mi addestravano a sparare con numerosi tipi di armi dall'AK47 automatico (il cosiddetto kalasnhikov, ndr), cosi fino a 19 anni quando ero un braccio destro di mio zio Gianni Bonaventura". Una carriera portata avanti per anni, fino al 2001, allorquando, da braccio armato del clan, Bonaventura viene "proclamato" reggente della famiglia. Una decisione condivisa, quella su Bonaventura, che sarebbe arrivata, secondo il racconto dell'uomo, con il benestare e il riconoscimento di tutte le 'ndrine più potenti della Calabria. Dai Megna agli Arena, passando per i Giampà, i De Stefano, i Coco Trovato e i Farao-Ferrazzo. Poi la decisione di collaborare con la giustizia e l'inizio di quella che, a dire di Bonaventura, è stata un ulteriore battaglia: "Insomma sono stato addestrato da piccolissimo a combattere e se si aggiungono pure questi sei anni al fianco dell'Antimafia sono gia 41 anni di guerra insomma una vita da soldato".
Una decisione maturata già nel 2005, quando, secondo il ricordo di Bonaventura, si incastrerebbero i primi contatti con lo Stato, poi proseguita nella primavera del 2006, nel corso di una perquisizione e ratificata, infine, nel febbraio 2007, allorquando Bonaventura avrebbe incontrato anche l'allora sostituto procuratore di Crotone, oggi uomo di punta della Dda di Catanzaro: "Avevo capito che non c'era onore nel rubare il futuro dei propri figli e di quelli degli altri – ricorda Bonaventura - ho voluto dare ai miei figli una possibilità, quella che io non ho mai avuto, la possibilità di fare nella vita una qualsiasi cosa dall'operaio al magistrato, al giornalista, all'avvocato, al dottore, all'ingegnere, al poliziotto". Scelta non facile, quasi impossibile per i rapporti morbosi, i vincoli di sangue che caratterizzano la 'ndrangheta e la rendono molto più impermeabile rispetto alle altre mafie: "Ho spezzato la catena ad un destino per loro gia segnato, in quanto anche loro già alla nascita erano di diritto figli di mamma 'ndrangheta con il maschietto già giovane d'onore e la femminuccia destinata a diventare sorella d'omertà".
Inizia, dunque, il percorso di collaborazione di Bonaventura, che da membro di spicco della 'ndrangheta diventa uno dei principali accusatori, soprattutto con riferimento alle indagini sulle cosche cotronesi: Heracles, Perseus, Hydra, Pandora, Icaro, Ghibli, Tramontana. Sono solo alcune delle indagini in cui Bonaventura ha messo a disposizione il proprio patrimonio conoscitivo: "Ho collaborato e collaboro con mezze procure italiane compresa una straniera: Catanzaro, Bologna, Reggio Calabria, Campobasso, L'Aquila, Torino, Stoccarda". Una collaborazione che, però, a detta del collaboratore non avrebbe fatto scattare da parte dello Stato le adeguate contromisure in termini di protezione: "Mai avuta nonostante a febbraio sono sei anni sotto programma. La protezione per me non è mai esistita, tranne che sulla carta e nell'immaginario della gente. La scorta? Ho capito bene? Mai avuta, tranne quando ho impegni giudiziari che viaggio con due auto blindate". Per questo, quindi, da mesi Bonaventura ha intrapreso l'ennesima battaglia, soprattutto dopo l'intimidazione subita (una cartuccia recuperata dalla moglie nella cassetta delle lettere) per ottenere la protezione per sé e per la sua famiglia.
Ma oltre alle intimidazioni e alle lettere che l'uomo ha indirizzato ai vari ministeri, il nome di Bonaventura è tornato alla ribalta qualche mese fa, allorquando l'ex boss crotonese è stato sentito dal sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, nell'ambito dell'indagine "Breakfast", sugli affari della Lega e delle cosche nel milanese: "Non solo la Lega come si evincerà poi in futuro sui verbali, ma anche il nome di qualche senatore con collegamenti non solo con Cosa Nostra ma anche con mamma 'ndrangheta, con la 'ndrangheta intelligente, quella dell'eversione nera dei Nar, dei servizi deviati, della trattativa Stato-mafia". Affermazioni, quelle rese al pm Lombardo, che secondo Bonaventura lo avrebbero reso ancor di più un bersaglio: "Aver ricominciato a parlare di calcio-scommesse, delle infiltrazioni nel mondo del calcio che conta, aver denunciato talpe nel programma di protezione, combine fra finti pentiti, non aver aggravato la posizione di altri illustrissimi politici e partiti, non aver mantenuto l'accordo che i De Stefano e i Tegano avevano chiuso con me, aver parlato di una nuova cupola composta da invisibili della 'ndrangheta, di strategia del terrore per un accordo non mantenuto tra Stato e 'ndrangheta dopo Duisburg". Un elenco lunghissimo di fatti, di argomenti, di "aree tematiche", che avrebbero esposto ancor di più Bonaventura: "Come mi è stato promesso, ovunque vado sono un uomo morto" dice.
Nelle parole di Bonaventura spesso e volentieri – e talvolta neanche in maniera troppo velata – c'è la convinzione di essere stato messo al centro di storie piuttosto inquietanti: "La mia assegnazione a Termoli (dove il collaboratore si troverebbe, ndr), a due passi dalla Calabria ai confini con la Sacra Corona Unita figlia di mamma 'ndrangheta, non e'stato un caso ed oggi è sempre più chiaro". Ai sospetti, però, Bonaventura affianca la propria decisione di continuare la battaglia per ottenere la scorta: "Come può lo Stato lasciare sola la mia famiglia?" chiede Bonaventura, sollecitando, ancora una volta, l'assegnazione di una tutela "per dimostrare alla 'ndrangheta, alle mafie che chi collabora chi denuncia, non è lasciato solo che lo stato c'è. La mia famiglia non ha avuto in tutte queste intimidazioni nessun atto di solidarietà, dal mondo politico-istituzionale, ad altri con molto meno gli avrebbero gia assegnato una scorta, avrebbero portato subito la sua famiglia in una località davvero al sicuro, e invece a noi tocca morire qua prigionieri di Termoli, prigionieri di gente (il NOP del Molise) che io ho denunciato, e che, nonostante questo, continua a venire a casa mia ad occuparsi di me".
Un percorso difficile quello raccontato da Bonaventura, che l'ex boss, però, continua a voler affrontare: "Certo che continuerò a collaborare con la giustizia. Continuo perchè io credo fermamente che è questa la strada giusta per la mia famiglia. E' vero c'e tanto di marcio, però è la via giusta. Continuo perchè voglio essere un esempio per i miei figli e per tutti quelli che nascono figli di mamma 'ndrangheta, voglio dimostrare loro che si può cambiare".