Reggio, dubbi da sciogliere. Il settimanale Left si occupa del rischio che incombe sul Comune

reggiocalabria palazzosangiorgiodi Gianluca Ursini e Rocco Vazzana* - Se paragonato a ciò che accade in Calabria, lo scandalo della giunta regionale del Lazio rischia di apparire come la marachella di un ragazzino. Oltre ai buchi di bilancio certificati (almeno 170 milioni di euro), infatti, il Comune di Reggio Calabria rischia lo scioglimento per infiltrazioni mafiose. In riva allo Stretto sono tutti in fibrillazione in attesa di un segnale di fumo dal Consiglio dei ministri, che dovrà decidere sul futuro del Comune più popoloso della Calabria. Ufficialmente, il ministero dell'Interno ha inviato una commissione d'accesso antimafia nei palazzi del potere reggino per verificare eventuali contiguità tra l'attuale amministrazione, guidata da Demetrio Arena (Pdl), e le 'ndrine. Ufficiosamente, però, a finire sotto la lente è anche Giuseppe Scopelliti, oggi governatore della Calabria, per quasi dieci anni (dal 2002 al 2010) sindaco di Reggio. Un incarico già costato all'ex sindaco un rinvio a giudizio per abuso d'ufficio e falso in atto pubblico.
La patata bollente è sul tavolo del ministro Anna Maria Cancellieri. Dovrà valutare il da farsi sulla base delle 227 pagine di relazione consegnate al Viminale il 27 agosto scorso dal prefetto reggino Vittorio Piscitelli. Certo, non sarà semplice per il ministro decidere con tranquillità. Scopelliti è uno degli ultimi baluardi elettorali rimasti al Pdl: difficilmente il partito lo lascerà solo. Ma non sono solo i berluscones a fare quadrato intorno al governatore. In Calabria l'Udc governa un po' dappertutto. E il partito di Casini è la forza ritenuta più vicina proprio al ministro dell'Interno Cancellieri, nel caso (molto probabile, a sentire i rumors) in cui decidesse di proseguire l'avventura politica. Per l'Udc la Calabria è un serbatoio importante di voti. Alle Regionali del 2010, il partito di Casini sfiorò il 10 per cento.
Insomma, centristi e pidiellini non sembra vogliano mettere Scopelliti in discussione. E se l'Udc sceglie il silenzio, il partito di Berlusconi respinge con forza l'ipotesi che dopo Renata Polverini possa toccare proprio al governatore della Calabria fare un passo indietro. «La vostra è un'ipotesi iettatoria», ci dice il senatore Maurizio Gasparri, uno degli sponsor più importanti di Peppe Scopelliti a Roma. «Ho stima del governatore e credo che, prima come sindaco e poi da presidente della Regione, abbia operato bene. C'è in corso un attacco politico nei confronti di un'amministrazione che per la prima volta ha garantito stabilità». Stabilità a parte, però, bisogna capire se il Comune di Reggio Calabria, attualmente guidato da Demetrio Arena (Pdl), verrà sciolto per infiltrazioni mafiose. Se ciò accadesse, su Scopelliti - ormai governatore - cadrebbe quantomeno una responsabilità politica. Il ministro dell'Interno sa di avere un compito storico: Reggio sarebbe il primo capoluogo di provincia d'Italia a essere sciolto per mafia. Forse anche per questo, Cancellieri ha chiesto ancora una volta il consulto del prefetto Piscitelli, volato a Roma il 24 settembre. Ma quali sono le accuse che rischiano di affondare il Pdl calabrese? Sono contenute nella relazione del prefetto, e molte trovano origine proprio nella lunga era Scopelliti.

Municipalizzate dei clan

La principale municipalizzata di Reggio, la Multiservizi, è stata sciolta dal sindaco Arena il 12 luglio dopo che la prefettura aveva revocato il certificato antimafia. Il socio pubblico ha dichiarato finita l'avventura della società incaricata della manutenzione ordinaria e straordinaria della città, oltre che della gestione di impianti sportivi. Nella relazione prefettizia, si fa riferimento ai pesanti condizionamenti del clan Tegano, come emerso dalle indagini "Archi" e "Astrea" che avevano portato all'arresto del manager della municipalizzata Pino Rechichi, accusato di essere solo un prestanome del clan. Il Comune era socio di Multiservizi al 51 per cento fin dai tempi di Scopelliti. L'altro al 49 per cento era della società Gestione servizi territoriali. Secondo la Procura, Rechichi avrebbe ceduto ai prestanome dei boss quote della "Rec. Im. Immobiliare srl", la società controllava il 33 per cento del socio privato di Multiservizi.Ma i problemi si estendono anche a Leonia srl, l'altra grande municipalizzata reggina che si occupa di rifiuti. La relazione prefettizia dedica alcuni capoversi anche a questa società. Sono soprattutto i pentiti di 'ndrangheta a parlarne: Nino Lo Giudice, detto "il Nano" e Roberto Moio, genero del boss Gianni Tegano. «Dopo la pace, da Archi fino al quartiere Sbarre (tutto il centro storico, ndr) comandiamo noi Tegano con De Stefano e Condello», ha dichiarato Moio il 10 novembre del 2010 al pm Giuseppe Lombardo. «Dividiamo tutto, anche i proventi di Multiservizi e Leonia». La seconda municipalizzata oggetto di attenzione degli ispettori prefettizi, secondo Moio, sarebbe "cosa privata" dei fratelli Fontana, braccio economico della cosca Condello. Tutto avveniva sotto gli occhi dei dirigenti pubblici nominati da Scopelliti. Se ne saprà di più a ottobre, quando potrebbero arrivare i primi rinvii a giudizio per la vicenda della municipalizzata Leonia. Il ministro Cancellieri non potrà non tenerne conto.

L'assessore in affari con le 'ndrine

La grana più spinosa per Scopelliti è però "l'affaire Dominique Suraci". Consigliere comunale del centrodestra (e per un breve periodo pure assessore), Suraci gestiva sei punti vendita del marchio Sma in città. Agli arresti dal 26 luglio in seguito all'operazione "Assenzio" il politico-imprenditore è accusato di essere un referente della cosca Tegano nella grande distribuzione. Nei suoi supermercati ogni clan conferiva prodotti, con rigide suddivisioni per settore merceologico: i Labate le carni macellate, i De Stefano pollami e animali da macellare, Michele Crudo, genero di Gianni Tegano, farina e uova, i Caridi il pane e i Borghetto Zindato il caffè. È il capitalismo in salsa calabra. Secondo il gip, Suraci era «il referente politico della cosca Tegano» in Comune. Eletto nel 2007 nella lista Alleanza per Scopelliti, Suraci è un uomo pieno di risorse. La relazione prefettizia, infatti, cita le indagini dei pm, dove si ricorda come Suraci avrebbe fatto da intermediario politico per far «regolarizzare in Multiservizi 130 precari», così da assicurare lustro alla 'ndrina Tegano. Ma il gip non si limita a questo, parla anche di «pesanti condizionamenti mafiosi nel voto amministrativo del 2007». Sindaco eletto: Giuseppe Scopelliti.

Il pizzo si riscuote dal consigliere

Il 22 dicembre 2011, l'operazione "Alta Tensione 3" contro il clan Borghetto Zindato Caridi, ha portato all'arresto di Pino Plutino (Pdl), consigliere e assessore comunale all'Ambiente nelle precedenti giunte Scopelliti, considerato dal pm Marco Colamonici «intraneo alla cosca, espressione politica del locale di San Giorgio nel civico consesso cittadino». Dalle indagini è risultato come i fratelli Condemi, reggenti del clan Borghetto Zindato, ricevessero i loro sodali e intascassero il pizzo, in un circolo venatorio dove il consigliere Pdl aveva la sua segreteria elettorale. Lo stesso circolo che nel 2010 aveva usufruito di un contributo di 25mila euro «per attività sportive» dall'allora assessore allo Sport e attività culturali.

Baci e voti al presidente del Consiglio

Un riferimento particolare poi, nella relazione prefettizia, viene fatto all'attuale presidente del consiglio comunale, politico di lungo corso nel Comune: Sebastiano Vecchio, tessera dei Popolari e Liberali in tasca, eletto nelle liste Pdl. Poliziotto in aspettativa, "Seby" per gli amici, per dieci anni alla squadra "catturandi" è amico dei Serraino, padroni
dell'Aspromonte con residenza a Reggio nel quartiere San Sperato. Nella relazione si fa cenno alla partecipazione di Vecchio alle esequie del boss "don Mico" Serraino, nel marzo 2010. «Nonostante il questore Casabona avesse proibito le esequie pubbliche del soggetto malavitoso», Vecchio venne ripreso dai suoi ex colleghi mentre baciava sulle guance nipoti e generi del capo mafia. «Cosa dovevo fare? Sono del quartiere San Sperato, vicino di casa dei Serraino, siamo cresciuti assieme, non dovevo salutarli?», si è giustificato Vecchio dopo che era filtrata la notizia della sua menzione nella relazione prefettizia. Ma dai baci ai voti il passo è breve: il pentito Vittorio Fregona ha dichiarato nel corso dell'inchiesta "Epilogo": «Noi Serraino al Comune votavamo per Seby Vecchio».

Il figlio del giudice e i parenti mafiosi

Poi ci sono altri due assessori, non indagati, che hanno causato imbarazzo al Pdl calabrese: Pasquale Morisani e Luigi Tuccio. Entrambi vengono menzionati dal prefetto Piscitelli nella relazione finita sul tavolo di Anna Maria Cancellieri. L'avvocato Morisani, assessore ai Lavori pubblici, viene citato nella relazione attraverso le pagine delle istruttorie "Raccordo" e "Sistema", che portarono all'arresto del boss Santo Crucitti. Morisani era in contatto quotidiano con due attendenti del capo bastone e non ha fatto mistero al pm Lombardo di «conoscere il Crucitti fin da bambini, anche se non sapevo di una sua affiliazione mafiosa». Una dichiarazione legittima, accompagnata da una chiosa beffarda: «Avevo avuto qualche dubbio per l'omicidio del fratello durante la guerra di Mafia degli anni 80, ma io non mi sono mai occupato di 'ndrangheta».
Quelle di Luigi Tuccio, invece, sono le uniche dimissioni mai presentate per mafia da un politico del Pdl reggino. Avvocato, figlio di un illustre magistrato di Cassazione e giudice antimafia a Palmi negli anni 80, Tuccio si è dovuto dimettere nel marzo 2012 dalle competenze all'Urbanistica per le parentele imbarazzanti della propria compagna. Pochi giorni prima delle dimissioni, infatti, la suocera Giuseppa Cotroneo era stata arrestata come fiancheggiatrice della latitanza dello spietato killer Domenico Condello, detto "Micu u pacciu". Uno che nel 1985 aveva avuto il coraggio di premere il grilletto per uccidere il boss dei boss: don Paolino De Stefano. Ma le parentele della compagna di Tuccio non finiscono qua: una sorella era sposata con un altro membro della famiglia Condello, da un decennio ai ceppi per 416 bis: associazione mafiosa.

Bilancio allegro

Ma Reggio non rischia solo lo scioglimento per infiltrazioni mafiose. C'è un'altra spada di Damocle che pende sulla testa di Giuseppe Scopelliti e dei cittadini reggini: un buco di bilancio stimato dai commissari del ministero dell'Economia - inviati lo scorso anno da Giulio Tremonti - in 170 milioni di euro. Una voragine, formatasi negli anni dell'amministrazione Scopelliti, attribuita a Orsola Fallara, la dirigente del settore Finanze del Comune, morta nel dicembre del 2010 ingerendo acido muriatico. Una fine disperata e misteriosa. Catalogata subito come suicidio, senza che la Procura - all'epoca guidata dall'attuale capo degli uffici giudiziari romani Giuseppe Pignatone - disponesse un'autopsia sul cadavere. Per anni Orsola Fallara, donna di fiducia dell'allora sindaco, ha disposto a proprio piacimento delle casse comunali, dispensando per sé e per molti altri compensi non dovuti. Uno sperpero enorme di denaro pubblico avvenuto senza che Scopelliti si accorgesse di nulla: «Firmavo atti che non leggevo... Siglavo faldoni di carte confidando nella responsabilità e professionalità dei funzionari», aveva dichiarato l'attuale governatore ai magistrati. Perché, per quanto ignaro, Scopelliti è stato rinviato a giudizio per abuso d'ufficio e falso in atto pubblico. In gioco c'è il rischio default del Comune, per troppo tempo amministrato con allegria e leggerezza. Era il "modello Reggio", fatto di feste sul Lungomare e dirette televisive e radiofoniche costosissime. Tanto da far guadagnare a Scopelliti l'appellativo di "Peppe dj". Un'operazione di marketing per ridare lustro alla città con serate a base di Noemi Letizia - la madre dei sexy gate di Berlusconi - e balli "offerti" a caro prezzo da radio Rtl. Ma a Reggio i soldi venivano elargiti a pioggia. Persino i Golfisti calabresi nel mondo, associazione sportiva non meglio identificata, ricevevano la loro parte: 25mila euro nell'agosto del 2006 per organizzare un tour golfistico in una città che non ha mai visto mezzo metro di "green".
«Ci sono degli accertamenti in corso ma secondo me non c'è alcun motivo per criminalizzare un'amministrazione», dice ancora Maurizio Gasparri. «Credo che contro Scopelliti sia in corso una campagna politica. Perché non si fanno le inchieste giornalistiche su Vendola che sta per essere rinviato a giudizio per gli scandali sulla sanità? O su Errani, accusato di avere finanziato il fratello in Emilia Romagna? C'è uno strabismo giornalistico». Recriminazioni a parte, un eventuale commissariamento per dissesto economico sarebbe molto più pericoloso per il presidente della Calabria. Perché se con lo scioglimento per mafia su Scopelliti, ormai alla Regione, cadrebbero "solo" responsabilità politiche, col dissesto al governatore verrebbero riconosciute responsabilità dirette. Che in soldoni
significa: interdizione dagli uffici pubblici e ineleggibilità. Sarebbe la fine della sua lunga ascesa politica.

Amici e nemici della città

Nel frattempo, in riva allo Stretto, la tensione si può toccare con le dita. Da settimane il dibattito si è fatto appassionato, a tratti violento. È partita la guerra tra amici e nemici della città. I primi sarebbero i contrari allo scioglimento del Comune. I secondi, invece, coloro che invocano l'intervento dello Stato per porre fine a dieci anni di scandali, inchieste, arresti. Guelfi e ghibellini si affrontano utilizzando tutti gli strumenti di guerra offerti dal XXI secolo: facebook, twitter, tv, giornali. Ma la l'arma più sanguinosa scelta dai contendenti è il manifesto da sottoscrivere. Si raccolgono firme dall'una e dall'altra parte della barricata come per contarsi. Tutto è iniziato con "Reggio rivendica il suo ruolo", l'appello firmato da più di 600 persone contro l'umiliazione della città. «Reggio è una città normale che vuole proseguire nel suo cammino di crescita e sviluppo nel rispetto delle istituzioni democratiche», scrivono. «Non si speculi sulla nostra pelle e su una Terra che da sempre esprime civiltà, intelligenze e valori». L'appassionato libello ha stuzzicato la reazione di chi, in città, tifa per il cambiamento. «Siamo cittadini di una città che amiamo non perché "è bella", ma perché è casa nostra», rispondono gli estensori de "L'altro manifesto" che ha raggiunto quota 500 firme. «Siamo cittadini che non hanno mai avuto nulla a che fare con il "modello Reggio". Siamo cittadini di una città che oggi viene finalmente raccontata per come è. Soprattutto non vogliamo che si smetta di imbarazzarsi. Reggio oggi non "è una città normale"». È guerra di trincea. Tutti fermi sulle proprie posizioni in attesa che accada qualcosa. Ma, a scorrere i nomi dei firmatari del primo documento, quello contrario allo scioglimento, alcuni particolari saltano immediatamente agli occhi. Tra le firme ci sono imprenditori, medici della sanità pubblica, avvocati, esponenti del mondo delle associazioni e semplici cittadini. Tra loro ci sono anche esponenti dell'antimafia. Aldo Pecora, leader del movimento "Ammazzateci tutti" - i ragazzi di Locri che nel 2005 commossero il Paese all'indomani dell'omicidio dell'allora vicepresidente della Regione Franco Fortugno - è tra coloro che non vorrebbero infangare il buon nome della città. A ben guardare, però, scopriamo che anche l'associazione antimafia ha beneficiato del "modello Reggio". In una delibera del 31 dicembre 2009, il movimento guidato da Pecora ha ricevuto 10mila euro di contributi dalla giunta Scopelliti. Nello stesso giorno dalle casse comunali escono altri 25mila euro per finanziare la squadra di calcio Hinterreggio, presidente Francesco Pellicanò, anche lui tra i firmatari del documento. E ancora, Nico D'Ascola, avvocato personale di Giuseppe Scopelliti. L'elenco dei finanziati firmatari potrebbe proseguire, ma per i più si tratta di pochi spicci. Non sono quelli che contano. L'attesa è tutta per la decisione del ministro Cancellieri.

*L'articolo è tratto dal numero numero, da oggi in edicola, del settimanale Left, in vendita allegato a L'Unità