“Zappalà prostrato davanti a Pelle per avere i voti della ‘ndrangheta”

zappala santi arrestodi Claudio Cordova - Per chiedere sostegno elettorale, si recherà al cospetto del capo di una delle famiglie storiche della 'ndrangheta reggina, i Pelle noti anche come "Gambazza". Impossibile, quindi, non aggravare la condanna per corruzione elettorale con l'articolo 7 della legge 203 del 1991: le modalità mafiose. Ne sono convinti i giudici della Corte d'Appello di Reggio Calabria che hanno depositato le motivazioni del procedimento "Reale" bis, che vedeva imputato l'ex consigliere regionale del Pdl, Santi Zappalà. Il caso, infatti, era ritornato al vaglio dei giudici di Piazza Castello dopo che la Cassazione aveva confermato la condanna per corruzione elettorale, annullando con rinvio la sentenza limitatamente all'aggravante dell'agevolazione mafiosa.

Lo scorso 6 luglio, però, una nuova Sezione della Corte d'Appello di Reggio Calabria ha condannato Zappalà a 2 anni e 8 mesi di reclusione, riconoscendo nuovamente l'aggravante: "È di tutta evidenza che il candidato Zappalà, invocando l'appoggio elettorale del boss, in cambio di precise promesse, non intende acquisire il voto di un singolo soggetto, ma mira chiaramente a ottenere una "straordinaria" affermazione elettorale(..) ossia a "conquistare" la zona ionica che il Pelle gli conferma essere sotto il suo controllo, inserendosi la sua condotta in un contesto illecito le cui radici affondano nel clima di intimidazione che è l'effetto della pervasività della cosca nel suo tessuto sociale". Parole dure quelle che i giudici dedicano all'ex sindaco di Bagnara Calabra. Questi verrà pizzicato dalle cimici del Ros dei Carabinieri in casa del boss Giuseppe Pelle "Gambazza", a Bovalino. Siamo nella campagna elettorale per le Regionali del 2010. In cambio Zappalà avrebbe promesso un aiuto per alcuni lavori pubblici e un interessamento per spostare di carcere un detenuto dello storico clan. Verrà eletto nei ranghi del Pdl con una straordinaria affermazione, superando addirittura le 11mila preferenze personali.

Nell'appello bis Santi Zappalà ha avuta confermata la condanna a 2 anni e 8 mesi. Rispetto al primo grado, identica rimane la pena inflitta a Francesco Iaria (2 anni e 6 mesi), mentre uno sconto di pena è stato riconosciuto a Giuseppe Antonio Mesiani Mazzacuva, considerato il referente del clan Pelle per i contatti con la politica e condannato a 2 anni e 6 mesi al posto dei 4 anni e 11 mesi precedenti (è caduta l'accusa di associazione mafiosa pur restando l'aggravante). Praticamente identica la condanna del boss Peppe Pelle, che passa da 11 anni e 9 mesi a 11 anni e 4 mesi. Il boss Giovanni Ficara, in precedenza punito con 12 anni e 6 mesi, è stato condannato a 10 anni e 4 mesi. Passa da 12 anni e 8 mesi a 11 anni e 4 mesi Antonino Latella, mentre è di 8 anni e 10 mesi è la pena inflitta a Rocco Morabito, prima condannato a 10 anni e 8 mesi. Sebastiano Pelle, condannato in passato a 5 anni e 8 mesi, ottiene un anno di sconto, mentre dovrà stare in carcere solo sei mesi in meno Antonio Pelle, 28 anni, condannato a 5 anni e 2 mesi invece che a 5 anni e 8 mesi rimediati in precedenza. Domenico Pelle passa da 8 a 7 anni di reclusione.

Per i medesimi fatti, peraltro, Zappalà è stato nuovamente arrestato con l'accusa di voto di scambio politico-mafioso: "Non può invero spiegarsi altrimenti- scrive la Corte reggina - il sistema perverso che vede un soggetto che si candida a rivestire una carica pubblica prostrarsi dinanzi ad un capo cosca, con la piena consapevolezza della posizione da lui rivestita (...) onde trarre vantaggio dal suo dominio di fatto su un'intera area di territorio e contestualmente agire allo scopo di rafforzare tale dominio. Del resto, che le ragioni che inducono il politico bagnarese a recarsi presso l'abitazione del Pelle non si prestino ad essere lette in rapporto ai pochi voti della famiglia di sangue che il padrone di casa potrebbe garantire è un dato logico che si coniuga indissolubilmente con le condizioni dell'accordo raggiunto con il boss anche grazie al ruolo svolto dal Mesiani Mazzacuva, che a sua volta si mette a disposizione per la campagna elettorale di Zappalà, nella consapevolezza dell'importanza per i Pelle di quanto Zappalà può offrire in cambio dell'appoggio elettorale come reso evidente dalle espressioni usate dall'imputato, ricche di allusioni e tutte funzionali a recare vantaggio ai suoi "amici", che hanno la necessità di assicurarsi, per il tramite del loro più autorevole esponente, quella "serenità che è necessaria per far prosperare i propri interessi illeciti".

"Da parte nostra, dottore, ci sarà il massimo impegno" dirà il boss Pelle a Zappalà. E a parlare non è un uomo qualunque, ma l'esponente apicale di una famiglia storica nel panorama criminale dell'area jonica reggina: "Già sulla scorta delle risultanze dell'operazione "Armonia", lo straordinario prestigio riconosciuto a Giuseppe Pelle all'interno del panorama 'ndranghetistico. il ruolo dello stesso assunto nell' "organizzazione" dei singoli locali e nell'attribuzione di cariche di 'ndrangheta, lungi dal trarre origine semplicemente "dalla sua particolare autorevolezza personale"; si riallaccia "a monte" con il potere esercitato nel tempo sul "suo" territorio, essendo principio processualmente acquisito che la "carriera" nella 'ndrangheta è parallela e consequenziale alla "scalata" nella e della cosca di appartenenza(...) Le suddette risultanze si saldano poi con gli ulteriori elementi acquisiti nella presente indagine, rivelandosi certamente idonee a corroborare la posizione di Giuseppe Pelle, già appunto "esponente di vertice del gruppo di San Luca", non solo quale "capo di capi" , ma anche- e correlativamente- come capo della cosca Pelle".

Un'indagine, quella curata dalla Procura retta da Giuseppe Pignatone con i magistrati Nicola Gratteri, Michele Prestipino e Giovanni Musarò che riuscirà a documentare passaggi fondamentali, che verranno utilizzati anche in altre inchieste, come "Crimine". Celeberrima, in tal senso, la frase di Giovanni Ficara "tutti siamo nella 'ndrangheta". Ma le cimici del Ros dell'allora comandante Stefano Russo riusciranno a documentare anche le soffiate che la "talpa" Giovanni Zumbo, il commercialista in contatto con i Servizi Segreti, darà proprio ai boss Pelle e Ficara.

Per i giudici di secondo grado quindi la cosca di San Luca è pienamente operativa: "La famiglia Pelle ha un solido punto di riferimento nella memoria della figura del capostipite,Antonio classe 1932, deceduto nel 2009, che ricopriva un ruolo di vertice all'interno della 'ndrangheta e che ha tracciato una strada nel cui solco si colloca l'agire dei discendenti ed in primis del figlio Giuseppe Pelle che ne è divenuto l'erede naturale a seguito dello stato di detenzione del primogenito Salvatore Pelle". Ma non è solo questa "ereditarietà" a sancire il comando della 'ndrina per Pelle. "Se Giuseppe Pelle fosse – per usare le parole del pg- un "re senza regno", non si assisterebbe al registrato "pellegrinaggio" nella sua abitazione di appartenenti a diverse cosche di 'ndrangheta, pellegrinaggio che è invece. Una costante in casa Pelle, dal momento che si apprende per bocca dello stesso boss che egli trascorre le giornate ricevendo gli "amici" e così facendo "la sua parte"".

Insomma, Giuseppe Pelle non è un uomo qualunque. Per questo la condanna di Zappalà va aggravata dalle modalità mafiose, perché la sua azione "non può che produrre innegabili riflessi in termini di rafforzamento e consolidamento della 'ndrina Pelle, dimostrando oltretutto che il suo capo è in grado di condizionare le scelte del candidato già prima delle elezioni regionali".