L’intervento. Mario Nasone: “Cocò Campilongo, una morte annunciata”

Il piccolo Cocò Campilongo era diventato il "giubbotto anti- proiettili" del nonno, un vero e prorio scudo umano. Questo elemento emerso dallo inchiesta giudiziaria che ha individuato i presunti autori di questo barbaro omicidio non può passare sotto silenzio. Mentre va il plauso alle forze dell'ordine ed alla magistratura per il lavoro svolto bisogna chiedersi : la vita di Nicola poteva essere salvata? le istituzioni preposte alla tutela dei minori hanno fatto il loro dovere? Una domanda che bisogna porsi assolutamente anche per evitare che nel futuro analoghi eventi tragici colpiscano altri bambini che si possono trovare in analoga situazione.

In particolare bisogna interrogarsi sul perché il bambino sia stato affidato ad un nonno destinatario del provvedimento di sorveglianza speciale con tutto quello che ne consegue in termini di capacità educative, con l'aggiunta che aveva lui stesso e pubblicamente espresso dei timori sulla sorte del bambino, forse presagendo quello che sarebbe accaduto.

Considerata la detenzione in carcere della madre non sarebbe stato più idoneo per esempio un provvedimento di affidamento etero familiare o ad una casa-famiglia? Una famiglia terza, avrebbe potuto garantire una protezione del bambino senza recidere i legami con la famiglia d'origine.

Come centro comunitario Agape, siamo stati protagonisti e testimoni di famiglie affidatarie e di comunità che hanno accolto minori figli di testimoni di giustizia o coinvolti in faide o appartenenti a famiglie mafiose. Provvedimenti che hanno permesso di salvare le loro vite ed in molti casi di assicurare un loro futuro diverso da quello criminale. Purtroppo va registrato come la condizione di rischio per i minori che crescono in contesti familiari e mafiosi non è entrata nell'attenzione della politica e nella coscienza collettiva nonostante ci venga continuamente sbattuta in faccia dalla cronaca e dalle indagini giudiziarie che parlano di minori che hanno compiti di gestione degli affari delle famiglie.

Il rischio è che tutto venga rubricato come un affare interno alle famiglie mafiose con lo Stato e la comunità spettatrici limitandoci, nonostante i precedenti, a mostrare stupore per una 'ndrangheta che uccide anche i bambini. Serve invece un impegno di istituzioni e società civile per avviare una vera e propria ingerenza umanitaria in quelle situazioni in cui si registrano potenziali rischi per la crescita e spesso addirittura per la vita di tanti minori. Esporre i minori a rischio di vendette o a pratiche di reclutamento mafiose non sono forse condotte pregiudizievoli che hanno bisogno perlomeno di essere attenzionate dalla magistratura minorile e dai servizi sociali?

Serve quindi un monitoraggio da parte dei Tribunali per i Minorenni, dei servizi sociali, di queste situazioni di rischio, una presa in carico e l'attivazione dei provvedimenti necessari e idonei per la tutela dei minori. Il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria lo sta già facendo nella completa solitudine istituzionale con il progetto Liberi di scegliere che per ora è rimasto nella sola buona volontà di giudici minorili e volontari, mentre servirebbe come chiede il presidente Roberto di bella da tempo un vero e proprio pool di antimafia educativa. È il momento anche per la Regione Calabria di decidere seriamente di passare dalle politiche di abbandono verso i minori e le famiglie a rischio sociale per investire seriamente in politiche sociali ed educative di prevenzione e di contrasto alla povertà ed alle devianze in tutte le sue forme. Per questo motivo il Centro Comunitario Agape ed il laboratorio civico La Calabria che vogliamo" hanno organizzato per il mese di novembre,al Consiglio regionale della Calabria, un Forum sul tema, per chiamare a racolta tutti i soggetti istituzionali e sociali interessati per una azione comune che garantisca una rete di protezione ai figli della ndrangheta che hanno diritto ad un futuro diverso da quello che è toccato al piccolo Cocò.

Mario Nasone