L'avvocato Gregorio Cacciola condannato a 6 anni e 4 mesi di reclusione

cacciolagregoriodi Claudio Cordova - Non sono i 9 anni e 6 mesi richiesti dal pm Giovanni Musarò, il Tribunale di Palmi non calca troppo la mano con l'avvocato Gregorio Cacciola, condannandolo a 6 anni e 4 mesi di reclusione nel processo "Onta" che lo vedeva come unico imputato che aveva scelto di essere giudicato con rito ordinario. Cacciola, imputato di violenza privata aggravata dalle modalità mafiose per le pressioni che porteranno la giovane testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola a rientrare a Rosarno e ritrattare le importanti dichiarazioni rilasciate alla Dda di Reggio Calabria nel 2011, quando deciderà di troncare con il contesto mafioso di appartenenza per rifarsi una vita.

Pressioni che costringeranno la giovane a rientrare in Calabria, fino alla tragica fine, in agosto, allorquando verrà ritrovata morta (quasi certamente uccisa) dopo l'ingestione di acido muriatico.

Una condanna non esemplare, quella per Cacciola. Una condanna che segue la decisione già emessa (e ora arrivata al grado d'appello) del Gup di Reggio Calabria, Davide Lauro, che aveva condannato i familiari di Cetta Cacciola, nonché l'altro avvocato coinvolto, nel frattempo divenuto collaboratore di giustizia.

Per Cacciola, tuttavia, viene disposta l'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e l'interdizione per cinque anni dalla professione di avvocato.

Nel corso delle scorse udienze, il pm Musarò, trasferito da alcuni mesi a Roma ma applicato al processo, aveva ripercorso la tragica vicenda di Cetta Cacciola, contestando all'imputato condotte, intercettazioni, documenti e dichiarazioni di collaboratori di giustizia. Una lunga requisitoria che si era conclusa con la pesante richiesta di 9 anni e 6 mesi di reclusione: "L'avvocato Cacciola coordina tutto anche se non compare mai" dice il pm Musarò. Un procedimento che, per il rappresentante dell'accusa, avrebbe dovuto "ridare dignità a Maria Concetta Cacciola, che non era una squilibrata come si è voluto far credere".

Maria Concetta Cacciola, dunque, sarebbe stata ammazzata il 20 agosto perché stava per rientrare nel programma di protezione: "Gli avvocati non rappresentavano i suoi interessi" dirà il pm Musarò.

Missione compiuta per l'accusa, che lava così l'onta – quella vera – subita dalla giovane testimone di giustizia, anche con la complicità di una certa stampa, che si schiererà (inconsapevolmente) dalla parte della 'ndrangheta: "La vicenda è stata strumentalizzata per bloccare la Dda: la 'ndrangheta, infatti, era preoccupata e voleva disincentivare le varie collaborazioni di donne che stavano sorgendo, come quella di Giuseppina Pesce. Fino a quel momento, infatti, le donne erano rimaste impunite. Il fine, dunque, era quello di rendere impopolari le collaborazioni per recuperare il danno d'immagine subito. E qualcuno è stato il megafono della 'ndrangheta, inconsapevolmente, ovviamente...".

Saranno intercettazioni telefoniche e ambientali a ricostruire le drammatiche fasi della primavera-estate 2011. Una storia che inizierà nel giugno 2011, quando Cetta Cacciola deciderà di allontanarsi da Rosarno e di riversare il proprio patrimonio conoscitivo sulla 'ndrangheta di Rosarno. Una storia che, però, non si fermerà con la morte della giovane, avvenuta il 20 agosto successivo, ma che continuerà anche dopo tramite le manovre della famiglia, dell'avvocato Gregorio Cacciola e della stampa per infangare la dignità della testimone di giustizia. Ma non solo. Fondamentale anche il contributo fornito dall'avvocato Vittorio Pisani, che deciderà di collaborare con gli inquirenti, temendo per la propria vita, dopo essere stato condannato in primo grado. Il pm Musarò, dunque, ripercorrerà le dichiarazioni di Pisani, ma anche quelle di un altro collaboratore, il medico-imprenditore della cosca Molè, Marcello Fondacaro: "Le dichiarazioni dei due non ci servivano nemmeno, il quadro era già solidissimo, ma ogni affermazione di Pisani e Fondacaro è pienamente riscontrata" dirà il rappresentante dell'accusa.

E il Tribunale presieduto da Antonino Battaglia si dimostra dello stesso avviso, condannando l'avvocato Cacciola. La famiglia della testimone di giustizia, dunque, si sarebbe impegnata per smacchiare la reputazione, l'onta, appunto, della collaborazione della giovane Cetta: "Sapeva molte cose e stava parlando dei Bellocco" afferma il pm Musarò. Da qui, dunque, la nomina di Vittorio Pisani, storico legale del clan di Rosarno, che avrebbe dovuto garantire la regolarità delle operazioni. Il dominus di tutto, però, sarebbe stato l'avvocato Gregorio Cacciola: "E' lui il vero consigliori, un consigliori di tutte le cosche della Piana: Pisani era solo un pupo" affermerà Musarò. Tra i due, dunque, il rappresentante dell'accusa fa nette distinzioni: "Quando ha deciso di collaborare, Pisani non si è smarcato dalle proprie responsabilità, ma, anzi, ha dimostrato di essere davvero pentito".

Ben diversa, invece, la storia dell'avvocato Gregorio Cacciola.