Reggio, chiesti in appello 8 anni per l'imprenditore Pietro Siclari

siclaripietroIl sostituto procuratore generale presso la Corte d'Appello di Reggio Calabria, Fulvio Rizzo, ha chiesto la conferma delle condanne di primo grado e l'accoglimento dell'appello della Dda nell'ambito del procedimento "Entourage", che vede alla sbarra tre persone. Il pg ha quindi chiesto alla Corte presieduta da Iside Russo la conferma delle condanne disposte dal Tribunale reggino, presieduto da Olga Tarzia, che nel luglio dello scorso anno comminò 8 anni di reclusione per l'imprenditore Pietro Siclari (nella foto), difeso da Carlo Morace, 4 anni e 6 mesi furono inflitti invece a Vincenzo Ranieri assistito da Rocco Guttà. Per l'altro imputato Pasquale Buda, difeso da Umberto Abate e Francesco Calabrese, il pg ha chiesto una condanna a 4 anni e sei mesi di carcere accogliendo così l'appello della Dda proposto all'esito della sentenza di assoluzione.

L'inchiesta portò alla ribalta un vero e proprio "cartello" di imprese in grado di ottenere l'appalto nei lavori pubblici banditi nella provincia di Reggio Calabria, predisponendo a tavolino le offerte, in modo da preordinare il nome della ditta vincitrice: tanti episodi di turbativa d'asta per lavori di importo medio di 300-400mila euro ciascuno. Nell'indagine fu coinvolto anche Siclari, imprenditore molto noto in città e considerato dagli inquirenti assai vicino ai clan. L'indagine, infatti, permise di far luce su una rapina consumata nell'agosto 2006 da almeno tre individui ai danni della ditta Siclari, a Cannavò, zona che, dal punto di vista criminale, fa da sempre riferimento alla cosca Libri. Il bottino della rapina in danno di Siclari fu di 75mila euro. Uno dei responsabili, Antonio Cutrì, venne anche arrestato nel corso dell'operazione. E proprio con riferimento alla posizione di Cutrì, Siclari, avrebbe messo in atto la propria condotta criminosa, che gli costa l'accusa di estorsione aggravata dalle modalità mafiose. Dopo aver denunciato la rapina ai Carabinieri, Siclari non si sarebbe accontentato delle indagini avviate dai militari dell'Arma, ma avrebbe intrapreso delle verifiche personali, individuando in Antonio Cutrì uno dei responsabili, con il ruolo di basista, della rapina subita. Siclari allora avrebbe imposto al padre di Cutrì, suo dipendente da diversi anni, a pensionarsi, rinunciando a buona parte della propria liquidazione, come compensazione della rapina. Siclari avrebbe svolto le proprie indagini parallele e imposto il pensionamento forzato a Cutrì, sfruttando la forza intimidatoria di alcuni soggetti assai vicini alle cosche di Cannavò, Sinopoli e Platì.

La sentenza è prevista per la fine di maggio.