A San Lorenzo (RC) controllavano tutto: 52 arresti sui Paviglianiti

operazioneultimaspiaggiadi Claudio Cordova - La misura della pervasività della cosca arriva dalla statistica fornita dal procuratore capo, Federico Cafiero de Raho: un cittadino su trenta sarebbe legato alla cosca di 'ndrangheta. "Un dato inquietante" dice il magistrato, commentando l'operazione "Ultima spiaggia", con cui i Carabinieri hanno disarticolato la famiglia Paviglianiti, egemone su San Lorenzo e Bagaladi. Associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, illecita concorrenza con minaccia o violenza, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, intestazione fittizia di beni, estorsione - reati aggravati dall'aver favorito un sodalizio di tipo mafioso - truffa aggravata ai danni dello Stato, detenzione e porto illegale di armi, furto aggravato ed indebito utilizzo di carte di pagamento, associazione finalizzata alla produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti, spaccio di droga. Una sfilza di reati, quelli contestati, a vario titolo, agli indagati.

Una famiglia, quella dei Paviglianiti, che avrebbe resistito all'espansione del clan Iamonte che, da Melito Porto Salvo, sarà capace, negli scorsi decenni, di diventare "una cosca di serie A" (per dirla con le parole del procuratore aggiunto, Nicola Gratteri) e fare tabula rasa sull'hinterland. I Paviglianiti, però, resisteranno e riusciranno a proliferare.

Le investigazioni, avviate nel novembre del 2009, si sviluppano in prosecuzione dalle indagini svolte sempre dai Carabinieri di Reggio Calabria con l'indagine "Ada", che aveva focalizzato l'attenzione nel comprensorio del comune di Melito di Porto Salvo, dove è egemone la cosca Iamonte. L'attività investigativa svolta, inoltre, ha trovato pieno riscontro nelle successive dichiarazioni rese da Giuseppe Ambrogio, affiliato della cosca Iamonte che, a circa un mese dal suo arresto maturato nel corso dell'esecuzione dell'operazione A.D.A., ha deciso di collaborare con la giustizia.

Le redini della cosca sono state storicamente rette da Domenico Paviglianiti, il quale rappresenta il vertice indiscusso dell'omonima cosca, in atto recluso presso la casa circondariale di Ascoli Piceno. In considerazione del regime carcerario cui si trova sottoposto, gli interessi della cosca vengono curati principalmente dai fratelli Angelo e Settimo Paviglianiti cui gli si riconoscono poteri direttivi e di gestione dei traffici illeciti.

I Paviglianiti, dunque, avrebbero continuato la propria tradizione mafiosa anche grazie ai rapporti che i vertici della cosca hanno sempre intrattenuto con i rappresentanti di maggior livello delle altre famiglie mafiose, in primis la cosca Iamonte, i cui interessi economici sono inevitabilmente destinati ad intrecciarsi. Il concetto unitario di 'ndrangheta è avvalorato, oltre che dall'attività investigativa effettuata, anche da alcuni riscontri oggettivi da cui si evince il forte legame (anche parentale) stretto dai Paviglianiti con affiliati di primo piano della cosca Tegano-De Stefano, egemone nel quartiere Archi del capoluogo reggino. La cosca Paviglianiti si è rivelata molto attiva nel settore del traffico di stupefacenti allacciando rapporti con personaggi attivi in un sodalizio operante nella Locride dai quali erano soliti rifornirsi di marijuana e facente capo a esponenti della cosca Morabito-Palamara-Scriva, operante nel comprensorio di Africo Nuovo e dei comuni limitrofi.

"Si tratta di un locale di 'ndrangheta che non si attenzionava da decenni" spiega il procuratore aggiunto Nicola Gratteri, coordinatore per le indagini sulla fascia ionica reggina.

Una cosca, dunque, che gli inquirenti considerano molto radicata in quella zona: i suoi interessi andrebbero dall'esercizio della pratica estorsiva, mediante la quale si assicurano il controllo del territorio; al controllo degli appalti pubblici, che vengono di norma affidati a ditte compiacenti riconducibili alla cosca; ed anche il traffico di stupefacenti che i sodali pongono in essere servendosi di una nutrita schiera di giovani affiliati. Gli introiti derivanti dal traffico di sostanze stupefacenti verrebbero reinvestiti in attività commerciali, della cui gestione si incaricano direttamente gli esponenti della cosca Paviglianiti o prestanome ai quali viene intestata l'attività. L'azzeramento della concorrenza è uno degli obiettivi che il sodalizio si prefigge di perseguire in maniera tale da avere piena libertà d'azione e per il raggiungimento del quale si assiste ad un frequente ricorso ad azioni intimidatorie e danneggiamenti, la cui esecuzione mette il suggello al predominio della cosca sul territorio.

Nulla sarebbe rimasto fuori dal controllo. Anche le attività ludiche.

E così, nell'estate del 2010 vede i natali il Lido "La Cubana" di proprietà di Bruno Luca Cannizzaro, ma realmente riconducibile al cognato, Settimo Paviglianiti. "La Cubana" è uno stabilimento balneare, i cui titolari, sin dalla prima stagione estiva, riescono a sbaragliare la concorrenza ricorrendo ad azioni intimidatorie continue, come i ripetuti atti intimidatori e danneggiamenti di cui nel corso degli anni è stato vittima Carmelo Serranò, un operatore turistico della zona del comune di San Lorenzo. Gli investigatori coordinati dal pm Antonio De Bernardo assistono inoltre ad un frequente passaggio del testimone tra prestanome della cosca che si avvicendano nella proprietà del Bar "Punto Centosei" (questa l'attuale sua denominazione) che si trova in contrada Arcina del comune di San Lorenzo frazione Marina: da Vincenzo Marino a Giuseppe Muscianisi, fino all'attuale intestatario, Vincenzo Abenavoli, tutti riconoscono in Settimo Paviglianiti il reale proprietario al quale, come emerso a chiaramente nel corso di una conversazione ambientale intercettata, devono essere corrisposti i proventi.

Ma è l'infiltrazione nella Pubblica Amministrazione a fornire, ancora una volta, il senso della potenza dei clan. L'attività d'indagine esperita ha infatti dimostrato come la cosca abbia collocato nei punti nevralgici delle amministrazioni locali uomini di fiducia, attraverso i quali è stato possibile condizionare il regolare svolgimento della vita politico/amministrativa, nonché stravolgere le regolari procedure di assegnazione dei lavori pubblici diventati quindi appannaggio di una ristretta cerchia di imprenditori affiliati e/o contigui alla cosca. Il sostegno fornito da amministratori e funzionari del comune di San Lorenzo, al servizio della cosca, si rivelerà determinante: in seno al comune di San Lorenzo, Marco Antonio Sergi e Rocco Giovanni Maesano, rispettivamente responsabile dell'area tecnica e dell'area amministrativa - finanziaria, giocheranno un ruolo determinante permettendo che Cannizzaro, in violazione della normativa vigente, possa ottenere le autorizzazioni necessarie all'edificazione del lido "La Cubana", pur in assenza di nulla osta paesaggistico. L'importanza delle figure cardine di Sergi e Maesano si denota anche nella discutibile gestione dei lavori pubblici ed in un eccessivo ricorso alle somme urgenze che divengono appannaggio di una ristretta cerchia di imprese: nel settore edile e del movimento terra a farla da padrone sono l'impresa individuale Antonio Russo, il cui titolare è genero di Angelo Paviglianiti, e l'impresa di Carmelo Iacopino.

Contestualmente all'esecuzione del provvedimento restrittivo, è stato eseguito un decreto di sequestro preventivo di 5 imprese (tra cui uno stabilimento balneare ed un frantoio oleario) riconducibili alle cosca Paviglianiti, per un valore complessivo di 10 milioni di Euro circa.