"Vi dico io chi sono i De Stefano". Cosche, politica e massoneria: il pentito Fiume e gli intrecci della "Reggio Bene"

fiumenino deposizionedi Claudio Cordova e Alessia Candito - "E' meglio se ci sono io al di sopra di altri". Le parole sono quelle del grande capo carismatico e sono le parole con cui Giuseppe De Stefano avrebbe accettato la carica di "Crimine" che, di fatto, gli avrebbe consegnato le chiavi di Reggio Calabria, ponendolo al di sopra rispetto a tutti gli altri boss della 'ndrangheta. Il conferimento del ruolo a De Stefano, avvenuto nei primi anni del nuovo millennio, è solo uno dei particolari svelati, all'interno dell'aula bunker, dal collaboratore di giustizia Antonino Fiume, per anni killer della cosca De Stefano e strettissimo complice proprio di quello che sarebbe diventato il nuovo grande capo cittadino.

LE RAGIONI DEL PENTIMENTO

Fiume, per moltissimo tempo molto più di un fratello per Peppe De Stefano, ha fatto il proprio "esordio" nel procedimento "Meta" che sta tentando di ricostruire le nuove dinamiche criminali reggine, con le quattro grandi famiglie – De Stefano, Tegano, Libri, Condello – un tempo impegnate in lotte sanguinosissime, oggi unite, dopo la pax del 1991, per la gestione e la divisione degli affari. E il ruolo di Peppe De Stefano, figlio del celebre boss Paolo De Stefano, si inquadrerebbe proprio nelle nuove regole mafiose. Per conferire il grado, altissimo, a De Stefano, sarebbero stati interpellati – e avrebbero fornito il proprio parere favorevole – personaggi del calibro di Pasquale Condello, il "Supremo", ma anche Giovanni Fontana, Pasquale Libri, Tommaso Romeo, per l'area ionica, e i membri della famiglia Mammoliti.

Le affermazioni di Fiume, dunque, sono fondamentali nell'impostazione accusatoria che il sostituto procuratore della Dda, Giuseppe Lombardo, sta portando avanti. Un patrimonio conoscitivo immenso, quello di Fiume, e vissuto in primissima persona. Già a partire dagli anni '80, infatti, Fiume ha frequentato, giorno e notte, la casa dei De Stefano ad Archi, diventando amico di tutti i figli di don Paolino, da Carmine a Peppe, arrivando fino a Dimitri, l'unico che, al momento, sembra essere rimasto fuori da ogni dinamica criminale.

Un rapporto che diventerà ancora più stretto quando Fiume diventerà il fidanzato dell'unica figlia  di Paolo De Stefano, Giorgia. Un salto di qualità importante anche per uno che la famiglia degli arcoti l'aveva sempre frequentata,  arrivando a dare prova nel tempo della propria fedeltà al potente casato di ndrangheta. "Io ho sempre frequentato casa De Stefano – racconta ancora il collaboratore - mi ero anche esposto nel 1982, quando vicino al Cordon Bleu  un tizio di Modena, Nicola il Selvaggio, cercò di aggredire Carmine De Stefano e io e Pasquale Condello lo abbiamo difeso. Qualche giorno dopo venni massacrato di botte. Quando don Paolo lo venne a sapere disse di lasciare perdere, ma in seguito lui e tutti i ragazzi che erano con lui vennero uccisi". Ma saranno i sette anni di relazione con l'unica figlia di don Paolino a far diventare Fiume, uno di famiglia. Tanto da potersi azzardare ad affermare  – nel corso di una riunione di ndrangheta a Platì, alla presenza delle famiglie più importanti della Ionica  -  di essere un De Stefano.

Del resto, tale Fiume si sentiva. Un ruolo che andava anche oltre i suoi rapporti personali con una De Stefano "Quando con Giorgia è finita, io le ho detto che se lei era innamorata di quel ragazzo conosciuto all'università, se non ci fossero stati i suoi fratelli l'avrei accompagnata all'altare".  Antonio Fiume si sentiva uno di famiglia. Un rapporto strettissimo, quello tra Fiume e i De Stefano, che però dopo la rottura con Giorgia e l'evolversi dei nuovi rapporti all'indomani della guerra, si rompe.  I De Stefano vogliono fare pulizia, i "ragazzi" che  si erano spesi nel corso della guerra di ndrangheta, erano diventati "di troppo". Ragazzi come Fiume, che – afferma il collaboratore – aveva iniziato ad avere il chiaro sentore che i fratelli De Stefano stessero preparando la sua eliminazione. "Ero stanco di soprusi e falsità – dice Fiume, spiegando la propria scelta di collaborare – mi sentivo contro la nuova 'ndrangheta dei figli di Paolo De Stefano". E ai due, il pentito riserva parole durissime. Non sono degni eredi del padre, ma dei falsi e vigliacchi.  "Qualche giorno prima della bomba all'Agenzia Viaggi Simonetta (piazzata proprio dai De Stefano, ndr), eravamo tutti insieme nel pub di una delle sorelle Fiorenza (una delle sorelle Fiorenza sposerà Giuseppe De Stefano), con Peppe e Dimitri e festeggiavamo come se fossimo una cosa sola. Due giorni dopo sarebbe arrivata la bomba".

Ma i giudizi più severi, Nino Fiume li riserva a Carmine De Stefano: "La vigliaccheria di Carmine De Stefano era qualcosa di fuori dalla norma. Ogni sera, per anni, ho passato tutte le sere d'estate all'Oasi e con Pino Scaramozzino (proprietario della celebre struttura, ndr)  e altri andavamo a gustare un gelato da Cesare, in via Marina. Io lo ammiravo molto, perché si alzava ogni mattina alle cinque per lavorare. Ma Carmine mi disse di  chiedergli dieci milioni. Per me queste cose  non esistono". Così come per Fiume, non si possono toccare le donne di famiglia. Come Giusy Coco Trovato, antica fidanzata di Carmine De Stefano, che i due fratelli avevano condannato a un colpo in testa e una sepoltura nello Stretto. La figlia dell'antico alleato milanese dei due fratelli aveva commesso l'imperdonabile errore di confessare di essere in realtà  innamorata di Giuseppe e non di Carmine De Stefano. E soprattutto di farlo sapere in giro, facendo  leggere il proprio diario a uno dei luogotenenti del clan, Vincenzino Zappia. Solo per intercessione del padre Franco Coco – volato da Milano fino a Reggio - e del responsabile del locale di Lecco,  la donna ha avuto salva la vita.

Ma questi non sono  che alcuni dei migliaia di episodi che Fiume è in grado di riferire sui De Stefano e sul loro entourage. È stato vicino al cuore della ndrina che da decenni detta legge a Reggio città. Per questo, il 27 febbraio 2002, giorno in cui decide di chiamare la questura e consegnarsi alla Polizia di Reggio Calabria, per la famiglia di Archi cambia qualcosa. E i frutti potrebbero arrivare proprio nel maxiprocesso "Meta"

IL "SINDACO" PAOLO DE STEFANO

quella degli eredi di don Paolino non era la ndrangheta che Fiume conosceva e  cui aveva giurato fedeltà. Non era – afferma – la ndrangheta di Paolo De Stefano: "lui era un padrino della 'ndrangheta, ma in un certo senso era anche un sindaco, gestiva la città. Aveva abbandonato le sue origini di trafficante di bionde (le sigarette) e si dedicava all'amministrazione della città. Ricordo che ebbe anche degli screzi con Ciccio Canale, che andava nelle botteghe a farsi dare la mortadella, il pane. Paolo De Stefano non voleva che succedessero queste cose". Parte dalle origini, Nino Fiume, parte dal periodo in cui, in città, erano tutti "destefaniani", perché, in maniera implicita e non, riconoscevano a Paolo De Stefano un carisma e una lungimiranza superiore alla media: "Era per tutti il capo, ma anche un imprenditore – racconta il collaboratore da dietro il separè – e io avevo un rapporto di grande confidenza non solo con i figli, ma anche con il padre. Quando Paolo De Stefano parlava di 'ndrangheta voleva accanto a sé Giovanni Tegano. Pasquale Condello non avrebbe mai voluto la guerra, era pronto a consegnare anche suo cugino Domenico, ma poi gli uccisero il fratello davanti alla porta del carcere". Paolo De Stefano era diverso, aveva capito prima di molti altri, forse, il ruolo che la 'ndrangheta avrebbe dovuto esercitare in città: "Si crede che tutto si ferma a Reggio, ma c'è un'altra cosa che è la banca dei favori della ndrangheta" dice ancora Fiume, che anche sulla morte del boss, arrivata nell'ottobre 1985, agli albori della seconda guerra di mafia, Fiume è sicuro: "Avevano deciso di ucciderlo anni prima, non per l'autobomba a Nino Imerti, in cui lui non c'entrava nulla".

L'EREDE

E il ruolo di don Paolino sarebbe stato ereditato, in tutto e per tutto, proprio da Peppe De Stefano, arrestato sul finire del 2008 dalla Squadra Mobile e attualmente detenuto a Tolmezzo in regime di 41bis: "Giuseppe De Stefano ha commesso il suo primo omicidio a diciassette anni" dice, in maniera glaciale, Nino Fiume. Una forza criminale, quella di Peppe De Stefano, che gli avrebbe permesso di avere voce in capitolo su decisioni assai delicate, anche quando era poco più che ventenne: "Mico Libri disse che la pace si può fare. Se vogliamo fare affari dobbiamo essere tutti una cosa e già a 22 anni (ai tempi degli incontri per stabilire la fine della seconda guerra di mafia, ndr) Giuseppe De Stefano aveva potere di mettere il proprio veto nelle trattative tra i Tegano, i Condello e gli Alvaro". Trattative di pace che, a detta di Fiume, si incastrarono, come spesso si è sostenuto, proprio nel periodo immediatamente antecedente e contemporaneo all'omicidio del giudice Antonino Scopelliti, ucciso nell'agosto 1991 per fare un favore a Cosa Nostra, proprio quando il magistrato stava per sostenere in Cassazione l'accusa nel maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone: "Giuseppe De Stefano mi disse che i sicari che uccisero il dottore Scopelliti erano due calabresi" dice ancora Fiume che viene "stoppato" dal pm Lombardo proprio quando sta per fare i nomi dei presunti responsabili.

I RAPPORTI CON I SICILIANI

Ma i rapporti con i siciliani non si sono limitati alla "cortesia" dell'eliminazione del giudice Scopelliti. Nel '93, Cosa Nostra tentò di coinvolgere anche le ndrine calabresi nella strategia che Fiume definisce di "attacco allo Stato". Allo scopo furono anche convocate  diverse riunioni, una a Milano e due in Calabria.  "Era il periodo delle stragi di Roma, Firenze, Falcone e Borsellino erano stati uccisi", ha detto Fiume. Alla prima di riunione, quella  di Rosarno, è avvenuto all'hotel Vittoria, e lì – ricorda Fiume -  "c'erano i siciliani. Per i calabresi c'erano Carmine e Giuseppe De Stefano, Franco Coco, il suo braccio destro, Nino Pesce. Forse qualcuno dei Bellocco. Pietro Cacciola, che frequentava Coco Trovato a Milano". Un rapporto profondo  quello che i De Stefano, soprattutto Peppe, aveva con i milanesi. "Nel periodo della guerra Peppe era a Milano con Coco Trovato, quando subiscono un attentato da parte di alcuni napoletani. Nel giro di una settimana una cinquantina di persone delle famiglie più influenti della ndrangheta per fare piazza pulita dei napoletani. Era arrivato addirittura Vittorio Canale dalla Francia". La seconda riunione, di poco successiva "Era nel periodo in cui a Reggio Calabria era stato ucciso il fratello di Santo Crucitti sulla macchina blindata. Eravamo al residence Blue Paradise di Parghelia. Franco Coco voleva stringere il cerchio attorno a Pasquale Condello, bisognava chiarire il progetto dei siciliani e c'era anche un traffico di droga da definire. C'erano presenti Luigi Mancuso, Peppe De stefano, Peppe Piromalli, Pino Pesce, Coco Trovato. Tenete presente dottore – dice Fiume, rivolto al pm Lombardo -  queste riunioni si partecipa non come famiglia, ma come rappresentanti di un territorio più vasto".
Ai siciliani, all'epoca, fu detto di no, solo Franco Coco Trovato era possibilista. Per Peppe De Stefano  invece, la strategia dei siciliani era controproducente. "Diceva che era più facile avvicinare un magistrato o al massimo distruggerlo con campagne denigratorie. E ne ho avuto la prova, quando c'è stato il sequestro dei beni dei De Stefano, noi avevamo tutte le carte in mano perchè tramite Pino Scaramuzzino, abbiamo conosciuto l'avvocato Giglio che era parente del giudice Giglio, che aveva in mano il processo".

I CONTRASTI ALL'INTERNO DELLA COSCA

Ed è proprio nel corso delle lunghe e tortuose trattative seguite alla seconda guerra di ndrangheta che si delinea il futuro ruolo di Peppe De Stefano, insignito della carica di Crimine. Una carica segreta, di cui i picciotti non sono a conoscenza, ma che sanno perfettamente quale sia il potere criminale del capo. Perchè lo sperimentano sulla propria pelle. Il Crimine sarebbe andato dunque a Giuseppe De Stefano, anche perché l'altro grande boss cittadino, Pasquale Condello, non ne aveva bisogno, forte dell'investitura che avrebbe ricevuto, nei primi anni '80, proprio da Paolo De Stefano. Da qui, dunque, secondo Nino Fiume, la nascita della grande "cupola" reggina: "La superassociazione era composta Pasquale e Giovanni Tegano, Pasquale Condello, Giuseppe De Stefano e avevano potere su tutto e su tutti, su tutte le cose che potevano portare soldi e ricchezza". D'altra parte, come afferma con grande sicurezza il collaboratore "Pasquale Condello e Giuseppe De Stefano erano la stessa persona".

Una carica ambita, all'interno della famiglia De Stefano, cui anche Carmine aspirava. Ma la scelta è caduta su Giuseppe de Stefano. Uno smacco ulteriore, ma senza conseguenze per il maggiore dei De Stefano che "ha sempre avuto un complesso di inferiorità nei confronti del fratello, che pur essendo più giovane è sempre stato ritenuto più valido. Carmine si è sempre occupato di estorsioni, ha gestito armi, ma non ha mai ucciso nessuno a Reggio se non per errore, mentre Giuseppe ha ucciso in molte parti d'Italia".

La medesima lungimiranza di Carmine, che accetta l'investitura del fratello, non viene mostrata dallo zio Orazio, divenuto nel tempo sempre più vicino ai Tegano. Un conflitto che rischia di spaccare in due il clan e degenerare in una guerra, ma che viene ricondotto a regime. Almeno ufficialmente. Perchè Peppe De Stefano non ha intenzione di giocare pulito. Eliminazioni mirate, alleanze occulte, con un unico obiettivo: acquisire ancora più potere "Lui voleva fare terra bruciata avvelendosi della Banca dei favori della ndrangheta, appoggiandosi anche a Mario Audino. Quando erano in carcere insieme, avevano pianificato la strategia. Audino faceva il doppio gioco: voleva andare oltre, si era creata una frattura all'interno dei Lo Giudice di San Giovannello. Peppe mi disse che quando sarebbe uscito dal carcere avremmo dovuto aiutarlo a "fare pulizia all'interno del suo clan".

I rapporti tra Peppe De Stefano e lo zio Orazio (fratello del padre) diventeranno sempre più tesi. Sebbene portino entrambi lo stesso cognome e nelle proprie vene scorra lo stesso sangue, a Orazio De Stefano verrà sempre contestata la vicinanza e talvolta la sudditanza nei confronti della cosca Tegano. Orazio, detto Pietro, è infatti sposato con Antonietta Benestare, sorella di quel Franco Benestare che dei Tegano è uno dei membri più in vista. Ancora una volta, Fiume vivrà in prima persona i litigi tra Orazio e Peppe. Proprio nei rapporti tesi tra i De Stefano e i Tegano, peraltro, è da inquadrarsi anche l'eliminazione di Mario Audino, formalmente organico ai Tegano, ma assai legato proprio a Peppe De Stefano. Audino verrà "posato" alla fine del 2003, quasi due anni dopo l'inizio della collaborazione di Nino Fiume.

LA "ZONA GRIGIA"

Ma la cosa che avrebbe permesso ai De Stefano di diventare quelli che sono, sarebbe la capacità di relazionarsi con il mondo dei "colletti bianchi". Senza di essi, infatti, la 'ndrangheta sarebbe rimasta una banda di ladroni. E invece, imprenditori, politici e massoni avrebbero contribuito ad accrescere a dismisura il potere della famiglia di Archi: "I De Stefano – afferma Fiume – hanno sempre potuto contare su amicizie importanti nella massoneria deviata, tutto a un livello superiore. Sono cose che partono da lontano, ricordo quando le figlie della "Reggio Bene" facevano a gara per imparentarsi con Giuseppe De Stefano". Già, la "Reggio Bene", quella che, di fatto, si sarebbe consegnata tra le braccia dei De Stefano, che l'avrebbe plagiata, soggiogata. Da qui, dunque, gli "arcoti" avrebbero iniziato a frequentare i salotti buoni della città: "La Reggio Bene è lo schifo di Reggio – dice Fiume – Reggio ha vissuto sempre di massoneria e di logge deviate".

Dal racconto di Fiume, dunque, emerge uno spaccato inquietante degli ultimi anni della città. E un ruolo fondamentale l'avrebbe giocato anche l'avvocato Giorgio De Stefano: "Lui ha amicizie giuste in contesti importanti e ha sempre avuto un ruolo attivo nella cosca. Ricordo quando Dimitri doveva fare il militare e lui andò personalmente a Taranto per farlo riformare, come poi avvenne". 'Ndrangheta, politica e imprenditoria, tutto all'ombra dei "cappucci". Secondo Fiume, tutto starebbe lì e tutto comincerebbe oltre quarant'anni fa. Il collaboratore, infatti, ricorda anche il famoso registro della super loggia reggina che veniva ad inserirsi in una loggia massonica ufficiale, e precisamente quella di cui faceva parte il preside Cosimo Zaccone, personaggio notoriamente legato al gruppo De Stefano. In quel registro, che Paolo De Stefano temeva potesse finire in mani sbagliate, probabilmente sono contenuti i pilastri su cui si regge l'attuale status quo reggino: "Mico Libri li chiamava "nobili" – dice Fiume – ma in realtà erano massoni".

Ma Fiume è un laureato in 'ndrangheta, con specializzazione in "cosca De Stefano". Non c'è passaggio che al collaboratore non sia sfuggito. Riesce, a distanza di anni, a ripercorrere fatti e vicende, individuando anche i luoghi in cui si nasconderebbero i tesori della cosca: dalla Francia alla Svizzera, ma anche in Umbria". E i suoi racconti fanno venire i brividi circa la potenza della cosca: "L'avvocato Tommasini mi disse che Paolo De Stefano faceva affari con persone inaccessibili anche per il Presidente della Repubblica e io stesso accompagnai Carmine De Stefano in uno studio ai Parioli: chi ci aprì aveva i guanti, ricordo che c'era un confessionale e una targa in lingua straniera che anche i De Stefano avevano a casa. Lì nelle vicinanze c'era la Zecca dello Stato e forse anche un ufficio ministeriale. Ricordo di aver fatto anche un sopralluogo con il dottor Cortese".

L'OASI VILLAGE

Quanto agli imprenditori, tanti sono i riferimenti di Nino Fiume a Pino Scaramozzino e al suo Oasi Village, su cui, a dire del collaboratore, i De Stefano avrebbero sempre supervisionato. Oltre all'Oasi, infatti, gli Scaramozzino avevano altri progetti, volendo costruire, proprio nei pressi della celebre struttura di Pentimele, una darsena e un centro benessere. E, anche in questo caso, Peppe De Stefano avrebbe supervisionato, allontanando anche chi (Paolo Rosario Caponera De Stefano e Paolo Schimizzi) accampava pretese sull'area. Ma quella dei De Stefano è solo amicizia a tempo. Chiunque, infatti, potrebbe essere a rischio: "E' una cosa che non ho mai avuto il coraggio di dire a Pino, ma ricordo che una volta Giuseppe De Stefano mi mandò da lui al Papirus per farmi cambiare un assegno. Ricordo che mi era stato detto di ucciderlo quella sera stessa se non l'avesse cambiato".

Intrighi e affari in cui entrerebbe anche il fallimento Montesano. I De Stefano sarebbero infatti sempre stati attenti ai beni in circolazione, occupandosi anche degli appalti riguardanti, tanto il Parco Caserta, tanto la Perla dello Stretto a Villa San Giovanni. Del resto, come dice Fiume "sono gli stessi imprenditori a cercare il contatto con la 'ndrangheta".

PEPPE, ALBERTO E LA POLITICA

E lo stesso meccanismo di ricerca avverrebbe per quanto riguarda la politica. Sebbene il pm Lombardo abbia ricordato, più e più volte, al pentito di non lasciarsi andare ai nomi dei politici con cui avrebbe avuto rapporti, quelli di Giuseppe Scopelliti e di Alberto Sarra escono comunque fuori. Sull'attuale Governatore, infatti, Fiume si limita a dire: "Stimavo Peppe Scopelliti anche se lui adesso certe cose non le riconosce". In passato, infatti, Fiume (che Scopelliti ammette di aver conosciuto in discoteca, da giovane) ha dichiarato di aver avuto un ruolo di "controllo" sull'azione politica dell'ex sindaco di Reggio Calabria. Quanto all'attuale sottosegretario Sarra, in passato indagato (ma poi archiviato) per concorso esterno in associazione mafiosa, il collaboratore racconta che sarebbe entrato in contatto con Peppe De Stefano (che lo avrebbe detto a Fiume) per un affare da ottanta milioni con un tale Romeo dell'area ionica della provincia di Reggio Calabria, che avrebbe chiesto aiuto al figlio di don Paolino.

Con i politici, Nino Fiume avrebbe avuto tanti rapporti: "Ne ho conosciuti tantissimi e per alcuni ho avuto un ruolo importante, parlo delle elezioni regionali e comunali intorno al 2000. Ho fatto per conto mio, ma tutti sapevano che ero un De Stefano e anche con la stessa famiglia ci siamo sempre confrontati e abbiamo scelto i candidati da appoggiare".

E a suo dire Fiume avrebbe sempre appoggiato candidati di centrodestra, arrivando a scontrarsi anche con quel Gianfranco Giunta, oggi avvocato, ma in passato condannato proprio per favoreggiamento a uno dei capi della cosca De Stefano. Proprio il riferimento a Giunta, impegnato nel procedimento, ma assente in aula, fa sobbalzare gli avvocati che, per diversi minuti, danno vita a un durissimo scontro anche con il pm Lombardo.

Al presidente del Collegio non resterà quindi che rinviare l'udienza a venerdì. Nino Fiume ha ancora molte cose da dire.