Interrogazione parlamentare su caso Bentivoglio, Rampelli (Fdi-An): “Alfano responsabile di pubblicizzare informazioni riservate. Così lo Stato difende chi denuncia il pizzo?”

bentivogliotiberio"Siamo costretti a ribadire la domanda al ministro Alfano, rafforzata dalle gravissime affermazioni rilasciate sul caso Bentivoglio. E' così che lo Stato difende e tutela chi ha il coraggio di denunciare il pizzo? Così lo Stato combatte la mafia? La domanda s'impone alla luce della dichiarazione con la quale Alfano ha reso pubbliche notizie che dovrebbero essere segrete e restare tali nel rapporto con i testimoni di giustizia, mettendo in discussione la loro efficacia, la loro credibilità e la loro incolumità personale e famigliare". È quanto dichiara il capogruppo di Fratelli d'Italia-Alleanza nazionale Fabio Rampelli.
"Se Bentivoglio non è stato riconosciuto dalla legge 45/2001 dei testimoni di giustizia non è mica colpa della vittima in questione che ha subito 7 attentati. In corso ci sono indagini per tentato omicidio, indagini peraltro che non sono contro ignoti. Bentivoglio che ha subito diverse intimidazioni ed è stata riconosciuta parte offesa in diversi processi, ha denunciato mafiosi, falsi testimoni e presunta collusione fra chiesa mafia e politica. Dal ministro dell'Interno – ha aggiunto- ci saremmo aspettati più cautela e riservatezza, qualche cenno autocritico soprattutto rivolto alle imperfezioni contenute nella legge e alla necessità di rendere più efficaci e tempestivi gli interventi in favore di chi tra Stato e mafia, con coraggio, ha scelto lo Stato, mettendo a repentaglio anche la sua vita. Questo era il senso del question time – ha concluso Rampelli - presentato ieri al governo: poteva essere un assist, Alfano lo ha trasformato in una trappola".

Questo, invece, quanto afferma Tiberio Bentivoglio: "Ho appreso dalla stampa dell'interrogazione parlamentare presentata sulle mie vicende all'attenzione del signor Ministro dell'Interno da parte dell'On. Fabio Rampelli, che ringrazio per la sensibilità dimostrata. In merito alla risposta fornita dall'On. Alfano mi preme specificare che, finché sarà possibile, sceglierò di non essere quello che la burocrazia ministeriale definisce "testimone di giustizia". Per quel che so, oggi, essere sottoposti al "programma speciale di protezione", e quindi potersi tecnicamente dire "testimoni di giustizia", non è una scelta né un traguardo. Significa, nella stragrande maggioranza dei casi, essere costretti ad allontanarsi dall'oggi al domani con tutta la propria famiglia in una località segreta, dover cambiare identità e abbassare, forse per sempre, le saracinesche della propria azienda. Significa, soprattutto, distaccarsi, spesso definitivamente, da tutti gli affetti e dalla propria città. Ho vissuto e vivo sulla mia pelle, come chi è sottoposto al "programma speciale di protezione", la scelta di denunciare, di mettermi a servizio dello Stato e degli inquirenti e di dover entrare in un'aula di tribunale facendo nomi e cognomi di chi cerca di incrociare il tuo sguardo dalle gabbie. A tutt'oggi non ho avuto la sfortuna di dover entrare in questo regime di protezione e, pur sotto scorta e tra mille difficoltà, ringrazio Dio di avere ancora la possibilità di portare avanti le mie denunce rimanendo in Calabria, continuando a tenere in vita la mia azienda e, dove possibile, convincendo altri a denunciare. Ho appreso anche che il signor Ministro ha ritenuto di dover comunicare in diretta televisiva a tutta Italia, mafiosi compresi, l'importo corrisposto, fino ad oggi, in applicazione della legge n. 44/99, al sottoscritto e a mia moglie per l'attività di impresa. Avrei preferito che, allo stesso modo, il signor Ministro avesse comunicato all'opinione pubblica anche l'importo del danno complessivo, superiore ai due milioni di euro, causato dalla criminalità alla mia azienda e alla mia famiglia, il calo di fatturato e clientela che la mia attività ha subito a seguito dell'assedio della 'ndrangheta e gli anni di ritardo con cui quelle somme ci sono state, nel tempo e dopo mille accertamenti, corrisposte. Avrei ancora gradito che il signor Ministro specificasse che quelle somme, come la legge impone attraverso il deposito in Prefettura delle relative fatture quietanzate, sono state utilizzate esclusivamente per il ripristino, e purtroppo solo di una parte, della merce distrutta da due dei sette attentati subiti. Solo comunicando almeno questi ulteriori dati, il Ministro dell'Interno avrebbe potuto dire di aver fornito al Parlamento un quadro chiaro e completo della mia storia, capace di trasmettere, almeno in piccola parte, le sofferenze e ansie che io e la mia famiglia continuiamo a provare per aver scelto di stare ogni giorno dalla parte giusta".