Reggio, raggiri alle famiglie Fallara e Fortugno: tre anni e quattro mesi al poliziotto Franco

reggiocalabria cedirViste le accuse contestate al momento dell'arresto, nel novembre 2011, è una sentenza piuttosto mite quella che arriva al termine del giudizio abbreviato per il poliziotto Antonino Franco accusato di raggiri ai parenti delle persone coinvolte, a vario titolo, nei casi Fallara, Fortugno e Congiusta. Insieme alla moglie, Rosa Bruzzese, e a un complice, Angelo Belgio (che hanno scelto di essere giudicati separatamente con il rito ordinario).

Franco è stato condannato a tre anni e quattro mesi dal Gup Massimo Minniti, a fronte di una richiesta di cinque anni di reclusione avanzata dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Secondo l'accusa, il poliziotto, in servizio presso la Questura di Reggio Calabria, avrebbe messo in piedi, sfruttando anche la propria posizione e le proprie conoscenze, un'organizzazione finalizzata alla truffa, utilizzando notizie false per prospettare problemi, o possibili vie d'uscita da essi, a persone implicate in alcune delle vicende giudiziarie più "calde" degli ultimi anni.

Franco, però, difeso dall'avvocato Andrea Alvaro, ottiene l'assoluzione per i casi riguardanti Partinico, ma, soprattutto, Mario Congiusta, padre di Gianluca, il giovane assassinato a Siderno il 24 maggio del 2005, che sarebbe stato contattato dal gruppo, con una lettera anonima che parlava di fantomatico materiale probatorio che avrebbe dimostrato la colpevolezza di Salerno, scagionando, di fatto, il boss Tommaso Costa, ritenuto responsabile del delitto del giovane

L'avvocato Alvaro, inoltre, è riuscito a riqualificare da tentata estorsione a tentata truffa i due casi, Fallara e Fortugno. A Paolo Fallara, fratello di Orsola Fallara, la dirigente del Settore Finanze del Comune di Reggio Calabria, deceduta per ingestione di acido muriatico dopo essere stata coinvolta in uno scandalo riguardante presunte autoliquidazioni di denaro effettuate durante il proprio mandato, i tre avrebbero spedito più lettere anonime in cui veniva paventata l'imminente emissione di un provvedimento cautelare nei confronti della donna, con tanto di firma (falsa, ovviamente) di un magistrato. Una circostanza del tutto infondata che, però, nell'ottica dei tre indagati, avrebbe potuto gettare nel panico la famiglia, inducendo al pagamento di 30mila euro. Paolo Fallara, però, non acconsentì alla richiesta, denunciando le lettere ai Carabinieri, che, immediatamente, si misero sulle tracce degli artefici. E così, i militari dell'Arma riuscirono a pizzicare Franco, vice sovrintendente della Polizia presso il Nucleo Operativo di Prevenzione, e il complice, Belgio, sul luogo designato per il pagamento di una prima tangente di 13mila euro. Un sistema, dunque, che, nell'ipotesi accusatoria, avrebbe avuto il poliziotto Franco come capo e promotore del sodalizio e in Belgio un valido aiutante, pronto a fornire il necessario supporto logistico e informativo per i tentativi di truffa. Prezioso anche il contributo di Rosa Bruzzese, moglie del poliziotto: la donna, infatti impiegata presso il negozio di telefonia "Top Line Service", di proprietà del cognato di Paolo Fallara, avrebbe attivato diverse sim card intestate a soggetti diversi dai reali utilizzatori.

Anche la famiglia di Alessandro e Giuseppe Marcianò, coinvolti nell'omicidio del vicepresidente del Consiglio Regionale, Franco Fortugno, assassinato a Locri il 16 ottobre del 2005, finirono nella rete di Franco e dei suoi complici: Francesca Bruzzaniti, moglie di Alessandro Marcianò e madre di Giuseppe, ricevette, infatti, due lettere anonime, in cui erano indicate le istruzioni da seguire per ottenere, in cambio di 10mila euro, dei documenti che avrebbero potuto scagionare i due parenti, condannati in primo e in secondo grado all'ergastolo e in attesa della sentenza definitiva della Cassazione.

Arriva dunque alla sentenza di primo grado il caso del poliziotto Franco. Con una sentenza mite, anche grazie all'azione difensiva dell'avvocato Alvaro: allo stesso legale toccherà ora tentare di smontare, in appello, l'accusa di associazione per delinquere, che ha retto al vaglio del Gup Minniti.