Reggio, far west nel rione Modena, ma nessuno vede o sente nulla: le ultime ore di Franco Fabio Quirino

quirinofrancofabiodi Claudio Cordova - Oltre alle dinamiche con cui le famiglie mafiose di San Giorgio Extra, Modena e Ciccarello, sarebbero riuscite a sostenere i propri affiliati detenuti in carcere, tra gli atti raccolti dal pubblico ministero Stefano Musolino, con la collaborazione dei Carabinieri, è possibile avere una ricostruzione delle ultime ore in vita di Franco Fabio Quirino, uomo ritenuto vicino al clan Zindato di Reggio Calabria, ucciso la sera del 4 marzo 2014. Tra le persone arrestate nell'ambito dell'indagine "Crypto", infatti, vi è anche Natale Crisalli, ritenuto responsabile del tentato omicidio dello stesso Quirino.

Gli inquirenti non sono al momento riusciti ad acquisire il dato certo per sostenere una eventuale responsabilità di Crisalli nell'uccisione di Quirino. Ma ciò che è certo, è che le due figure si incrociano diverse volte nelle ore antecedenti al momento in cui Quirino verrà attinto mortalmente da colpi d'arma da fuoco.

Nell'immediatezza dell'accaduto, infatti, scatteranno a ritmo serrato le indagini della Procura e dei Carabinieri. La prima a essere sentita sarà la moglie di Quirino, Rosaria Nicolò, che racconterà come intorno alle 20 avesse visto il marito (con cui ormai era ai ferri corti) all'interno del proprio bar: questi, a suo dire "un po' brillo", le avrebbe mostrato alcune ferite causate da alcuni colpi di arma da fuoco che, sempre a detta di Quirino, sarebbero stati esplosi nel pomeriggio da Natale Crisalli, con cui aveva avuto una lite.

In serata la brutta notizia per la famiglia e la corsa in ospedale.

Sarà lo stesso Crisalli, interrogato dagli inquirenti a confermare l'alterco avvenuto il giorno prima con Quirino che lo avrebbe aggredito verbalmente accusandomi di essere un infame, carabiniere e sbirro e minacciandomi di morte". Nel pomeriggio un nuovo incontro tra i due, in cui Quirino, accompagnato da un altro uomo, Rocchi Richichi (anch'egli indagato) avrebbe continuato l'aggressione verbale contro Crisalli, incitando Richichi (che guidava l'auto) a investirlo. Da qui, dunque, secondo il racconto di Crisalli, l'esplosione da parte sua di alcuni colpi d'arma da fuoco: "Escludo decisamente di aver mirato a Quirino e quindi di averlo colpito" dirà però Crisalli. Un altro uomo, Demetrio Missineo, racconterà invece di aver appreso da Richichi che Crisalli avrebbe sparato per colpire Quirino e l'autovettura su cui viaggiavano: "Quirino cercava un pretesto per litigare con Crisalli. Beveva, questo è il motivo. Io pensavo che prima o poi l'avrebbero ucciso, ma non in questo modo" dice ancora Missineo agli inquirenti.

Scene da far west che non sarebbero finite qui.

Verranno allora avvertiti altri soggetti, Alfredo Giustra, cognato di Crisalli, e il fratello dello stesso Crisalli, Salvatore detto Peppe. Proprio in questo frangente arriverà Quirino anche questa volta a bordo della propria autovettura Smart, sempre condotta da Richichi In quella circostanza Quirino avrebbe minacciato di morte Giustra con una pistola e solo l'intervento di Salvatore Crisalli avrebbe evitato che si giungesse ad ulteriori conseguenze.

Gli inquirenti sono convinti che vi siano gravi indizi di colpevolezza per Natale Crisalli in ordine ai reati di tentato omicidio nei confronti di Quirino di porto e detenzione d'arma da fuoco, nonché di minaccia aggravata nei confronti di Quirino che di Richichi. E questo lo dicono per le dichiarazioni confessorie rese dal Crisalli sia in ordine al porto ed alla  detenzione sia in ordine alle minacce, benché egli abbia cercato di attenuare la propria responsabilità, "non solo omettendo di consegnare l'arma utilizzata, che avrebbe consentito l'esecuzione di importanti riscontri balistici, ma anche fornendo una improbabile ricostruzione del ritrovamento dell'arma stessa (addirittura già carica in una zona poco distante dalla sua abitazione).

Inoltre, nel suo narrato Crisalli ha riferito di avere sparato in aria, al solo scopo di intimorire e non per offendere la persona del Quirino Tale ricostruzione dei fatti non può essere ritenuta credibile sulla base del fatto che Crisalli ben sapeva che il Quirino era anch'egli armato di arma da fuoco e che pertanto, sparando in aria anziché al corpo del suo avversario, si sarebbe esposto ad una possibile ritorsione da parte di questo, che avrebbe potuto rispondere al fuoco".

Grazie alle dichiarazioni, molte parziali, altre, come quella di Richichi, false, gli inquirenti sarebbero dunque riusciti a ricostruire i caldi pomeriggi del rione Modena.

Il dramma, però, sarebbe avvenuto nella tarda serata.

Dopo alcune ore, infatti, Quirino, ancora una volta armato, avrebbe esploso diversi colpi d'arma da fuoco contro l'abitazione di Crisalli: almeno nove i colpi rinvenuti. Sono le 21.40. Intorno alle 22 Quirino verrà ritrovato agonizzante sull'asfalto, morendo dopo il trasporto presso gli Ospedali Riuniti.

I Carabinieri non sono riusciti, al momento, a raccogliere sufficienti elementi per contestate a Crisalli l'accusa di omicidio, ma nell'ordinanza del Gip è scritto come l'omicidio di Quirino si inserisca "in un clima di accesa conflittualità caratterizzata da minacce ed ingiurie reciproche tra questi ed il Crisali che durava sin dal giorno precedente.

La ragione apparente di tale ostilità sarebbe originata da un'aperta accusa mossa dal Quirino al

Crisalli di essere un infame, sbirro, carabiniere".

Questo il commento amaro del Gip, che fotografa in maniera plastica i comportamenti del quartiere, secondo i più classici cliche mafiosi, in cui nessuno vede, nessuno sente, ma, anzi, si chiudono le tapparelle per evitare qualsiasi contatto con l'esterno: "La vicenda è drammaticamente segnata dalla volontà di affermare la propria prevalenza criminale ed il predominio del territorio, attraverso la consumazione di fatti gravissimi, realizzati, reiteratamente ed in uno strettissimo lasso di tempo lungo le pubbliche vie del quartiere di Modena - Case Basse, ridotto per alcune ore in una terra di nessuno dove le regole dello Stato di diritto e la pubblica sicurezza sono state costantemente vilipese ed anzi sfidate dalla protervia dei contendenti che hanno, deliberatamente ed ostentamente, cercato l'eclatanza del gesto e delle condotte, giacchè non era loro solo necessario annichilire l'avversario, ma soprattutto affermare pubblicamente il proprio predominio criminale. E quanto questo atteggiamento abbia·· non solo nelle intenzioni degli autori, ma anche nella concretezza storica - intimidito, assoggettato ed indotto all'omertà la collettività, lo si deduce dalla circostanza che non vi è stata nessuna segnalazione di quanto andava accadendo alle forze di PG. In sostanza, un quartiere abitato da un migliaio di persone, è rimasto inerte e sparuto (probabilmente intimidito sino a rinchiudersi nelle abitazioni), a fronte delle condotte aggressive e violente che si consumavano sulle pubbliche vie da soggetti armati che si fronteggiavano, si minacciavano, portavano e facevano uso di armi da sparo [... ] Il tema dominante delle aggressioni monitorate, infatti, risiedeva nella volontà di affermarsi ed essere riconosciuti come i principali referenti criminali del territorio, sfidando cosi tutte le regole di prudenza anche nella consumazione dei delitti perché proprio l'efferatezza della condotta è in grado di meglio esprimere la capacità di controllo del territorio e di assoggettamento degli. Ed in una terra e per una collettività gravemente prostrata da anni di efferati delitti e proterve prove di forza della ndrangheta, le condotte descritte assumono una rilevanza ed una eclatanza sociale che esprime e descrive a tutto tondo i caratteri tipici delle modalità mafiose".