Multiservizi, la lettera di un ex dipendente: "Non era tutto oro quello che luccicava"

lettera"Per le nostre famiglie pronti a tutto ". Campeggia sul campanile di Palazzo San Giorgio in queste ore di verità lo striscione della disperazione. Lo striscione appeso dai colleghi coraggiosi che da ieri si sono barricati per levare in alto la protesta contro la più attuale delle ingiustizie: la perdita del posto di lavoro. Si, di quel posto di lavoro tanto agognato. Di quel posto di lavoro che aveva dato loro la sicurezza e la tranquillità di poter far fronte alle necessità della vita, alla cura della propria famiglia. Ma anche quel posto di lavoro che inorgogliva tutti e che tutti occupavano svolgendo i servizi con passione e dedizione.

Forse non tutti sanno, ma molti di noi vengono da lontano. Vengono dagli anni assurdi del precariato dei lavori socialmente utili e di pubblica utilità. Anni in cui la regola era vivere alla giornata. Lavorare, perché di lavoro vero e proprio si trattava e paradossalmente lavorare senza alcuna copertura contributiva e previdenziale, per uno Stato che ci ha sfruttati ed ha approfittato delle competenze messe a disposizione facendoci patire ogni anno l'incertezza del futuro e delle varie proroghe che si sono di volta in volta succedute.

Noi lavoravamo negli organici del Comune di Reggio Calabria. "Fortunati". Un ente abbastanza grande per competenza territoriale e di servizi. Un ente che in quegli anni ha inteso dare risposta al problema della nostra stabilizzazione deliberando la costituzione di società a capitale partecipato al 51% ed imponendo alle stesse l'assunzione a tempo pieno ed indeterminato di quei precari già impegnati nei servizi appaltati. Un percorso lungo quello della esternalizzazione dei servizi e non scevro da coni d'ombra e lati oscuri che, successivamente, saranno oggetto e materia di indagine da parte della magistratura inquirente. Dalla delibera del 2001 all'entrata in funzione della Multiservizi arriviamo al Marzo 2007. Tutti noi veniamo convocati per la firma del contratto, tra lo scetticismo per la poca chiarezza nell'inquadramento e nelle mansioni a ciascuno attribuite e l'ottimismo per la fine di un periodo apparentemente senza prospettive e stanchi di occupare un posto di lavoro "non lavoro". Ricordo ancora l'entusiasmo e l'enfasi che si cercava di trasmettere svolgendo per tutto il territorio comunale quei servizi tanto necessari ed importanti per il benessere di una città in un periodo che appariva rigoglioso e fiorente, ma che la storia ribattezzerà effimero e catastrofico. Noi tutti ignari, come la maggior parte della cittadinanza abbiamo prestato la nostra opera in piena buona fede e certi di rendere con dignità ed onestà servizio alla comunità reggina.

Nuovi mezzi, nuove divise, una organizzazione che si voleva dipingere come innovativa, al passo coi tempi. Non era tutto oro quello che luccicava. La storia degli ultimi anni ha sfatato il mito. E intanto, come le indagini della Procura appureranno, il cancro invadeva e intaccava questa apparentemente ottima esperienza di buona amministrazione. Il cancro della criminalità organizzata, della 'ndrangheta che subdolamente dominava e controllava. Un cancro le cui metastasi hanno presto invaso irrimediabilmente anche l'ente "controllore", il Comune che nonostante ogni tentativo di negare l'evidenza delle relazioni di due commissioni di accesso viene anch'esso sciolto per contiguità mafiosa. Il contratto di servizio parla chiaro: in caso di anche solo tentativo di infiltrazione mafiosa esso va rescisso. Paradossale vero? Le imprese dei mafiosi vengono giustamente commissariate giudizialmente per tutelarne la produttività e di conseguenza i livelli occupazionali. La fulgida mente di chi ha steso il contratto delle partecipate, in una realtà come la nostra in cui la possibilità di inquinamento ndranghetistico non era certo poi così remota, ha pensato di usare la legge del taglione. In barba a quei lavoratori che impotenti e loro malgrado erano stati obbligati a seguire questo percorso lavorativo. Scioglimento e liquidazione... e licenziamento collettivo. Inizia un braccio di ferro tra l'ente ed i lavoratori. Noi provenienti dai lavori di pubblica utilità e socialmente utili ci costituiamo in un comitato per rivendicare la nostra provenienza e i nostri diritti. Ma le promesse di continuità lavorativa e la prospettiva di nuovi assetti societari a totale capitale pubblico (Società in house) per la gestione dei servizi fanno a pugni con la normativa vigente in tema di pubblico impiego. Assurdo. Un giorno sei li che svolgi il tuo lavoro legittimamente conquistato. Il giorno dopo ti dicono che sei licenziato e che i servizi che sin li hai svolto saranno affidati alla nuova società in house, 100% pubblica, la quale però non può direttamente assumerti se non attraverso una prova concorsuale. Ma possibile che si sia così miopi nella gestione di una vertenza lavorativa così importante? Qui non si discute certo delle leggi in vigore in questo stato (anche se appare legittima ogni perplessità). Ma l'obiettivo della tutela dei posti di lavoro non andava perseguito con una certa competenza e determinazione analizzando approfonditamente tutti i lati della questione? Che senso ha decidere un percorso e accorgersi successivamente di aver imboccato un vicolo cieco? Tavoli tecnici su tavoli tecnici. Rinvii su rinvii. Assoluta mancanza di determinazione. Si è stretti irrimediabilmente nella morsa dei cavilli legislativi. La parola d'ordine era legge di stabilità. Solo una norma ad hoc poteva risolvere l'intricata questione. Forse qualcuno sperava che ciò non accadesse, che questa norma non venisse promulgata. E invece, il 27 dicembre 2013, il Parlamento licenzia la finanziaria 2014 e al suo interno l'articolo di legge che consentirebbe di salvare i posti di lavoro. Adesso è possibile attuare la mobilità orizzontale del personale impiegato nelle società partecipate da un ente pubblico. Tutti entusiasti. Era ciò che si attendeva. Speranzosi cominciamo a pressare gli organi istituzionali affinché non si perda neppure un attimo. Costituzione delle nuove società e passaggio del personale. Il ragionamento sembra non fare una piega. Siamo a metà febbraio oggi, siamo per le strade, sui tetti a protestare. Evidentemente qualcosa mancava, mancava l'ingrediente fondamentale. Mancava la volontà. Ad oggi purtroppo possiamo affermare che tempo se ne è perso e intanto la gestione dissennata degli anni passati, il buco di bilancio comunale e l'inadeguatezza certificata da ultimo dalla Corte dei Conti circa il piano di rientro prodotto dalla Terna Commissariale hanno portato di fatto al tanto temuto dissesto. Non c'è più spazio neanche per le promesse da marinaio. Il malato è andato... l'abbiamo perso.

Cari amici, colleghi. Mi trovo lontano adesso, ma vi sono vicino col cuore e col pensiero. Sacrosanto il nostro diritto di manifestare, di protestare contro l'ingiustizia compiutasi nei nostri confronti e contro il saccheggio perpetrato nei confronti della collettività. Dicevo mi trovo lontano a causa di problemi di salute di mia moglie che tra l'altro è una LPU ancora oggi senza copertura previdenziale. Questo perché tutti sappiano che la ricaduta sociale di queste vicende è enorme. Molti di noi combattono la battaglia della vita senza quegli strumenti che la Costituzione dovrebbe riconoscere ai cittadini. Alcuni di noi sono morti, consci di lasciare le proprie famiglie sul lastrico senza vedersi riconosciuti quei sostentamenti che altri invece hanno dopo anni di onorato servizio. Intervenga lo Stato con forza se c'è ancora uno Stato. Sia solidale tutta la cittadinanza. E noi tutti facciamo la nostra parte. Usiamo bene gli strumenti democratici quando ci vengono proposti, perché ne va del futuro, nostro e delle generazioni a venire.

Maurizio Mallamaci

Ex LPU del Comune di Reggio Calabria

Ex lavoratore Multiservizi