"È di appena qualche mese fa la notizia che in Sudan, Paese africano dove quasi nove donne su dieci sono state sottoposte alla forma più invasiva delle mutilazioni genitali femminili, l'infibulazione, le MGF sono diventate reato.
Dopo anni di battaglie, pressioni e campagne di informazione da parte di Ong e associazioni umanitarie, il governo sudanese, ha approvato il 22 aprile scorso, un emendamento alla sua legislazione penale, affermando che chiunque compia una MGF all'interno di una struttura medica o altrove rischia tre anni di reclusione e una multa.
Va premesso che con l'espressione "mutilazioni genitali femminili" (MGF), definizione che si è affermata attorno agli anni 'settanta, si intende ogni cruento atto manipolativo degli organi genitali delle donne, "giustificato" da ragioni socio-culturali.
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Non a caso in Africa, Paese dove al pari dell'Asia, le MGF sono particolarmente diffuse, tali pratiche dalle antichissime origini, prendono una varietà di nomi, i cui significati letterali sono strettamente connessi al rispetto delle regole, alla purezza, alla "pulizia morale".
In altri termini, al fine di preservarne la "purezza", e quindi per ragioni non terapeutiche, alle bambine, di età che varia da pochi anni sino ai quindici, a seconda della tradizione della propria comunità o cultura, vengono rimossi totalmente o parzialmente i genitali esterni, con conseguenze devastanti sia sotto il profilo fisico (atteso che nella maggioranza dei casi, le MGF vengono effettuati senza anestesia da praticanti tradizionali, in condizioni igieniche precarie) che psichico.
Sebbene, come detto, siano diffuse soprattutto in molte zone dell'Africa e dell'Asia, l'Occidente tuttavia non è estraneo a tale fenomeno.
In conseguenza dei flussi migratori, infatti, le MGF vengono praticate anche in alcune comunità di immigrati in Australia, Canada, Nuova Zelanda, Stati Uniti e soprattutto Europa.
Ciò ha indotto l'Unione Europea ad affrontare il problema dapprima nel 2006, all'interno di una risoluzione del Parlamento Europeo sulla lotta alla violenza sulle donne cui è seguita, nel 2009, una risoluzione espressamente dedicata alla lotta alle MGF.
Ma è soltanto nel 2012 che il Parlamento Europeo ha approvato una Risoluzione congiunta con cui ha chiesto agli Stati membri di rispettare gli obblighi internazionali per porre fine alle MGF attraverso misure di prevenzione, di protezione e di natura legislativa.
Anche l'Italia, sebbene in accordo con le linee guida concordate in seno all'Unione Europea, al fine di prevenire, contrastare e reprimere le mutilazioni, abbia emanato nel 2006 la norma n. 7, avente ad oggetto "Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazioni genitali femminile", non è immune dal fenomeno.
In Italia così come in altri Paesi europei, le MGF vengono praticate in clandestinità ad opera delle "mammmane" (levatrici tradizionali che di solito non hanno conoscenze chirurgiche ma utilizzano tecniche tramandate di generazione in generazione in ambito familiare) o da medici cui tali pratiche "appartengono" per nazionalità e/o identità culturale.
D'altronde, nonostante i divieti introdotti in moltissimi Paesi e nonostante le statistiche dimostrino che, rispetto a 30 anni fa, in molte comunità il sostegno alla pratica è in declino, sono ancora troppe le comunità ove la consuetudine (che è parte della tradizione) fa si che le MGF continuino ad essere un fatto obbligato, tant'è che la mancata attuazione si traduce in un disonore per l'intera famiglia, con la conseguenziale esclusione dalla comunità.
Tali pratiche, infatti, anche nei Paesi dove sono state abolite, spesso vengono tollerate in quanto rito di passaggio obbligato verso l'essere donna, pilastro fondante del matrimonio.
Certamente, l'emendamento approvato in Sudan, dove il rispetto della tradizione è elemento fondante incontestabile, fa ben sperare poichè inaugura una nuova era per i diritti delle donne, ma se l'obiettivo della politica è (come deve essere) quello di garantire che tali atrocità siano eliminate, c' è ancora molto da lavorare.
Sono moltissime le giovani donne che, a causa delle pressioni familiari e dell'intera comunità a cui la famiglia appartiene, continuano ad essere sottoposte a tali violenze; sono ancora troppe le vittime di condizionamenti che implicano una coercizione emotiva e sociale che le fa vivere con un costante senso di colpa. È su di loro che poggia interamente "l'onore" della famiglia e a volte quello dell'intera comunità.
Ad oggi, infatti, nonostante i progressi, è evidente la necessità di implementare sia azioni di assistenza che di prevenzione.
Gli emendamenti e/o gli interventi legislativi sono deterrenti ma non sono, ne possono essere, sufficienti ad eliminare il fenomeno.
Servono certamente ad arginarlo, ma non ad eliminarlo.
Se è vero, come è vero, che il fenomeno delle MGF rinviene il suo fondamento nella cultura, specchio del costume e della morale, affinchè lo si sradichi è necessaria una rivoluzione culturale.
Una rivoluzione culturale che apra la strada ad un ripensamento dei valori, che non solo comporti la presa di coscienza dell'inutilità e dei danni di tali pratiche, ma che, soprattutto, si fondi sul concetto di "parità", inteso come rispetto della donna come persona, della sua dignità, del diritto all'integrità del suo corpo, alla salute, all'esercizio delle libertà fondamentali.
Una rivoluzione culturale che infonda alle nuove generazioni, la consapevolezza che le mutilazioni non sono altro che una gravissima forma di discriminazione, legata ad una cultura sessista che svilisce la donna, ne oggettivizza il corpo e ne limita l'individualità.
Una rivoluzione culturale che consenta di comprendere che le MGF violano diritti umani fondamentali.
In altre parole, affinchè si possa estirpare la cultura che consente, nonostante i divieti, di tollerare le cruente MGF, è indispensabile che il fenomeno venga percepito per quello che realmente è, cioè una forma di barbarie contro le donne basata sul genere, una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che ha portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione.
Soltanto la reale percezione del fenomeno, da interpretare come uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini, consentirà un reale cambiamento sociale da realizzarsi attraverso campagne di informazione e di divulgazione della cultura dei diritti umani, del diritto alla salute, del diritto all'integrità della persona e delle libertà". Lo afferma in una nota Avv. Saveria Cusumano, collaboratrice del Movimento "Contaminiamo i Saperi".