'Ndrangheta stragista: chiesto l'ergastolo per i boss Graviano e Filippone

favagarofaloAl termine di numerose udienze impegnate per la lunga requisitoria del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, è stato il procuratore capo, Giovanni Bombardieri, a formulare le richieste di condanna all'ergastolo per il boss di Cosa Nostra, Giuseppe Graviano e per quello della 'ndrangheta, Rocco Santo Filippone, nell'ambito del processo "Ndrangheta stragista". Graviano e Filippone sono accusati degli attentati ai carabinieri (tra cui, quelli fatali, ai militari Fava e Garofalo), che si sarebbero inquadrati nella strategia della tensione messa in atto da Cosa Nostra all'inizio degli anni '90 e in cui la criminalità organizzata calabrese avrebbe evidentemente avuto un ruolo chiave.

Nel corso della lunga requisitoria davanti alla Corte d'Assise di Reggio Calabria, presieduta da Ornella Pastore, Lombardo ha parlato di "prove sovrabbondanti". Un concetto ribadito, nel corso del suo intervento, dal procuratore Bombardieri, che si è soffermato sui rapporti tra le due mafie. La fase finale della requisitoria è stata seguita anche dal procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho. Bombardieri ha invitato la Corte d'Assise a "dare giustizia al popolo italiano" per il disegno stragista messo in atto dalle mafie.

"La nostra ricostruzione andrà oltre le verità sottobanco, il compromesso, le scorciatoie, il silenzio e la paura. Questo siamo chiamati a fare oggi, perché noi abbiamo il dovere della verità, abbiamo il dovere di chiederla come cittadini, abbiamo il dovere di cercarla come magistrati del pubblico ministero, avete il compito di affermarla voi giudici. Costi quel che costi, perché noi viviamo un eterno presente da cui dipende il nostro domani - dice il magistrato - Perché per noi il tempo si è fermato in questo eterno presente e diventerà altro solo quando tutto quello che va ricostruito sarà ricostruito fino in fondo". "Le stragi di mafia non saranno mai "passato" in questa nazione" ha affermato il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria.

--banner--

Imputati sono il boss palermitano Giuseppe Graviano, insieme a Rocco Filippone di Melicucco, quale mandante dei tre attentati avvenuti nel 93 e nel 94 in provincia di Reggio Calabria contro i Carabinieri, in cui morirono i brigadieri Fava e Garofalo e rimasero feriti altri 4 militari. Secondo l'ipotesi accusatoria quei tre attentati rappresentano la partecipazione della 'Ndrangheta alla stagione degli attentati continentali contro lo Stato.

"Il collaboratore Gaspare Spatuzza non mente su nulla. Ha spazzato via falsita'. Il percorso di ricostruzione di quella stagione e' stato minato da una serie di devianze che lo hanno trasformato in un cammino estremamente accidentato e difficile" ha detto ancora il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo Ricostruendo la strategia stragista che Cosa nostra ha attuato nei primi anni novanta, Lombardo ha ribadito che "il ruolo della 'ndrangheta non è stato secondario ma è servito a far capire che Cosa nostra non era sola".

Il pm ha analizzato la frase ("Abbiamo il Paese nelle mani. Bisogna dare il colpo di grazia") che Graviano ha riferito al pentito Spatuzza. Una frase pronunciata a Roma dal boss di Brancaccio mentre quest'ultimo si trovava al bar Doney con il futuro collaboratore di giustizia. "Che senso ha il colpo di grazia se hai gia' il Paese nelle mani? - si e' chiesto il pm durante la requisitoria -. E' il contributo dichiarativo che Graviano ha voluto dare in questo processo. C'e' un passaggio che noi, da italiani, non possiamo far finta di non aver sentito: 'Mi chiesero di non fare cessare le stragi'. Ecco qual e' la spiegazione. Ecco che cosa Graviano ci e' venuto a raccontare rispondendo a determinate domande quando poteva non farlo. Ecco come si collega il 'colpo di grazia'". Il gesto eclatante doveva essere il fallito attentato ai carabinieri allo stadio Olimpico di Roma. La scelta di organizzarlo da parte di Graviano potrebbe essere collegata ad altri ambienti: "Verosimilmente - ha detto Lombardo - tra il 23 ed il 30 gennaio 1994 in Italia doveva succedere qualcosa. Trovate voi cosa. Rimaniamo tutti in prudente attesa che anche su questo fronte si possano dare risposte. Se tra il 23 e il 30 gennaio doveva succedere qualcosa, Graviano lo sapeva e per questo aveva fretta. La distanza tra il bar Doney e l'hotel Majestic e' di 120 metri. Come direbbe Lucarelli: questa è un'altra storia. Ma non è un'altra storia". Il riferimento, anche se non è stato esplicito, è alla nascita di Forza Italia.

"C'è stata una piena coerenza fra strategia stragista e strategia politica di Forza Italia" ha detto ancora il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo proseguendo la requisitoria del processo. Nel corso del suo intervento, dipanatosi in numerose udienze, il pm ha analizzato il panorama politico tra l'autunno del 1993, quando il Pds di Achille Occhetto stranvinse le elezioni amministrative, e i primi mesi del 1994: "C'era il rischio comunista e quando il sistema, di cui ci stiamo occupando in questo processo - ha aggiunto il Pm - l'ha capito, la storia politica si è incrociata con le esigenze dell'altra mafia". Fino ad allora si credeva che i movimenti separatisti potessero avere senso, ma bisognava trovare delle alternative molto più solide e si virò, come ci ha raccontato Giuseppe Graviano non solo nelle intercettazioni ma anche deponendo in questo processo, su Forza Italia e quindi sulla figura di Silvio Berlusconi". In sostanza, prima le mafie puntarono su posizioni separatiste e poi su Forza Italia e questo, secondo la Dda, è direttamente collegato con le stragi continentali di Cosa Nostra. "La strategia stragista - ha sostenuto Lombardo - doveva mettere la vecchia classe politica con le spalle al muro per aprire varchi alla nuova classe politica. Questo ce lo conferma Graviano. Cosa nostra e 'ndrangheta in quel momento storico, contemporaneamente e all'unisono, non solo abbandonano i vecchi referenti politici ma decidono di dare sostegno a questi nuovi soggetti".

"Cosa nostra, 'ndrangheta e altre componenti mafiose nazionali non sono mai state organizzazioni solo di tipo mafioso disgiunte da contesti massonici di alto livello". Nel suo intervento, il pm si e' soffermato piu' volte sulla figura di Licio Gelli, a capo della Loggia Propaganda 2. "Abbiamo la certezza - ha detto Lombardo - che le componenti mafiose hanno aderito al progetto di Gelli". A proposito della soppressione della P2 ed alla luce delle risultanze investive, il Procuratore aggiunto si e' chiesto se "e' degno di un paese civile raccontare che noi la P2 l'abbiamo sconfitta?". "Allargare il tema di prova al contesto storico politico in cui il fatto reato si inserisce ritengo sia indispensabile. - aggiunge il pm - Solo facendo quest'operazione e' possibile capire quando nascono i rapporti di Cosa nostra e 'ndrangheta con determinati ambiti politici bene individuati". Per dimostrare la decisione di 'ndrangheta e Cosa nostra di abbandonare i movimenti separatisti, dei primi anni novanta, e puntare su Forza Italia, il procuratore Lombardo ha ricordato quando il 24 febbraio 1994 durante un processo celebrato a Palmi il boss Pino Piromalli ha chiesto di fare dichiarazioni spontanee e ha detto testualmente: "Voteremo Berlusconi, voteremo Berlusconi". Un episodio che 24 anni dopo si incrocia con un'intercettazione registrata nell'ambito dell'inchiesta "Rinascita-Scott" della Dda di Catanzaro. Il riferimento e' alla frase registrata dai carabinieri e pronunciata dall'ex senatore Giancarlo Pittelli il 20 luglio 2018, arrestato nell'ambito dell'inchiesta Rinascita-Scott", dopo aver letto un articolo su "Il Fatto Quotidiano" sulla trattativa Stato-mafia: "Berlusconi e' fottuto, Berlusconi e' fottuto", erano state le parole di Pittelli che, al suo interlocutore, spiego' che "la prima persona che Dell'Utri contatto' per la formazione di Forza Italia fu Piromalli a Gioia Tauro". E' una "chiave di lettura - ha affermato il procuratore Lombardo - che ci fornisce un ex parlamentare di Forza Italia, non un passante".

Da questo, inquietante, contesto, non potevano che scaturire le richieste dell'accusa, per riscrivere un pezzo di storia d'Italia.