Smart working, Fondazione Studi Consulenti del Lavoro: “Occorre sforzo organizzativo rilevante in termini di investimento tecnologico”

I lavoratori dipendenti italiani potenzialmente occupabili in smart working (manager e quadri, professionisti, tecnici e impiegati d'ufficio) sono 8 milioni 359 mila. Se ad un terzo di questi – si legge in un comunicato stampa della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro - fosse concessa la possibilità di lavorare saltuariamente o stabilmente in modalità "agile", si raggiungerebbero i 2 milioni 758 mila. Questa modalità di lavoro, portata al centro dell'attenzione dall'emergenza Coronavirus con il DPCM del 25 febbraio 2020, è largamente diffusa in Europa, ma ancora molto poco in Italia. Nel nostro Paese, nonostante la legge sul lavoro agile (L. 81/2017) abbia introdotto elementi di flessibilità organizzativa nel mercato del lavoro italiano che, sfruttando le opportunità offerte dalle nuove tecnologiche, consentono di coniugare gli obiettivi di efficienza e produttività aziendale con il benessere del lavoratore, il numero dei dipendenti coinvolti è ancora estremamente basso. Per quale motivo? Nella maggior parte di casi la motivazione è dettata da una diffidenza verso soluzioni organizzative innovative, che facciano della cultura del risultato il baricentro del modello gestionale.

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"Il lavoro agile rappresenta un vero e proprio modello organizzativo per le aziende e necessita di un approccio e di strumenti gestionali diversi da quelli ordinari o emergenziali", evidenzia il Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca. "Se da un lato sono evidenti i benefici per il dipendente che lavora da casa in termini di conciliazione vita privata e lavoro, riduzione dei tempi e dei rischi legati allo spostamento casa-lavoro – continua –, dall'altro lato, l'adozione di questo modello implica da parte delle aziende uno sforzo organizzativo rilevante in termini di investimento tecnologico; revisione dei processi di lavoro, formazione e valutazione dei dipendenti e soprattutto il superamento delle naturali diffidenze che possono sussistere da parte del management e degli stessi lavoratori". Organizzare il lavoro "smart", quindi, è una vera e propria rivoluzione culturale per le imprese, che comporta un modello di lavoro basato sul risultato ma anche grandi opportunità di crescita. "Ben vengano, dunque, in questo frangente provvedimenti d'urgenza volti a favorire il lavoro agile, ma è assolutamente necessario implementare questa modalità lavorativa con interventi più strutturali e mirati, volti ad incentivarne l'utilizzo e a risolvere anche alcune ambiguità normative, come quelle legate al tema della sicurezza, che ancora ne ostacolano la diffusione", conclude De Luca.