‘Ndrangheta, Laganà Fortugno: “Aggressione mediatica contro di me, denunciato legale assassini di mio marito”

In seguito all'ennesimo atto diffamatorio perpetrato ai danni dell'onorevole Maria Grazia Laganà Fortugno, con l'affissione di volantini recanti dichiarazioni calunniose nei suoi confronti, l'ex deputata calabrese ha inteso querelare Giuseppe Mammoliti (riconosciuto come l'autore del manifesto) spiegando tale decisione con la dichiarazione che si riporta di seguito integralmente:

"All'apice di un'inaudita escalation di attacchi e aggressioni mediatiche, organizzata secondo modalità spregiudicate che palesano un preordinato disegno volto a ledere la mia immagine, mirando anche nel contempo ad un tenace e costante intento intimidatorio, ho sporto denuncia nei confronti del difensore di fiducia di due dei condannati in via definitiva per l'omicidio di mio marito, Giuseppe Mammoliti detto Pino.

La mia decisione scaturisce dalla necessità di ripristinare la verità e difendermi dal rischio di un ingiusto discredito, nonché dall'esigenza di tutelare la mia incolumità da ogni ulteriore e più grave danno che potrebbe essere cagionato alla mia persona e alla mia famiglia dalle menzogne, dalle mistificazioni e dalle ripetute calunnie che si ripetono ormai da anni.

Tale disegno, a mio avviso, non è meramente diffamatorio, ma cela un più profondo intento persecutorio, sui cui reali scopi auspico che le forze dell'ordine e la magistratura facciano al più presto piena luce. Anche perché inquieta la personalità del responsabile di tale aggressiva campagna mediatica, posto che il Mammoliti risulta essere indagato per rapporti con la criminalità mafiosa.

L'intera vicenda di cui sono vittima è carica di profili inquietanti. Le reiterate aggressioni da me subite, in alcune circostanze arrivate ai limiti dello sciacallaggio, sono state messe in atto da un personaggio che ha rappresentato in giudizio chi, dopo tre diversi gradi di processo e con una sentenza ormai definitiva, è stato riconosciuto responsabile dell'assassinio di Franco.

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Mi interrogo, ed è la stessa domanda che ho rivolto agli inquirenti, se sia normale che un legale abbia trascorso il tempo del processo e quello successivo a insultare e calunniare i familiari della vittima, invece di tentare di difendere i propri assistiti. Ho considerazione e rispetto di chiunque svolga un'attività professionale come quella dell'avvocato penalista: è per questo che non mi spiego un simile comportamento da parte di un soggetto che, peraltro, risulterebbe essersi autosospeso dall'Ordine degli Avvocati, in quanto -come detto- si ritrova indagato in un procedimento sulla 'ndrangheta della Locride.

Dopo quanto accaduto a mio marito, sono gravemente preoccupata perché questa campagna di aggressione mediatica – come ho sottolineato in sede di denuncia – mette a repentaglio la mia incolumità e quella dei miei figli.

Si tratta, purtroppo, di una dinamica vista fin troppe volte a queste latitudini. I tentativi di arginare e impedire il cambiamento passano dall'isolamento e dalla delegittimazione di chi gode di un'investitura democratica fondata sul consenso libero e pulito.

In ultima istanza, quando non si riesce a bloccare la democrazia con gli strumenti della diffamazione e della calunnia, accade ciò che è accaduto a Franco. Per questo, dopo l'ennesimo volgare attacco, interamente falso e capace di lanciare messaggi pericolosi, ho deciso di dire basta e di chiedere giustizia all'unico interlocutore possibile: lo Stato".