“Cautela su arresti, interdittive, scioglimenti per mafia”: nasce così “Mezzogiorno in Movimento”

conferenzagarantistidi Mario Meliadò - Alla sala "Biblioteca" di Palazzo Alvaro nasce ufficialmente Mezzogiorno in Movimento, contestualmente alla diffusione e alla raccolta-firme per il suo Manifesto (di cui parliamo a parte).

Avvocati, radicali, avvocati&radicali, intellettuali, soprattutto un'ampia platea di socialisti (dal segretario provinciale del Partito socialista Gianni Milana all'ex assessore regionale Saverio Zavettieri) attorno alla "Cosa garantista" varata dall'ex sindaco di Caulonia Ilario Ammendolia, dall'avvocato, socialista "storico" ed esponente di spicco dei Radicali calabresi Gianpaolo Catanzariti, dall'imprenditore ed ex presidente di Confindustria Reggio Calabria (e, prima, degli edili dell'Ance) Andrea Cuzzocrea, dallo scrittore, sceneggiatore ed editorialista de La Stampa Mimmo Gangemi e da un altro socialista "doc" come il sindaco di Roghudi e consigliere metropolitano Pierpaolo Zavettieri.

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Com'è facile verificare dando uno sguardo ai contenuti del Manifesto «da porre a base della costruzione di uno spazio, di un soggtto politico nel senso ampio del termine, di un'area che possa raccogliere energie per invertire la rotta calabrese in nome di diritti, giustizia, lavoro» l'idea raggrumata da Ammendolia (cui ieri mattina un'improvvisa febbre alta ha impedito di partecipare al "battesimo del fuoco" del movimento), Catanzariti, Cuzzocrea, Gangemi e Zavettieri è di mettere in piedi una sorta di trust antigiacobino, anche se dirla così può risultare antipatico.

E al di là del già citato trittico "diritti, giustizia, lavoro", tre sono anche i punti interrogativi fondamentali che ci si pone all'interno di questo gruppo ma, in relazione ai cinque co-fondatori individualmente, anche da molto tempo prima: la necessità di modificare nel profondo il "decreto Taurianova" sugli scioglimenti degli Enti per infiltrazioni mafiose (battaglia che s'era accesa con veemenza già un paio d'anni fa, durante i quali però la normativa è rimasta identica e non si è giunti neppure a un'ipotesi organica di ridefinizione del testo), l'urgenza d'identificare parametri più certi e più restrittivi per l'applicazione delle interdittive antimafia nei confronti delle imprese locali, l'esigenza di usare decisamente maggior prudenza nell'applicazione di misure cautelari, specie nel contesto di pletoriche "retate" sovente seguite da scarcerazioni numericamente assai consistenti.

Accanto a questo, come s'intuisce fin dal nome assegnato al movimento, c'è sicuramente il desiderio di piazzare il meridionalismo 2.0 al centro dell'agenda politica. Singolari, però, le modalità selezionate per porre il nuovo soggetto politico-culturale come interlocutore di partiti e movimenti: inaugurare cioè la stagione delle battaglie che verranno nel bel mezzo di una campagna elettorale per le Politiche tra l'altro delicatissima... «Sì, non credo sia un caso che questo movimento, quest'area, questo spazio che stiamo cercando di lanciare come iniziativa "di costruzione" cada proprio a una quindicina di giorni dal termine di una campagna elettorale francamente assai deludente per toni e per contenuti – specifica Catanzariti al Dispaccio.it –. Questo soprattutto perché il Sud è sparito dai programmi dei partiti, come evidenziato a più riprese da politologi, giornalisti e analisti, persino in termini nominalistici: abbiamo persino Alberto da Giussano che viene a presentare liste pure al Sud, non si capisce bene a che titolo, con candidati calabresi anche se poi il consenso, in franchezza, verrà canalizzato a favore della Lega "del Nord". La fine dei partiti tradizionali, lo scarso livello medio della classe politica meridionale e la compresenza di una Lega forte sono certamente fattori che hanno contribuito a questa scomparsa del Mezzogiorno dalla scena politica. Ma già le iniziative precedenti svolte sui territori hanno dimostrato che esiste una certa sensibilità, in Calabria, rispetto a determinate questioni magari non tenute in debita considerazione dai protagonisti della scena politica: la difesa dei Valori dello Stato di diritto, l'applicazione della Costituzione che, da noi, è stata praticamente solo fatta vedere sui libri di scuola, la questione delle democrazie elettive o partecipative: rivendicare il rispetto delle regole, maggiori garanzie, più tutele dei diritti crediamo possa essere strumento e precondizioni per consentire alla Calabria di rimettersi, per l'appunto, "in movimento"».

Nell'analisi di Gianpaolo Catanzariti, «una ricetta meramente repressiva, specie se "a strascico" anziché rigorosa ma selettiva, se non affronta contemporaneamente la questione dell'occupazione e dello sviluppo in Calabria e al Sud rischia di mancare il bersaglio». Le istanze di Mezzogiorno in Movimento, tuttavia, vengono proposte indistintamente a tutti i protagonisti della scena politica, «da un lato perché oggi ci troviamo di fronte a contenitori asfittici e privi di costrutto politico; poi perché ci rivolgiamo direttamente al popolo affinché si faccia protagonista non solo nei momenti elettorali; ma anche perché – pone in rilievo Catanzariti – il nostro scopo è quello di costruire un'area in cui tutti possano contribuire» sul presupposto citato, benché un punto in comune di partenza esista: «Riproporre la questione meridionale in maniera seria e moderna, non lasciando il Mezzogiorno stretto nella morsa tra la criminalità e la criminalizzazione».

Pierpaolo Zavettieri nega che la triade "diritti, giustizia, lavoro" sia perseguita da tutti: «E poi, per Giustizia noi intendiamo la "Giustizia giusta", dalla separazione delle carriere dei magistrati alla possibilità che non si utilizzi in eccesso lo strumento della carcerazione preventiva». La "scintilla", per il consigliere metropolitano socialista, «è nata dalla costituzione del comitato Ddl (Diritti democrazia e libertà), che il 10 giugno scorso ha presentato la propria attività a Palazzo Campanella, in seguito allo scioglimento di cinque importanti Comuni calabresi come Lamezia Terme e Cassano Jonio, basato sulla "cultura del sospetto": il sindaco socialista cassanese Gianni Papasso, per dire, s'è ritrovato l'Ente sciolto per mafia per essere andato al funerale di una vecchina i cui parenti avevano avuto problemi con la Giustizia».

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Resta sul tappeto il modo "istituzionale" d'interpretare le problematiche di questo tipo: al punto che su due dei Comuni il cui scioglimento era stato più "problematico", ovvero Lamezia Terme (il cui sindaco Paolo Mascaro aveva minacciato anche d'incatenarsi per protesta) e Marina di Gioiosa Jonica (Ente locrideo il cui primo cittadino Domenico Vestito paradossalmente era vicepresidente nazionale di Avviso pubblico, al momento dello "stop" del Viminale...), il Ministero dell'Interno ha appena chiesto la dichiarazione d'incandidabilità. «Mascaro svolgeva la sua attività di penalista, peraltro congiunto con un magistrato già impegnato nella lotta alla 'ndrangheta: nelle motivazioni dello scioglimento viene evidenziato che aveva precedentemente difeso un componente del clan. Vestito, poi, lo conosco personalmente per tante iniziative comuni con gli altri sindaci della Locride e, anzi, era fin troppo prudente, anche in ragione del suo ruolo in Avviso Pubblico, evitando in ogni occasione di farsi vedere con persone di cui non conosceva magari il pedigree».

E al Dispaccio.it Zavettieri ribadisce di non aver affatto cambiato idea sul Registro di cittadinanza attiva voluto dall'ex presidente della Commissione regionale Pari opportunità Giovanna Cusumano e dal pm della Dda reggina Giuseppe Lombardo e oggi custodito in Prefettura, che aveva "orgogliosamente" dichiarato di non voler firmare: «Non dico che è una "pagliacciata", ma una "passerella" sì. Avrei anche potuto sottoscriverlo, ma solo se contemporaneamente vi fossero state lotte per creare infrastrutture e occupazione e per un contrasto alle mafie diretto, non quello che colpisce le imprese e il tessuto produttivo del territorio. L'ho già detto in precedenza: 51 sindaci del Reggino su 85 in carica avevano chiesto un incontro su temi politici al ministro dell'Interno Marco Minniti, lui quando è venuto a mettere la sua "firma contro la 'ndrangheta" ci ha salutato appena... ma quali atti "di facciata"!, alla gente qui serve ben altro».

Gangemi, corsivista acutissimo e scrittore sopraffino (Il giudice meschino, La signora di Ellis Island e molto altro), già su scala personale e in particolare nei suoi "fondi" sul quotidiano La Stampa ha spesso offerto spaccati di neomeridionalismo confinanti con un "revanscismo ragionato", diremmo. Eppure sul cruscotto delle richieste, sul quadro delle istanze garantiste che il movimento vuol portare all'attenzione dei partiti politici, è sincronizzato come un cronometro: «La Calabria, dice bene Catanzariti, resta schiacciata tra criminalità e criminalizzazione. "Tutti assieme appassionatamente" abbiamo fatto sì che di questa terra apparisse un'immagine assolutamente distorta, devastante e terribile: negli altri territori pensano alla Calabria come a una terra in cui può succederti di tutto e di più, in cui ci s'imbatte quotidianamente in pallottole vaganti... Ovviamente una colpa maestra e orribile ce l'ha la 'ndrangheta, ma anche noi abbiamo le nostre responsabilità – ha rilevato lo scrittore di Santa Cristina d'Aspromonte – per aver fatto trapelare un'immagine di sola criminalità che non rende affatto giustizia alla Calabria. E a proposito: la dice lunga il fatto che i cittadini non hanno solo una comprensibile paura delle 'ndrine, ma anche di certe forme di Giustizia forse non molto sane. Cosa che provoca un danno terribile a questa terra, perché proprio per via della cappa oppressiva della 'ndrangheta è fondamentale che la gente si rivolga serenamente alla Giustizia, che la senta "amica", mentre se ha il timore d'incappare da innocente nelle maglie della Giustizia non la sente "vicina" e non le si rivolge. E non se ne esce più, né dall'oppressione della criminalità né dalla pessima e ingiustificata nomea che ci portiamo appresso: credetemi, anche sui giornali nazionali non riesco a imporre alcun articolo sulle tante Grandi Inchieste che poi sovente si sgonfiano, su quel "silenzio di ritorno" che troppo spesso notiamo quando hanno luogo scarcerazioni di massa dopo il clamore degli arresti a decine. Una "cattiva informazione" che massacra questa terra e che nessuno riesce a correggere».

Guest star di assoluta rilevanza Demy Arena, sia per i trascorsi politico-amministrativi sia in quanto sindaco di Reggio Calabria quando, per la prima e fin qui unica volta, fu sciolto per "contiguità mafiose" un Comune capoluogo di provincia. «Io ancòra non ho letto il Manifesto: lo leggerò, e se troverò convergenze certamente lo sottoscriverò anch'io. Accentro l'attenzione su un elemento, la garbata missiva dei sindaci: un'ottima iniziativa. Certo, dalle parti nostre uno che fa il sindaco tanto normale non è: deve avere un pizzico di follia... - ironizza Arena, ma neanche troppo –. Vale anche per chi fa l'imprenditore, certo; ma la differenza è che fare il sindaco non produce anche un tornaconto personale. Tuttavia, i sindaci da amministratori hanno un potere forte: e allora, credo che occorra elevare il livello d'interlocuzione». Cuzzocrea mugugna un po', visto che a queste latitudini anche fare l'imprenditore non è la cosa più semplice del mondo; ma ci può stare.

«Quando ebbi modo di leggere gli atti che mi videro coinvolto "nella qualità", come responsabile oggettivo, capii sùbito che s'era perso il limite» arriva presto all'immaginabile "nocciolo della questione" (ovvero allo scioglimento del Comune) Arena, peraltro in una delle pochissime apparizioni pubbliche dopo il periodo al timone di Palazzo San Giorgio, fuori dai "cenacoli" politici scopellitiani. «Quelli che erano comportamenti che uno può anche immaginare distorti mi colpirono molto: la menzogna detta è una cosa, scritta è un'altra... la travisazione dei fatti, altrettanto. E allora, se si lascia andare, se si lascia passare tutto, questa situazione si consolida, e s'arriva a quei livelli che avete menzionato poc'anzi... Se un problema, se una vera mancanza dei sindaci oggi si può rilevare, è la mancanza di consapevolezza del ruolo – esclama Demy Arena –. Qui ormai il problema della lettera è superato: qui bisogna andare con la fascia in Prefettura e consegnare la fascia tricolore sul tavolo del Prefetto, dicendo con chiarezza: "Signori, qui noi non siamo disponibili a interloquire in questo modo". Perché qui s'è andati oltre ogni limite... perché la lettera è stata presa quasi come sintomo del "delitto di lesa maestà", di chi, 51 sindaci del Reggino, s'è "permesso" di chiedere un appuntamento al ministro dell'Interno!, la forma più alta d'interlocuzione in un Paese genuinamente democratico, mentre aveva un alto contenuto, era davvero la voce di chi patisce, è in trincea». Ma Arena riprende pure le considerazioni di Gangemi: «Chi ha paura, paura della Giustizia dico, non si può biasimare – fa presente Demy Arena –, perché in un frangente in cui "siamo tutti sospettabili" mi pare che anche il timore sia una componente che possa, forse debba un po' pervadere la nostra popolazione. A questi sindaci mi permetto di dire che la forza del loro operato e delle loro scelte andrebbe spesa, in questo momento, con un'interlocuzione manifestata in modo assai più elevato rispetto al tentativo di parlare col ministro, poi naufragato come avete visto, anche perché poi scendono in campo i "veri" Poteri Forti... Perché la politica non conta nulla! – è lo sfogo dell'ex primo cittadino –, la politica oggi non è niente, in questo momento sono le marionette che i Poteri che oggi governano il nostro Paese utilizzano per dare in pasto al popolo un colpevole. Il popolo, che soffre, perde lucidità, libertà, autonomia e, chiaramente, diventa facile preda di un meccanismo che sta stritolando il nostro Paese». Dopo l'analisi, una promessa: «Sarò al vostro fianco, a cominciare dai Diritti: senza quelli, tutto il resto manca».