Strage carabinieri Fava-Garofalo: un detenuto "racconta" le verità del killer Calabrò

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di Angela Panzera - "Giuseppe Calabrò mi disse che gli omicidi dei Carabinieri avevano una linea stragista e che c'era un probabile accordo fra mafia siciliana e 'ndrangheta calabrese". Sono queste le confidenze che il killer dei carabinieri Fava e Garofalo avrebbe esternato al suo "compagno" di carcere Gianluca Goglino, detenuto per fatti di sangue e in passato collegato alla malavita calabrese.

È stato oggi il carabiniere Riccardo Giannini, appartenente al nucleo investigativo di Ferrara, a riferirlo oggi alla Corte d'Assise presieduta dal giudice Ornella Pastore.

Rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, titolare dell'inchiesta " 'ndrangheta stragista"- che vede alla Giuseppe Graviano, boss del mandamento palermitano di 'Brancaccio' e Rocco Filippone, di 77 anni, di Melicucco- Giannini ha riferito tutte le confidenze effettuategli dal detenuto Goglino.

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Subito il militare notiziò gli inquirenti reggina; Goglino del resto aveva iniziato un percorso di rieducazione che lo ha portato ad esternare vere e proprie "confidenze" agli investigatori tanto che negli ambenti giudiziari locali è ritenuto "più che attendibile". Tutto nasce dall'amicizia in staurata fra i due. Calabrò infatti, aveva bisogno di una persona fidata che gli desse un aiuto per scrivere una lettera. E non era una missiva qualcosa. Era una lettera, indirizzata all'allora procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, nella quale dopo oltre un ventennio finalmente si decideva a dire tutta la sua verità. Ossia che gli attentatati in cui persero la vita i due carabinieri in Calabria non erano dei fatti riconducibili a piccole dinamiche criminali bensì era una vera e propria strategia stragista messa in atto da Cosa nostra siciliana e ''ndrangheta calabrese per sferrare un duro colpo alle Istituzioni.

Calabrò inoltre, aveva la necessità di essere trasferito dal carcere di Ferrara, ritenuto troppo "duro" rispetto ad altri istituti penitenziari. Calabrò infatti, verrà trasferito poco dopo presso l'istituto penitenziario di Milano-Bollato ritenuto essere "un albergo" rispetto a quello ferrarese. Ma subito dopo l'invio della prima missiva ne subentrerà un'altra in cui il nipote del presunto boss Filippone rinnegherà in toto il contenuto. Goglino quindi lo aiuta a correggere questa missiva e nel leggerla si rende conto che il contenuto era "pesante" e poteva aprire scenari sicuramente diversi e più ambi rispetto a quelli tracciati per anni. Al maresciallo Giannini, Goglino scrive che è " una cosa delicata e che quanto sta dicendo non ha alcun fine se non quello di rendere giustizia a delle vittime. Si tratta di un detenuto, Giuseppe Calabrò e credo che nonostante il suo comportamento lui in un altro senso sia vittima di queste persone che si crede al di sopra di ogni cosa. In queste lettere sostiene che gli omicidi avevano un fine e una linea stragi. Era stato dato ordine di colpire le forze dell'ordine per un possibile accordo fra mafia e 'ndrangheta". Nella missiva indirizzata al maresciallo, Goglino ha parlato anche di un soggetto che avrebbe "ordinato questi omicidi e che è ancora libera ed è la stessa che «garantisce protezione e lavoro alla famiglia Calabrò". Per la Dda questa persona sarebbe proprio lo zio FIlippone. Ed ecco che gli inquirenti effettuano i riscontri. Sul pc della biblioteca del carcere ferrarese fu proprio rinvenuta la copia della missiva inviata dal Calabrò al numero uno della Dna Grasso. Quel pc poteva essere usato solo da tre detenuti e due erano proprio Goglino e Calabrò. Nel frattempo Calabrò ottenne il suo scopo. Come riferito oggi in aula venne trasferito grazie all'istanza presentata dal suo avvocato, l'allora presidente della Commissione Giustizia, Filippo Berselli. Adesso quindi con questa deposizione il mosaico dell'accusa si arricchisce di un nuovo importante tassello, un tassello che porta a sostenere che Calabrò nella prima lettera inviata ai magistrati aveva davvero "vuotato il sacco". Si era liberato di un peso che aveva tenuto per molto tempo, un peso che porterà anche alla scomparsa prima,e all'omicidio- ancora rimasto irrisolto- del fratello Giovanni, ritrovato cadavere all'interno della propria automobile nelle acque del porto reggino.