Chiusa l'inchiesta sulla cosca Piromalli: oltre 30 indagati

piromalliantoniointercettazione500di Angela Panzera - La Dda stringe il cerchio sulla cosca Piromalli di Gioia Tauro. Notificato l'avviso di conclusioni delle indagini preliminari, da parte dei pm antimafia Giulia Pantano e Roberto Di Palma, alle oltre trenta persone coinvolte nell'inchiesta "Provvidenza" che ha colpito nel gennaio scorso la storica cosca della Piana di Gioia Tauro. Le accuse mosse dalla Dda guidata da Federico Cafiero De Raho, sono – a vario titolo- quelle di associazione di stampo mafioso, traffico di stupefacenti, intestazione fittizia di beni, autoriciclaggio ed altri reati, aggravati dalle finalità mafiose. Elemento centrale dell'inchiesta curata dalla Procura, è Antonio Piromalli, 44enne figlio di Pino Piromalli, detto "Facciazza". Proprio per volere del padre, Antonio Piromalli si era trasferito a Milano, nel tentativo di abbassare l'attenzione su di lui, non solo da parte delle forze dell'ordine, ma anche delle altre famiglie mafiose. Pino Piromalli "Facciazza", classe 1945, aveva infatti investito il figlio di pieni poteri, sebbene l'uomo avesse continuato a reggere le fila della cosca, prima dal 41bis dopo la condanna definitiva nel processo "Cent'anni di storia", e poi da uomo libero, con la scarcerazione avvenuta nel 2014.

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Una scelta strategica che, tuttavia, non è sfuggita all'Antimafia dello Stretto. A Milano, Antonio Piromalli avrebbe "lavato" elevati introiti del clan, derivanti dal traffico di droga". All'epoca del blitz Giuseppe Piromalli non è stato fermato poiché da anni è detenuto in regime di carcere duro, ma nell'indagine "Provvidenza", messa in piedi ieri dai pm antimafia Giulia Pantano, Roberto Di Palma, Luca Miceli e Matteo Centini, emerge come Giuseppe Piromalli, alias "Facciazza" sia un boss a tutti gli effetti. Dal 41 bis, che sta scontando presso il carcere di L'Aquila, Pino Piromalli, nipote diretto di Mommo, lo storico "mammasantissima" della Piana di Gioia Tauro, coordinava tutte le attività dell'omonima 'ndrina e soprattutto «impartiva ordini e direttive alla cosca, facendo leva sull'efficiente filiera comunicativa». I suoi destinatari "finali" dei messaggi erano, secondo la Dda guidata da Federico Cafiero De Raho, il figlio Antonio Piromalli e il genero Francesco Cordì definito «l'uomo di punta della cosca, affiancato al figlio sin dal 2007, così come certificato dall'indagine "Cent'anni di storia" e tuttora suo luogotenente, essendo peraltro questi uno dei pochi ammessi a conoscere di tutte le iniziative imprenditoriali imbastite dalla cosca». La "regia" ancora una volta era la sua. I pm non usano mezzi termini: "Facciazza" è il capo indiscusso «sia dal punto di vista operativo ed imprenditoriale». Certo i fratelli maggiori, Gioacchino e Antonio, avrebbero mantenuto un ruolo apicale ma entrambi sarebbero intervenuti solo in circostanze straordinarie come quelle di maggior rilievo criminale o imprenditoriale. Ed è proprio nell'indagine "Provvidenza" che viene "certificato, ancora una volta", come il ramo "Facciazza" sia il centro di comando principale e l'interfaccia primario verso l'esterno. Non importava che Pino Piromalli stesse scontando una durissima condanna a trent'anni di carcere e che lo stesse facendo con le restrizioni dovute al regime di carcere duro, il quale è stato istituito proprio per evitare che i boss mandino direttive ai sodali, "Facciazza" comandava a tutti gli effetti e per farlo doveva essere costantemente informato sulle vicende di principale interesse affinché al figlio Antonio giungessero direttive precise. E la sa è stata una cosca che è stata capace di rigenerarsi in ogni settore, soprattutto aprendo i propri canali imprenditoriali nel milanese e oltreoceano. Ed è per questo che Nino Piromalli, anima della 'ndrina, bacchetta la moglie e le figlie. Questa sarà l'intercettazione che darà il nome all'inchiesta dei Carabinieri. Piromalli: «con la provvidenza..Loredana! Chiama le cose con il nome suo, la provvidenza c'è stata...al provveditorato c'è stata la provvidenza! Chiama le cose con il nome suo, non ci giriamo intorno!». Per la Dda queste parole "confessano" che «l'alto tenore di vita goduto dalle stesse durante la sua detenzione fosse dovuto non certo al provveditorato della Lombardia (essendo la moglie un'insegnante) né alla provvidenza, ricordando come ciò era stato possibile solo grazie ai dividendi prodotti dagli "investimenti" che questi aveva fatto prima di essere arrestato e che avevano fruttato 5, 10 o 15 mila euro alla volta». Se Pino Piromalli è riuscito dal carcere duro a continuare a dettare regoli e ordini alla cosca è stato "merito" delle donne della famiglia. Le loro funzioni «si rivelavano di straordinaria rilevanza-scrivevano i pm nel fermo- poiché le stesse oltre a partecipare alle ordinarie vicende familiari, rivestivano ruolo indispensabile in termini di circuitazione informativa da e per il capo cosca Antonio Piromalli, agevolandolo così nelle sue attività di conduzione del sodalizio stesso». Mogli, figlie, sorelle e cugine sarebbero state il "trait d'union" da e verso Pino "Facciazza" il quale veniva regolarmente aggiornato su quanto avveniva dietro le sbarre. Ed è per questo che il boss Piromalli impartiva disposizioni chiare, spesso dissimulando i suoi decisi input sotto forma di consigli, qui descritto per grandi linee. «Assolutamente rilevante, in primis,- scrivevaono gli inquirenti- è l'attività prestata soprattutto da Maria Martina e dalle figlie quali intermediarie tra Giuseppe Piromalli ed il figlio Antonio, classe 1972. Le stesse partecipavano infatti regolarmente ai previsti colloqui carcerari, facendosi carico di aggiornare, veicolando successivamente le indicazioni ricevute».

La Dda guidata da Federico Cafiero De Raho però ha piazzato microspie ovunque e le intercettazioni sono tantissime. Ma oltre a riferire messaggi destinati al figlio, "Facciazza" monitorava tutti i membri della famiglia ed in particolare voleva essere aggiornato sulle attività monitorate dal genero Francesco Cordì. La moglie, Maria Martino, gli riferisce delle preoccupazioni della figlia Grazia Piromalli timorosa del possibile coinvolgimento del marito in vicende giudiziarie. Non aveva tutti i torti. Ecco il dialogo: «e Grazia rosica, dice "qualche giorno, lui pensa per tutti, pensa per tutti quanti a sistemarli, fratelli, sorelle, questo e quell'altro...» Piromalli:«Francesco riesce a fare tutte cose, si?», Martino: « Francesco sì,sì», Piromalli:« eh povero figliolo, ha un peso là, con il lavoro suo..con sua madre, di questo, di quello, non è che sia una fesseria», Martino: «e Grazia rosica, dice "qualche giorno io faccio la fine tua". Nell'aprile del 2015 poi gli inquirenti captano alcune conversazioni relative agli affari sul settore degli agrumi a colloquio col boss ci sono la moglie e la figlia Grazia. Nell'occasione "Facciazza" spingeva le donne ad intercedere verso il figlio Antonio invitandolo a vagliare attentamente il da farsi. Piromalli: «si vende questi quattro mandarini, queste quattro arance, queste cose, piano piano si mette, non deve avere fretta, come non deve avere fretta con i kiwi, no..le piante..piano piano. Nella vita ha fatto quando era là no? E mi pareva che..ora parti piano piano». Già in questo primo resoconto dei colloqui emergevano alcuni elementi significativi. La Dda ha avuto la conferma che Pino Piromalli guidasse ancora la cosca. Il boss infatti, veniva costantemente tenuto informato sulle attività di reinvestimento nei settori agrumicolo e dell'olio di oliva (veniva messo a parte dei fronti di investimento aperti negli USA e in Romania da Antonio), non mancando di sollecitare informazioni e dispensare consigli e ordini destinati al figlio ed al genero prediletto, Francesco Cordì. Quest'ultimo, nella strategia di Piromalli doveva affiancare necessariamente il figlio a cui rimproverava eccessiva precipitazione nell'intraprendere iniziative imprenditoriali. In questo senso ordinava di dire al figlio di non operare "allo scoperto", ossia di vendere solo dietro pagamento immediato, rappresentandogli che in caso contrario, laddove avesse avuto difficoltà economiche questa volta non sarebbe intervenuto. Tutti ordine e direttive impartite grazie alla figlia e alla moglie di "Facciazza".

Adesso quindi la Dda chiude l'inchiesta. Gli indagati hanno 20 giorni per chiedere di essere interrogati e depositare documenti. A breve L'Antimafia reggina si appresta a celebrare uno dei processi più importanti contro la storica 'ndrina dei Piromalli che quindi torna in aula nuovamente alla sbarra.