“Meta”: giudici in camera di consiglio per la sentenza d’appello sul direttorio della ‘ndrangheta reggina

destefanogiuseppe500Arriverà tra sabato e domenica la sentenza d'appello del procedimento "Meta", l'inchiesta della Dda che ha sancito l'esistenza di un direttorio mafioso composto dalle famiglie principali della città: i De Stefano, i Tegano, i Condello e i Libri. Un procedimento in cui sono alla sbarra i principali boss della 'ndrangheta cittadina, che avrebbero messo da parte anni di guerra e uccisioni al fine di spartire meglio affari e giro di estorsioni. Un processo che scaturisce dagli accertamenti svolti dal Ros dei Carabinieri per catturare il superboss Pasquale Condello, detto "Il Supremo", arrestato il 18 febbraio 2008 dopo molti anni di latitanza. In primo grado l'impianto accusatorio portato avanti dal pm Giuseppe Lombardo ha retto perfettamente. Il Tribunale presieduto da Silvana Grasso ha comminato 20 anni per Pasquale Condello, 27 anni per Giuseppe De Stefano, 20 anni ciascuno per Giovanni Tegano e Pasquale Libri. Pene esemplari per i quattro boss, ma anche per gli altri imputati 17 anni e 9 mesi per Cosimo Alvaro, il boss di Sinopoli giunto in città per controllare i locali della movida, 23 anni per Domenico Condello. detto "Gingomma", 21 anni per Antonino Imerti (cugino del "Nano Feroce"), 16 anni per Domenico Passalacqua, 10 anni per Stefano Vitale e 13 anni per Natale Buda, 16 anni per Umberto Creazzo, 23 anni per Pasquale Bertuca, 18 anni e 8 mesi Giovanni Rugolino, 3 anni e 6 mesi per Antonio Giustra, 3 anni per Carmelo Barbieri, 6 anni per Antonino Crisalli, 4 anni e 6 mesi per Rocco Palermo.

Un'ipotesi investigativa (e poi accusatoria) ambiziosa: dimostrare come le principali cosche di Reggio Calabria – i De Stefano, i Tegano, i Condello e i Libri – si fossero trovate d'accordo nel comporre una sorta di direttorio, con a capo Giuseppe De Stefano, per gestire in maniera automatizzata (e indisturbata) il giro delle grandi estorsioni e dei grandi appalti. Sarebbero le "nuove regole" che proprio Peppe De Stefano, figlio di don Paolino, carismatico boss ucciso agli albori della seconda guerra di mafia reggina, avrebbe portato in città, per controllarne ogni respiro della vita sociale, economica e politica. Quattro grandi cosche che, dopo la mattanza scatenatasi dal 1985 al 1991, avrebbero trovato la pace, ma, soprattutto, sarebbero state in grado di guardare in faccia la modernità, dandosi un nuovo assetto.

--banner--

Ora il processo d'appello volge al termine. I giudici sono infatti entrati in camera di consiglio, dopo aver ascoltato le ultime arringhe difensive, ma, soprattutto, le dichiarazioni spontanee dell'imputato principale, Peppe De Stefano, considerato "Il Crimine" della 'ndrangheta cittadina, l'uomo che avrebbe riscritto le regole in nome del "tutti devono pagare", soggiogando così l'intera città. De Stefano, in video collegamento, essendo detenuto in regime di 41bis, ha preso la parola tentando di confutare quanto scritto nella sentenza di primo grado, ma anche negando quanto sostenuto dai collaboratori di giustizia e, in particolare, da Nino Fiume e da Roberto Moio. De Stefano ha negato il ruolo attribuitogli, contestando l'impostazione accusatoria.

Pochi giorni e arriverà il verdetto d'appello sul direttorio della 'ndrangheta reggina.