Processo "Deja vu": assolto Bono

Non regge alla verifica del giudizio di appello l'associazione per delinquere e l'aggravante dell'agevolazione mafiosa contestate, insieme a numerosi reati di truffa, a Giuseppe Bono, 45 anni, pregiudicato di Gioia Tauro, che il GUP DDA, dott.ssa Bennato, di Reggio Calabria, aveva condannato, nello stralcio del processo "Déja vù" a quasi sei anni di reclusione con il rito abbreviato, confermando la misura della custodia in carcere emessa nel maggio del 2013 dal GIP di Palmi, Fulvio Accurso.

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In accoglimento delle tesi difensive, illustrate con articolate argomentazioni giuridiche, dal difensore di fiducia, avv. Domenico Alvaro, la Corte di Appello di Reggio Calabria, dopo una lunga camera di consiglio, ha pronunziato sentenza pienamente assolutoria, per non avere commesso il fatto, relativamente al delitto associativo, ha escluso l'aggravante mafiosa prevista dall'art. 7 della legge n. 203/91, e, ritenuta la recidiva specifica reiterata infraquinquennale, ha condannato Giuseppe Bono, che in attesa dell'appello aveva ottenuto gli arresti domiciliari, ad anni due e mesi dieci di reclusione per le numerose truffe consumate, per importi rilevanti, disponendone l'immediata scarcerazione per avvenuta espiazione della pena e revocando l'interdizione legale e le misura accessorie nei suoi confronti.

Quattro anni, mesi 5 e giorno 10 di reclusione sono stati invece inflitti, con la riduzione per il rito e l'attenuante speciale della collaborazione con la giustizia, già concessa in primo grado, ad Antonio Russo, il collaboratore di giustizia processato insieme al Bono, dalle cui dichiarazioni, incrociate con quelle rese dall'altro collaborante, Pasquale Labate, era scaturita la contestazione dell'aggravante di agevolazione mafiosa, avendo i due collaboratori, riferito che le truffe da loro consumate ed anche quelle poste in essere dal gruppo, al quale apparteneva il Bono, facente capo ad Andrea Torre, giudicato separatamente con il rito ordinario per il solo reato associativo e condannato in primo grado dal Tribunale di Palmi ad anni 5 di reclusione, avevano ricevuto la copertura ed il benestare delle cosche gioiesi alle quali era stato versata una quota dei proventi ricavati dall'attività truffaldina.

Nel corso del processo di appello la Procura Generale aveva chiesto ed ottenuto che fossero esaminati i due collaboratori di giustizia, Russo e Labate, le cui dichiarazioni, in sede di controesame condotto dal difensore, avv. Domenico Alvaro, avevano offerto nuovi spunti difensivi valorizzati dalla difesa in sede di discussione per dimostrare la mancanza dei presupposti giuridici per confermare l'esistenza dell'associazione per delinquere e l'aggravante dell'agevolazione mafiosa. Tesi accolta dalla Corte di Appello.

La parte civile era rappresentata dall'avv. Albanese, l'accusa dal S. Procuratore Generale Galletta, i quali avevano concluso, al pari dell'avv. Antonio Cavo, difensore del collaboratore Russo, che ha seguito l'intera udienza in videoconferenza dal sito protetto, per la conferma della sentenza di condanna emessa dal GUP Bennato.