Uccisa e fatta scomparire per salvare l’onore del boss: condanne definitive sugli assassini di Angela Costantino

costantinoangela 500Condanna definitiva sugli assassini di Angela Costantino, la giovane moglie del boss Pietro Lo Giudice uccisa e fatta scomparire a Reggio Calabria nel marzo del 1994. La Corte di Cassazione ha infatti confermato e reso irrevocabile al condanna a 30 anni di reclusione nei confronti di Bruno Stilo e Fortunato Pennestrì.

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A darne notizia oggi è La Gazzetta del Sud con un articolo a firma di Francesco Tiziano, che mette un punto definitivo su una vicenda che ha segnato la storia della città. La giovane Angela Costantino era la moglie di Pietro Lo Giudice (oggi deceduto), uno dei 13 fratelli dell'omonima famiglia mafiosa del rione Santa Caterina, tra cui i collaboratori di giustizia Antonino e Maurizio Lo Giudice. Fu uccisa e fatta scomparire dai familiari. Dal cognato Bruno Stilo e dal nipote Fortunato Pennestrì, che non le perdonarono una relazione extraconiugale.

"La sparizione di Angela Costantino – inizialmente inquadrata come un'improbabile fuga facendola passare in un mistero in piena regola a tal punto che si occupò anche la celebre trasmissione Rai "Chi l'ha visto?" - risale al 16 marzo 1994. Ad oltre 22 anni fa, quando la giovane donna scomparve nel nulla" scrive oggi Francesco Tiziano su Gazzetta del Sud.

Angela Costantino, 25enne all'epoca dei fatti, sarebbe stata uccisa per "un accordo di famiglia" (come dirà il collaboratore di giustizia Paolo Iannò) a causa della sua relazione extraconiugale con un uomo nel periodo in cui il marito era detenuto. I suoi assassini l'avrebbero raggiunta alle prime ore del giorno del 16 marzo 1994. Da circa un mese abitava a Reggio Calabria in via XXV luglio, in un immobile al piano terra che, per decenni, è stato il feudo storico della cosca Lo Giudice. Lì, infatti, era più facilmente controllabile. A uccidere materialmente la donna sarebbe stato Fortunato Pennestrì. Bruno Stilo – uno dei "vecchi" dello storico clan Lo Giudice di Reggio Calabria – sarebbe invece stato tra i mandanti del delitto.

"Il delitto è stato realizzato in attuazione di un programma saldo e predeterminato, avente ad oggetto la punizione della donna fedifraga, che aveva leso l'onorabilità del marito, mentre questi era detenuto, il quale rispetto alla sua onorabilità, era stato tenuto all'oscuro di tutto. La donna non solo aveva tradito il marito, ma vi erano allarmanti segnali, quali metrorragia e frequenti svenimenti, indicativi che la donna portasse in grembo una creatura che non era del marito. Onta questa ancora più grave e che necessitava di essere occultata, grazie al ricorso ad un primario "amico", che avrebbe potuto ammorbidire le risultanze della cartella clinica. A tutto ciò andavano aggiunte quelle misure repressive adottate dalla famiglia Lo Giudice: accompagnamento a vista, percosse per reprimere i moti di ribellione, psicofarmaci per sedare le continue crisi di pianto e per creare un alone di malattia psichiatrica, addotta quel genesi del suicidio" era scritto nella sentenza d'Appello che ora la Cassazione ha reso definitiva.

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