di Claudio Cordova - "Allora....chiudete questa cartella in un cassetto. Chiudila nell'armadio intanto...". E' una delle frasi emblematiche dell'agghiacciante indagine con cui la Procura di Reggio Calabria ha scoperto un sistema di coperture illecite degli errori sanitari all'interno degli Ospedali Riuniti. Il Gip Antonino Laganà non ha concesso la misura cautelare per associazione per delinquere, ma nel provvedimento che ha coinvolto 11 medici non risparmia dure considerazioni sui sanitari coinvolti: "L'odierna operazione investigativa ha disvelato, a parere di chi scrive, un autentico "sistema", un usuale (ed illecito) modus operandi sanitario per cui non appena si "incappa in un errore e/o in un imprevisto" di cui sopra –con (anche solo) "potenziale" attivazione di responsabilità medica/professionale, bisogna "prendere la cartella (inerente al caso di specie) e chiuderla nell'armadio" al fine di "confezionarla ad arte" (con falsificazione materiale e/o ideologica) sia per fini di "copertura della responsabilità" –quando la stessa risulta immanente e da subito evidente- sia anche a titolo meramente "preventivo e cautelativo" al fine addirittura di "aggiustare tutto a monte" per evitare anche solo la possibile insorgenza di un procedimento giudiziario a carico di un medico e/o di personale sanitario. Il tutto con la compiacenza e l'apporto primario dei vertici sanitari (tenuti in primo luogo a vigilare sulla veridicità della cartella come vedremo) e con effetti devastanti e laceranti in ordine al bene primario ed assoluta della vita e dell'incolumità delle persone di continuo- per vocazione professionale- poste al controllo sanitario dei medici di cui al presente procedimento".
Un quadro agghiacciante in vari reparti dei "Riuniti", tra cui Ginecologia e Ostetricia, che racconta del decesso (in due distinti casi) di due bimbi appena nati, delle irreversibili lesioni di un altro bimbo dichiarato invalido al 100%, dei traumi e le crisi epilettiche e miocloniche di una donna "colpevole di dovere partorire" nonché le lacerazioni strutturali ed endemiche di parti intime e connotative di altre donne. Un'indagine coordinata dai pm Gaetano Paci, Roberto Di Palma e Annamaria Frustaci: "Il punto –beninteso- non è "l'errore in sé", che comunque ha un peso immane in quanto tale per la rilevanza del bene trattato (la salute e la vita delle persone), ma è "il sistema di copertura" dell'errore che assume gravità inaccettabile (sul piano giuridico e professionale) specie se praticato appunto "ad arte" e senza alcun interesse per le vittime ignare di tale sistema" scrive il Gip Laganà.
Ma "tutto questo non conta" perché importa solo –per dirla con le forti ma espressive parole del dr. Alessandro Tripodi, il nipote di Giorgio De Stefano- "pararsi il culo" -anche rispetto ad eventuali "scarichi di responsabilità" da parte di altri colleghi di altri reparti dello stesso ospedale- e per "potersi parare" indispensabile diviene ancora una volta il dominio e la disponibilità della cartella che deve essere sempre "sotto il controllo fisico" del Reparto Ospedaliero precipuo qui in riferimento e di cui a breve si dirà come maggiore specificazione.
In questo contesto e nell'ambito dell'unico fine "manipolativo" della cartella clinica, "del tutto variegati e conducenti" saranno i "modi" per "coprire le responsabilità" venendo ad "incidere ed intaccare" la cartella clinica: "Cosi, secondo il caso trattato ed il bisogno necessario, ora "la si chiuderà e poserà nell'armadio", ora si provvederà ad alterarla "con bianchetto", ora si inciderà sulla stessa "con una striatura", ora si provvederà a introdurre nella stessa falsi documenti sanitari ora a sopprimerne "parti" all'occorrenza, ora si provvederà a confezionarla ad arte –attestando che "si è trattato di un'emorragia" (quando invero è stata una crisi vagale da spinale) oppure attestando che il paziente "è stato prontamente intubato" (quando invero nulla di ciò è stato compiuto), ora infine si ometterà deliberatamente di attestare ciò che si è visto e compiuto durante l'intervento quando (ad esempio) rimarrà al chirurgo "l'utero nelle mani" ovvero si produrranno lesioni all'uretere con urgente necessità di un urologo senza che nulla di tutto ciò sia attestato in cartella. Ancora però "non basta" perché, all'unico fine di "pararsi il sedere" ( dalle paventate denunce delle pazienti) e di "non essere fregati" (per "parafrasare" termini analoghi dei conversanti) dai colleghi di altri Reparti ospedalieri, si assume (specie dai "vertici sanitari di cui appresso) in questo contesto tutta una serie di condotte del tutto "deresponsabilizzanti" e sempre funzionali " a starne fuori, costi quel che costi": In questi termini, "ci si pente" (da parte della dr.ssa Manuzio di avere compartecipato ad un delicato e tragico parto), "ci si documenta" (da parte del primario Vadalà) per cercare di "uscire da una situazione di pericoloso impasse" come quando -nel caso del piccolo Rosario Cartisano morto per meningite fulminante-, nell'erroneo convincimento che la madre gestante fosse stata sottoposta al tampone vaginale, si "lancia" (a titolo fasullo e di pretesto) la "tesi a discarico" che avrebbe dovuto sostenere il dr. Alessandro Tripodi secondo cui "non sempre il tampone rileva l'infezione di cui sarà vittima il piccolo". Sulla stessa lunghezza d'onda, si chiude il cellulare (da parte del dr. Tripodi) "per evitare di essere chiamato dal primario Vadalà" in casi sanitari di pericolo da cui bisogna starne fuori a paravento, cosi come lo stesso –e per gli stessi identici fini- "manda" l'ostetrica di sua fiducia (Pina Gangemi) " a timbrare e stimbrare il cartellino (attestante la sua presenza) sempre e solo all'unico fine di "non comparire" quante volte c'è solo il rischio di essere coinvolti a titolo di responsabilità nell'esercizio della professionale "in nulla importando come, perché e chi" è rimasto vittima di un caso di malasanità" è scritto nelle carte d'indagine.
Il tutto "per pararsi" da chi "sta sul piede di guerra" come (per dirla con le parole del dr. Tripodi nei riguarda di chi ha perso il proprio bimbo poche ore prima) " quella puttana della Occhibelli" che "aizza alla denuncia" la madre del piccolo Rosario Cartisano anch'egli morto appena nato nell'ambito dello stesso contesto spaziale e temporale: "Dunque, è questo bene dirlo e ribadirlo già in sede introduttiva, "non è il falso in sé" a rendere grave e drammatico il presente procedimento ma quello "che c'è dietro" a questa pratica a rendere di palmare evidenza la drammaticità e delicatezza del caso. Ma non è ancora tutto, e anche questo si deve dire in sede espositiva generale, perché "la chiusura della cartella nell'armadio" non vale solo a mistificare e occultare il pregresso errore medico compiuto e/o comunque l'involontario caso di malasanità ma è altresì del tutto funzionale a "coprire" la condotta dolosa di chi (come il dr. Alessandro Tripodi in concorso con la dr.ssa Manuzio e il dr. Saccà) decide che una gravidanza "debba finire" senza il consenso (ed anzi all'insaputa) della madre gestante (sorella del Tripodi) che avrebbe portato a termine la stessa e senza il consenso del cognato che dice (riguardo al feto) "...ma perché lo dobbiamo...ammazzare". In sostanza, qui lo si accenna e basta, il predetto dr. Tripodi attua la "strategia" concordata con i due indicati colleghi immettendo nell'ignara sorella famaci abortivi e/o comunque funzionali all'espulsione prematura del feto determinando l'interruzione della gravidanza all'insaputa della madre gestante e del di lei marito" scrive il Gip Laganà.
E così i pazienti rimarranno ignari per anni, fino agli accertamenti della Guardia di Finanza, iniziati nel 2014, quando, invece, i vari vergognosi comportamenti sarebbero stati messi in atto nel 2010. Pazienti che, per dirla sempre con i medici captati, "vengono impapucchiate" sia nel senso che alle stesse, "quando si è interpellati a riguardo", si dice "una cosa al posto di un'altra" sia nel senso (per come capita il più delle volte durante l'intervento subito) che nulla si dice di ciò che realmente è capitato durante l'intervento e/o durante la sofferente degenza delle stesse.
Azioni spregevoli che sarebbero state messe in atto grazie a un reciproco atteggiamento omertoso, in cui l'importante era farla franca. Scrive il Gip Laganà: "Da questo ultimo punto di vista bisogna rilevare appunto un clima di "condiviso silenzio" che avvince anche i diversi reparti coinvolti nel senso che se tra i colleghi dei medesimi si apprezza l'esistenza di un clima di "reciproco sospetto" nel timore di essere "rispettivamente fregati" (sempre per usare la "parafrasi" di cui si è detto) dall'altra poi permane un sottofondo "omertoso" una volta ottenuta la garanzia di "essere fuori dal caso" ("Vuoi sapere la verità....Non dite niente a nessuno...")".