di Mariateresa Ripolo - La storia di un ragazzo che custodisce dentro di sé un grandissimo tesoro: l'unione indissolubile di due culture, due popoli, due religioni. Antar, siriano nato e cresciuto in Italia, precisamente a Firenze, è figlio di due mondi, musulmano e cristiano.
Eliana Iorfida, nel suo ultimo romanzo pubblicato nel 2018 da Vertigo Edizioni, racconta la commistione di questi due elementi che non rappresentano un ostacolo, bensì un'opportunità di crescita. Diversi sono i temi esplorati all'interno del romanzo, ma il viaggio, inteso come pellegrinaggio, è centrale in quanto da esso si snoda l'intreccio narrativo che esplora in modo approfondito un altro tema: quello dell'identità interrotta.
Il viaggio che Antar compie è un pellegrinaggio alla ricerca di qualcosa che possa aiutarlo a trovare le proprie radici, un "viaggio di ritorno" in una terra, la Siria, profondamente scossa da una terribile guerra. Una terra che Eliana Iorfida conosce molto bene avendola vissuta da archeologa durante numerose missioni di scavo. Attraverso una scrittura essenziale ma ricca di particolari, l'autrice è in grado di far vedere al lettore con i propri occhi, grazie al viaggio che compie il protagonista, le bellezze di una terra che nonostante tutto è pregna di cultura e di storia.
La religione non è più terreno fertile di discordie, ma diventa un'occasione di incontro e di dialogo tra culture, una storia che si intreccia con la figura di padre Paolo Dall'Oglio.
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L'autrice calabrese, che ha presentato il suo romanzo anche al Salone del libro di Torino, ci ha raccontato i suoi giorni in Siria come archeologa e il percorso che l'ha portata a scrivere "Antar".
Eliana Iorfida si considera più una scrittrice o più un'archeologa? E quanto il suo lavoro come archeologa ha influito sulla stesura del romanzo?
Scrittura e archeologia sono due dimensioni affini: in fondo, lo scrittore non fa altro che "scavare" nelle stratificazioni della realtà e dell'interiorità per portare alla luce un diamante grezzo, ovvero la storia che desidera raccontare. In questo senso, per me, scrivere è una sorta di deformazione professionale, equivale a ricomporre un contesto generale, universale, a partire da piccole vite quotidiane. Non a caso Sette paia di scarpe, mio romanzo d'esordio per Rai Eri, nasce ed è ambientato in Siria, tra i resti dell'antica città di Urkesh, dove all'epoca lavoravo come archeologa.
Ritornerebbe in Siria in veste di archeologa o di scrittrice?
Se avessi la possibilità di tornare in Siria oggi, a seguito della tragedia che ha distrutto un Paese che ho nel cuore, ci andrei in veste di essere umano che prova a restituire ai siriani una minuscola di parte di quanto ha ricevuto in termini di accoglienza, amicizia e profondità culturale. La duplice anima di archeologa-scrittrice continuerebbe ad accompagnarmi in un'esperienza all'insegna della ricostruzione e, ovviamente, dell'irrinunciabile voglia di scrivere e raccontare.
Cosa prova oggi sapendo che il luogo che ha fatto da sfondo al suo romanzo è stato in gran parte distrutto?
Provo rabbia nel sapere che un grande popolo ha perduto per sempre un inestimabile patrimonio culturale, oltre all'immane perdita in termini di vite umane, inclusa quella dell'archeologo Khaled al-Asaad, a sua volta scrittore, ucciso dai terroristi di Daesh per essersi rifiutato di abbandonare il sito di Palmyra, che dirigeva. Avverto la stessa rabbia quando penso a quanti bambini, tanti piccoli "Antar" simili al protagonista del mio romanzo, nascono e crescono senza patria, storia, identità. Al tempo stesso mi sento una privilegiata per aver avuto la fortuna di vedere cose, vivere luoghi, persone e circostanze che non torneranno più.
Qual è stato il momento esatto in cui ha deciso di raccontare la storia di Antar? Ci racconti cosa l'ha ispirata.
Mi ha ispirata, come nel primo romanzo, una storia vera, quella di un giovane italo- siriano incontrato a Damasco. Sono rimasta subito affascinata dalla sua condizione di "identità mesciata", che lo faceva sentire siriano in Italia e italiano in Siria. Ho pensato di sviluppare la potenza letteraria di questo tema, precorrendo nei tempi quella che in seguito, col tragico deteriorarsi dello scenario mediorientale e africano, è diventata una condizione comune a milioni di persone. La storia di "Antar" mi incuriosiva perché orientata in direzione contraria, ovvero dall'Italia a Damasco, rispetto a quella di chi invece è in fuga verso l'Occidente. Raccontarla assumendo il punto di vista personale del protagonista, quindi attraverso l'Io narrante, è stata un'ulteriore sfida: mi ha consentito di esprimere un punto di vista maschile e dare voce a una parte importante di me.
Considerando che la tematica scelta è di grande attualità e alla luce degli avvenimenti che stanno interessando il nostro paese sulla questione immigrazione, pensa che il suo romanzo possa contribuire a sensibilizzare la società da questo punto di vista?
Non è un bel momento per il nostro Paese. Gli italiani stanno vivendo una condizione di pericolosa perdita di coscienza, empatia, di elementari nozioni scolastiche e culturali, il tutto abbinato a un clima di perenne campagna elettorale alimentata a colpi di slogan, tanto più efficaci quanto più inconsistenti. Dall'altro lato, chi dovrebbe porsi come argine e alternativa, non fa che prestare il fianco alle provocazioni, amplificandone la portata. In un clima simile, non solo il mio romanzo, ma ogni forma di assunzione di responsabilità da parte di ciascuno può rivelarsi preziosa, soprattutto nel nostro Sud che, a mio avviso, si è macchiato di una grave colpa: aver tradito la propria radice mediterranea, rinunciando alla proverbiale filoxenìa, all'amore per lo straniero, che ci è propria. Il messaggio del libro è inequivocabile: l'identità non è che un processo di incontro con l'altro per riconoscere se stessi.
Se dovesse scegliere una frase del suo romanzo che lo possa descrivere appieno, quale sarebbe?
A un certo punto del suo percorso, Antar dice tra sé: "Nessuno meglio di me sa cosa significa essere alieno a ogni luogo, inclusi quelli sacri della propria identità". Credo che questa breve considerazione racchiuda l'intero senso del romanzo, ma ovviamente sono tanti i passaggi ai quali mi sento legata, come le riflessioni che ampliano e, al tempo stesso, separano il concetto di "religiosità" da quello di "spiritualità", spogliando il primo di ogni alibi da accostare impropriamente alle motivazioni di certi conflitti, che ben sappiamo essere generati da cause di natura politica, economica e finanziaria.
Quali sono i libri che l'hanno formata culturalmente e che in tal senso l'hanno portata sulla strada della scrittura?
Ho avuto la fortuna di essere iniziata alla lettura da piccola, in famiglia: ricordo mia madre leggere per me Le avventure di Sinbad il marinaio e le "mille e una" storie d'Oriente che mi lasciavano di stucco, alle quali affiancavo i saggi storici consigliati da mio padre. Il primo libro che ho letto "da adulta" è stato Il buio oltre la siepe, ci sono tuttora affezionata. Ho amato subito il maestro Calvino, torno spesso a tuffarmi tra le sue pagine sublimi, così come gli autori siciliani, Sciascia in primis. Adoro i grandi classici dell'America Latina, da Borges a García Márquez passando per Allende, e alcuni contemporanei statunitensi che reputo geniali, come Michael Cunningham e Jonathan Franzen. Infinito l'amore per la letteratura e la poesia araba, che consiglio a tutti di approfondire, da Kader Habdolah, uno dei più grandi autori
iraniani, alla siriana Suad Amiry e ai palestinesi Ghassan Kanafani e Susan Abulhawa. Di recente, invece, ho avuto modo di colmare un'imperdonabile lacuna: Viaggio al termine della notte, di Céline. Sconvolgente.
Quanto è difficile scegliere di fare lo scrittore/la scrittrice in Italia?
Intanto non credo che "si scelga" di fare lo scrittore: scrivere è una naturale predisposizione d'animo, che deve tuttavia essere affinata e coltivata, come tutte le passioni che si desidera portare a livelli d'eccellenza. Il miglior modo per farlo è
dedicarsi a buone letture, fare autocritica e sottoporsi al giudizio di un editor o comunque di chi ha fatto della letteratura un mestiere, che spesso equivale a sottoporsi alle cesoie. In Italia la cultura si fa in salita: come in molti ambiti, la tendenza è quella di mettere in commercio qualsiasi cosa, così tutti sono artisti/scrittori e nessuno lo è più nel senso puro del termine. Le penne fuori dal coro e gli intellettuali più autorevoli sono tagliati fuori dal dibattito pubblico e mediatico di questo Paese, che preferisce cercare nell'opinionismo, dunque nel qualunquismo, risposte facili a problemi esistenziali complessi.
Quali sono i suoi progetti futuri?
Ho da poco iniziato la scrittura di un nuovo romanzo, che è prima di tutto una nuova sfida per me. La storia ha come protagonisti una giovane madre e il suo bambino ed è ambientata in Calabria. La ricerca stilistica e di contenuto, come dicevo all'inizio, è sempre centrata su un'attività di "scavo" sul fondo di storie personali che, ai miei occhi, recano un seme di universalità.