La solidarietà dei reggini verso gli immigrati. Ora però tocca ai politici

immigratiRiceviamo e pubblichiamo:

La mia città, Reggio Calabria, mi sta stupendo. Naturalmente lo sta facendo in positivo e la cosa mi piace. Se fossimo su facebook avrei già da tempo cliccato il "like" sotto il post. Perché nella Reggio del degrado sociale e civile diffuso e della opprimente depressione economica (a tratti asfissiante), si percepisce forte e chiaro l'emergenza immigrazione. E sono realmente orgoglioso di come stiano reagendo i miei concittadini, ad un problema che, è inutile negarlo, esiste e va affrontato. Mi sento in dovere di scrivere, all'indomani della manifestazione svolta da una capopolo di turno, della quale non farò nemmeno il nome. Non perché io la voglia snobbare o peggio denigrare, ma semplicemente perché prima di lei ne sono passati tanti, e sono consapevole (sic!) che tanti ancora ne arriveranno in futuro di questi figuri. Capibranco loro, sempre pronti a parlare da quel pulpito, dimenticandosi della impressionante somiglianza esistente tra le parole e le pietre. Parlano coscientemente alla pancia delle persone e non al cervello, fomentando la folla invece di provare ad educarla fornendo le informazioni necessarie per discernere, capire, discutere. Per questo doppiamente colpevoli rispetto a chi li segue in buonafede. Tali tristi figuri passeranno ed, appunto, altri ne arriveranno al loro posto, come ad ogni primo caldo ritornano le zanzare, per cui meglio non farci troppo caso, capitolo chiuso.

Quel che resta, invece, è la reazione composta ed a tratti sorprendentemente matura che i reggini stanno avendo, al problema della presenza quotidiana di migliaia di persone proveniente dai paesi Africani. Li si vedono a bordo strada, al rosso dei semafori, nelle strade e nelle piazze cittadine e ne si percepisce la miseria, quasi la si respira, oltre che vederla. Ciò accade da mesi e mesi ormai e sono sicuro che se tale fenomeno fosse accaduto in qualsiasi altra città d'Italia, si sarebbero registrati gesti di intolleranza o quantomeno di frizione tra la popolazione locale e questa massa di poveri sventurati. A Reggio non solo questo non è accaduto, ma anzi c'è un clima di vicinanza umana (qualcuno la chiamerebbe pietas cristiana) verso tali persone, da parte della stragrandissima maggioranza dei reggini, e questo deve essere doverosamente sottolineato, a testimonianza di come la gente si dimostri mille volte più matura dei propri rappresentanti. E mi piace pensare al fatto che i miei concittadini lo facciano perché consci della solitudine e della disperazione di un emigrato, visto che la piaga dell'emigrazione forzosa, tutti noi la si vive con dignità da decenni. Attenzione però a non tirare troppo la corda. Perché se è vero che, con l'operazione "mare nostrum", l'Italia contribuisce meritoriamente a salvare vite umane in mare, è anche vero che una volta sbarcati, la fase di accoglienza e di assistenza non può e non deve essere interamente delegata ad una cittadina di 180.000 abitanti del Sud Italia, i cui abitanti vivono da decenni ben altri e pressanti problemi. Per questo, invece di sbraitare, contro fantomatiche diffusioni di virus, inesistenti sottrazioni di diritti, o ancora peggio a pericolose commistioni di razza, si dimostrino i nostri politici bravi ed autorevoli ad illustrare la situazione emergenziale nelle stanze del potere romano, e richiedano con fermezza, uomini e fondi per la gestione della fase di accoglienza. I reggini stanno nei fatti, da mesi, quotidianamente dimostrando cosa significhi essere solidali, senza squilli di trombe ne manifestazioni di piazza. Lo facciano anche i rappresentanti politici. Seguano l'esempio che per una volta la cittadinanza reggina sta mostrando loro. La smettano di parlare all'ignoranza e alla paura, la smettano di strumentalizzare l'argomento alla ricerca di qualche voto in più. Restassero umani, se ce la fanno, per una volta.

Dario Anselmo Catalano