20 anni di Libera: da don Italo Calabrò a don Luigi Ciotti

liberalogodi Mario Nasone - Le associazioni di Libera della Calabria nei prossimi giorni si riuniranno con oltre 130 delegati della rete regionale per fare formazione e per rinnovare la propria scelta di ricerca e di impegno per la verità e la giustizia. Una occasione preziosa per ripensare a come fare antimafia oggi, a come rifuggire dalla tentazione di personalismi,dagli slogan e dalle manifestazioni sterili, senza contenuti reali di cambiamento personale e collettivo. Un momento di verifica e di riscoperta delle radici di una storia che è diventata ventennale. Infatti, proprio venti anni fa, Il 25 marzo 1995, si costituiva a Roma Libera, la prima Rete nazionale che metteva insieme pezzi di un mondo variegato del volontariato e dell'associazionismo uniti dalla volontà di non continuare a delegare il contrasto alle mafie alle forze dell'ordine ed alla magistratura, ma di assumerlo come responsabilità diretta dei cittadini anche della società civile. Un lavoro che è iniziato subito dopo le stragi di Capaci e di Via D'Amelio che rappresentarono una vera scossa alla indifferenza ed alla sottovalutazione del fenomeno mafioso che avevano caratterizzati quegli anni. Nel 1994 in una riunione convocata alla sala del Cenacolo di Montecitorio, presenti i rappresentanti di organismi associativi, nazionali come le Acli, Legambiente, Agesci, Arci, Mo.V.I.,Gruppo Abele, assieme a tante gruppi locali, si decise di costituire il Coordinamento, Dopo un sondaggio tra i vari nomi e loghi proposti si scelse di chiamarlo Libera,Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, per significare il lavoro di liberazione dalle mafie di cui il nostro Paese aveva urgente bisogno e della necessità di promuovere anche dal basso legalità e giustizia. Don Luigi Ciotti fu da subito il leader, il riferimento morale ed il garante di questo movimento che nasceva. In Lui si identificava un testimone, un maestro di vita, che aveva attraverso la lotta alla droga capito come il lavoro di prevenzione e di recupero nella tossicodipendenza doveva alzare il tiro per occuparsi a monte anche dei grandi trafficanti che vendevano morte lucrando sul disagio dei giovani. Una rete che nel tempo è cresciuta tantissimo tanto che oggi Libera è un coordinamento di oltre 1500 associazioni, gruppi, scuole, realtà di base, territorialmente impegnate per costruire sinergie politico-culturali e organizzative capaci di diffondere la cultura della legalità. La legge sull'uso sociale dei beni confiscati alle mafie, l'educazione alla legalità democratica, l'impegno contro la corruzione, i campi di formazione antimafia, i progetti sul lavoro e lo sviluppo, le attività antiusura, sono alcuni dei concreti impegni di Libera sui quali in questi venti anni Libera ha lavorato ottenendo risultati importanti.. Ho avuto la fortuna di vivere, come rappresentante del Centro Comunitario Agape di Reggio Calabria, tutta la fase di preparazione e poi di costituzione formale dell'associazione e di essere il primo referente di Libera in Calabria, prima di passare il testimone a Patrizia Gambardella e poi a Mimmo Nasone. L'adesione di Agape, alla quale si aggiunsero subito dopo le realtà locali che facevano riferimento a Legambiente, Acli, i sindacati Cgil- Cisl-Uil, il Siulp, assieme al movimento Insieme per la città e gruppi locali, è stata quasi automatica, perche Reggio che usciva da poco da una devastante guerra di mafia che aveva provocato mille morti era una delle vittime di questa devastante presenza e sentiva il bisogno di collegarsi con altre realtà nazionali. Già durante la guerra di mafia tra il 1986 e il 1989 si costituì il primo coordinamento reggino antimafia che ebbe vita travagliata anche per il clima di isolamento che si respirava dove i comitati di affari politici e mafiosi governavano di fatto la città che si dimostrava inerte e rassegnata. A questo si aggiungeva l'atteggiamento dei Governi nazionali che hanno sottovalutando colpevolmente la forza della ndrangheta ritenuta di serie B rispetto alla mafia siciliana e facendola crescere e sviluppare senza ostacoli. Proprio in quegli anni a Reggio emergeva la figura di don Italo Calabrò,un sacerdote che rompendo decenni di omertà e di silenzi ebbe il coraggio di condannare pubblicamente la ndrangheta fino ad affermare, già nel 1984 a Lazzaro (RC), in occasione del sequestro del piccolo Vincenzo Diano,che i mafiosi non erano uomini, ne tantomeno uomini d'onore ma erano più vicine come definizione alle belve. La testimonianza religiosa e civile di Don Italo ebbe una grande influenza su don Luigi Ciotti e sicuramente contribuì a spingerlo ad impegnarsi per la costituzione di Libera .I due sacerdoti si conobbero per il comune impegno pastorale nella lotta alla povertà ed alla emarginazione,distanti come città Torino e Reggio Calabria, uniti nel lavoro per dare accoglienza e speranza a chi viveva nel disagio.Ci fu una occasione in particolare in cui la loro amicizia si cementò e don Luigi ebbe modo di conoscere uno spaccato inquietante e sanguinario del fenomeno ndrangheta. Avvenne negli anni 80 quando don Italo e l'Agape chiesero a don Ciotti aiuto per salvare da una morte quasi certa un gruppo di bambini e ragazzi appartenenti a famiglie di mafia in guerra tra di loro, una faida che non risparmiava nemmeno i più piccoli. Don Ciotti con il suo gruppo Abele si impegnarono per trovare luoghi sicuri per accoglierli e tutelarli. Fu quella una esperienza che cementò i rapporti tra i due sacerdoti che si rafforzò durante le visite di don Luigi a Reggio a casa di don Italo,occasioni in cui don Ciotti poteva ascoltare una narrazione diversa da quella giudiziaria di cos'era la ndrangheta, dei sui molteplici effetti e volti. Una ndrangheta vista con gli occhi di un prete che esercitava il suo servizio pastorale in una parrocchia dell'Aspromonte, San Giovanni di Sambatello, una piccola contrada dove viveva e comandava don Mico Tripodo, il capo dei capi della ndrangheta don Mico Tripodo, compare d'anello di un allora sconosciuto Totò Riina.In tutte le occasioni in cui parla in Calabria, definisce don Calabrò il più grande esperto di ndrangheta che Lui abbia conosciuto, perché afferma ha imparato a conoscerla nel confessionale ascoltando i drammi e le sofferenze delle madre e delle moglie dei mafiosi o cercando di sottrarre i più giovani dal destino mafioso. Don Italo, come don Luigi, non voleva essere chiamato prete antimafia,ma semplicemente un cristiano vero, che cercava con tutti i limiti di essere coerente con il Vangelo ed a servizio dell'uomo, di scegliere da che parte stare. L'antimafia che serve oggi più che mai è quella di don Italo e di don Luigi, che quando parlano di mafia la collegano al lavoro che manca, alla povertà, all'istruzione carente. Che ha in mente volti e storie precise,di famiglie coinvolte, di vite distrutte. Vittime e carnefici. Di bambini ammazzati, di istituzioni colluse. Ieri come oggi, a rendere credibili le denuncie e gli appelli alla mobilitazione contro la mafia sono soprattutto le capacità di compagnia e di condivisione con le vittime, ma anche la vicinanza ai percorsi ed alle sofferenze di tanti.