20/20

Tempo2Di Isidoro Pennisi*- Il decennio che verrà occuperà il tempo come quello che lasciamo. Saranno dieci anni, uno dietro l'altro. Nell'epoca delle previsioni statistiche, dei sondaggi d'opinione, la constatazione dell'ovvio ha il sapore della novità originale, l'astrologia ci fa la figura della scienza esatta e Luigi Tenco, che cantava malinconicamente "un anno dopo l'altro la vita se ne va", diventa un filosofo assoluto. Nel prossimo decennio, la geologia ubriaca e giovanile della nostra terra, accompagnata dalla maniera stolta con cui noi la proseguiamo in superficie, non lesinerà di farsi sentire. Come ogni decennio saremo impreparati a questo suo furore abitudinario, come se fossimo degli anziani rassegnati. La geopolitica spazientita e la violenza politica troveranno, anche nel prossimo decennio, i luoghi e i modi per avvicinarsi il più possibile alle nostre città. L'unico dubbio è sapere come faranno a manifestarsi nella maniera più originale in funzione delle vittime e del terrore da produrre. Il prossimo decennio, probabilmente, non saranno tanto le disuguaglianze sociali tra le diverse classi ad aumentare ma sarà la sensazione, in quelle più basse, di non avere alcuna possibilità futura di poter accedere alle superiori. L'economia continuerà a essere una materia esoterica, in cui i provvedimenti che si continueranno a prendere non saranno il frutto di progetti razionali e logici, necessari di tempo, di sacrifici proporzionati e generali, ma sembreranno il solito cascame verbale e numerico frutto di riti propiziatori, in cui continuerà a contare più l'affermazione di principio che la maniera logica per realizzarlo. L'informazione su carta, su televisione e su web, come un esercito senza nemici, continuerà a mettere in scena la realtà più che spiegarla, denudarla, toglierle i capi di vestiario delle opinioni.Sui giornali scriveranno sempre le stesse persone, che sanno benissimo cosa dire tanto da dire tutti la stessa cosa, suddividendo i loro pareri solo per grandi categorie: quelli contro un governo, quelli a favore di un governo, quelli che non sanno se convieneessere a favore oppure contro un governo. In televisione sfileranno sempre le stesse persone, ormai familiari come uno zio o un cugino lontano con cui parliamo on line utilizzando una webcam. Sul web la libertà delle opinioni continuerà a sembrare il bordello che è senza, però, le forme del piacere che almeno i bordelli riservavano una volta. Si voterà, anche nel decennio che viene. Pure nel prossimo decennio il Sud rimarrà al Sud. Anche nel prossimo decennio le Banche continueranno a fare le Banche e gli Imprenditori insisteranno a fare gli Imprenditori. Nulla di nuovo. Si continuerà a non saper fare né l'una, né l'altra cosa. Il prossimo decennio l'Università continuerà a fingere d'essere nella realtà mentre ormai vive in una Riserva, dove può esercitare i suoi balli tradizionali, urlare intorno al palo della tortura, cacciare i bisonti, solo quando arrivano i turisti nelle occasioni ufficiali. Per il resto del tempo vegeta, tenendo occupati nelle aule i pochi studenti che ormai vi s'iscrivono, raccontando il poco che sa di una realtà che ormai gli è sfuggita via, come a chi è rimasto con la corda in mano mentre l'Aquilone è ormai all'orizzonte.

Per la città di Reggio Calabria, però, questo decennio inizierà misurando i cinquant'anni che la separano dall'inizio di un altro decennio non qualunque. Nel 1970, infatti, l'intricata vicenda nazionale trovò il modo, attraverso il pretesto della scelta del Capoluogo Regionale Calabrese, di scegliere questa città come teatro dove portare in scena uno scontro di Potere che ha poi disegnato la stessa vita che oggi facciamo nel nostro Paese. La Rivolta Urbana in città, il deragliamento doloso della Freccia del Sud a Gioia Tauro e la morte di cinque giovani anarchici si sciolsero in quel 1970 di cui ora ricorre il cinquantenario.

--banner--

Questo decennio, in ultimo, inizierà portandosi dietro il vero problema del nostro tempo: la malattia del futuro. Ormai immaginiamo intelligente pensare che il futuro, solo perché tale, sia meglio del presente e del passato; e che lo sia per principio.Siamo diventati persone che davanti a un oggetto familiare non vedono i secoli occorsi per il suo avvento e gli esseri umani che hanno vissuto senza poterlo utilizzare. Persone che non vedono, dietro una lavatrice, l'acqua dei torrenti e le mani al freddo che lavano i panni; che non vedono, dietro una lampadina, le ombre e le corte serate vissute dopo il calar del Sole; che non vedono, dietro una mail, la fatica dei cavalli e dei cavalieri al galoppo da un punto della Terra all'altro solo per trasmettere un messaggio. Siamo persone che non vedono dietro ai nostri anni tutti quelli di prima e credono che il Mondo sia nato solo nei pressi della nostra data di nascita.

Non inganniamo le nostre anime, però, e diciamo le cose come sono. Il tempo che vale la pena di vivere, quello che conta davvero e ha il peso di un'esistenza spesa bene, è sempre un tempo da Grillo Parlante o da Formica. La storia, però, non dimentica mai, in bene e in male, al contrario, un tempo da Cicala o da Lucignolo.

Per guarire dalla malattia del Futurobisogna tornare a credere al "sogno di una cosa"e sapere che esso è come un seme: non potrà mai vedere ciò che genererà, non potrà assistere al risultato di quello sforzo fatto nel sottosuolo del Presente. E' vero per ognuno di noi sin da quando ancora siamo il sogno di un'esistenza incantata lungo la strada. Quando ancora riposiamo nella mente di qualcuno che ci desidera ardentemente senza sapere ancora con chi concepirci. Senza sapere ancora chi siamo e quando arriveremo. La vita non è una nostra proprietà e di fronte ad essa si può solo dire di sì anche quando non si capisce il motivo.Il futuro non è nostro, ma coltiviamo il campo del Passato con gli attrezzi del Presente per ottenere, un giorno lontano, il Suo raccolto. Buona fortuna al prossimo decennio.

*Docente universitario