Pd e Movimento 5 Stelle: dove si va?

zingarettidimaiodi Mario Meliadò - Roma, 27 marzo 2013, interno giorno. Un politico d'esperienza pluridecennale sudacchia mentre cerca di "tenere botta" davanti a Vito Crimi e a una ridda di giovani attivisti politici del Movimento Cinquestelle che contestano lui – Pierluigi Bersani – e le politiche del suo partito, il Pd.

Il tutto online, in diretta web.

Sono passati 6 anni e mezzo, e...

...Un po' come in "Joker", solo la fotografia dettagliata di eventi-radice consente di capire davvero perché e come le cose si sviluppano successivamente in un certo modo; e, soprattutto, non in un altro.

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Ecco allora che il logico sviluppo di tanto seme sarebbe, in pratica, un M5S ancor più rabbiosamente anti-sistema, compatto come un sol uomo e pronto a chissà quali sturbi in caso di mancata stretta attenzione del Governo centrale in carica alle persone, alle esigenze dei ceti medio-bassi della popolazione, alle istanze portate avanti dai ceti produttivi e dalle piccole e medie imprese in particolare. Ma soprattutto, fedele alle sue istanze originarie: "uno vale uno", le scelte che da un lato provengono esclusivamente dal fondatore Beppe Grillo e dal capo politico (Luigi Di Maio, almeno fin qui), dall'altro possono essere rifondate, criticate, rimesse in discussione, votate solo dalla "base" attraverso la piattaforma telematica "Rousseau".

Ma se è per questo lo stesso Partito democratico, per com'era stato fondato molto tempo prima, ha senso davvero se è un partito di sinistra-centro (per mettere i "puntini sulle i": non basta un partito di centro-sinistra per catalizzare i voti dei tanti delusi del post-Pci, una frazione importante del gigantesco astensionismo italiano si annida lì), se conserva l'ambizione di fungere da partito di maggioranza relativa nel Paese e soprattutto se non si distrugge in faide intestine 'fratricide': la Democrazia Cristiana poteva permettersele, per dire, perché era una "Chiesa" insuscettibile di subire tradimenti di sorta, e ogni sua "corrente", per consensi, superava un singolo partito medio dei tempi d'oggi.

Invece, oggi c'è notevolissima perplessità dei rispettivi elettorati per un "abbraccio" filogovernativo tra dèm e Cinquestelle che ha fatto séguito a enormi scontri fra i rappresentanti dell'una e dell'altra parte, e che comunque pare arrivato giusto per un lembo di finelegislatura, come testimonierebbe la stessa uscita dei renziani di Italia Viva dal Pd, e peraltro 'fuori tempo massimo': in questo senso vale, proustianamente, la madeleine dell'incontro-scontro tra Bersani e i dirigenti pentastellati. Se quest'unione politico-programmatico-governativa si fosse celebrata allora, complici gli inesorabili numeri frutto di un'opinabile legge elettorale, nessuno avrebbe avuto granché da ridire.

Quanto alla Calabria, poi, entrambe queste forze politiche si trovano oggi a dover gestire (a nostro avviso, marchianamente senza riuscirci) un masaniellismo scarsamente comprensibile, considerati oltretutto i princìpi di fondo di entrambi gli elettorati.

Da un lato Mario Oliverio che, per certi versi con le sue ragioni, da uscente vuol riproporsi. Sappiamo che in casa piddina, però, il precedente di Agazio Loiero non ha portato molta fortuna e al tempo stesso che le regole valgono per tutti. Chi legittimamente oggi rappresenta ai vertici il partito in Calabria, il commissario Stefano Graziano, ha pronunciato con chiarezza il suo "no, grazie" alla disponibilità offerta dal politico di San Giovanni in Fiore: qualcosa in più di una semplice «disponibilità», se ci si ricorda della 'fuga in avanti' al "T Hotel" di Feroleto Antico, risalente al 17 settembre del 2018, con cui Oliverio volle siglare la sua ricandidatura in chiave 'civica', non da parte del Partito democratico allora in netto calo di consensi ma su spinta 'dal basso' di una pletora d'amministratori locali.

Ma di certo, se c'è chi ritiene che l'incaponimento di Oliverio nel volersi riproporre elettoralmente lo ponga fuori dal Pd, occorrerebbe si procedesse anche formalmente in quella direzione. Ancòra, è ben difficile non tener conto che gli accordi tra Pd e Cinquestelle si spostano sul piano inclinato di un accordo nazionale: anche le Regionali in Calabria vedranno esprimere un candidato unitario e d'ispirazione pentastellata. Se le cose non stanno così, occorrerebbe ufficializzare il contrario: e naturalmente ciò non può accadere, per via di una moderata ostinazione dei fatti.

In questo "muro contro muro", arrivato all'estremo della protesta dell'ala oliveriana in via del Nazareno per dire «no all'accordo Pd-M5stelle imposto da Roma», rappresentare la contrarietà di 61 circoli piddini alla mancata ricandidatura di Oliverio e depositare le 4.500 firme a supporto, si riconosce però il batterio dell'infezione comune al "popolo" del Pd e di Cinquestelle: una certa refrattarietà ad accogliere decisioni non validate dalla "base", o almeno da un'oligarchia (altra infezione che presupporrebbe una terapia a parte...) che all'elettorato somigli almeno un po'...

Nel M5S di Calabria, dopo la delusione – cocentissima, considerati i consensi prossimi al 50% raccolti proprio alle Politiche, non alle Europee o alle Provinciali – di non avere un ministro calabrese per la seconda volta su due Esecutivi presieduti peraltro da un pentastellato, si sperava quantomeno in Regionali in grado d'imporre un pacifico radicamento territoriale di quella che, oggi, è una forza di Governo. Niente da fare: e la deputata Dalila Nesci, nel chiedere al ministro degli Esteri-plenipotenziario M5S Di Maio una deroga che le consentisse di aspirare alla Presidenza della Regione benché parlamentare in carica, ha incassato un solenne 'due di picche' che non ha affatto chiuso la vicenda.

Non l'ha chiusa perché la Nesci ha voluto «autocandidarsi» e, per darne notizia, non per caso ha scelto Il Fatto quotidiano. E non l'ha chiusa anche perché gruppi di «attivisti» si sono fatti vivi a più riprese per chiedere «graticole e voto online per tutti i candidati del M5S alle prossime elezioni regionali calabresi, nessuno escluso» senza «nessuno 'calato dall'alto'» come evidentemente viene percepita la Dieni, almeno da parte della 'base'. Ma ancor più vengono percepiti in questo modo possibili candidati "civici" come l'ex presidente di Confindustria Calabria Pippo Callipo, nonostante la nota vicinanza all'oggi sottosegretario alla Cultura Anna Laura Orrico.

In questo caso, la via d'uscita considerata «auspicabile» è «un incontro tra tutti i portavoce e gli attivisti calabresi per tracciare insieme la strada da percorrere»; difficile, tuttavia, che i nodi e le accuse talvolta spietate di veri o presunti nepotismi vengano cancellati d'emblée.

Assai più difficile che chi ha tracciato davanti a sé la via di una sorta di "autonoma" candidatura rinunci in ragione dell'unità della forza politica d'appartenenza.

Anche questa, una lente che offre l'idea di un Pd e di un M5S, alla fine, con molti più punti in comune di quanto parrebbe da lontano.